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Redazione Online

Le anticipazioni del Guardian su «Breaking Ranks: Inside Israel’s War». «Niente regole. Scegliere chi è un nemico o un terrorista è del tutto arbitrario». L’esercito israeliano ha sempre affermato di essere «impegnato nel rispetto dello Stato di diritto»

«Se vuoi sparare senza freni, su chiunque, a Gaza puoi farlo». A parlare con freddezza –  nel documentario «Breaking Ranks: Inside Israel’s War», che sarà trasmesso nel Regno Unito su ITV stasera – è Daniel, comandante di un’unità di carri armati delle Forze di Difesa Israeliane (Idf). E a raccontare una versione simile di quanto avvenuto nella Striscia, con la stessa freddezza, sono tanti suoi commilitoni.

Alcuni parlano davanti alle telecamere, senza nascondersi; altri mantengono l’anonimato. Quello che dicono molti di loro è stato anticipato dal Guardian. Secondo quanto riferito, nel documentario diversi soldati israeliani descrivono una situazione di caos a Gaza e un crollo delle regole e dei vincoli legali, con civili uccisi per il capriccio di singoli ufficiali.



















































Una situazione di anarchia che ha accompagnato, a loro dire, questi due anni di conflitto, nato in risposta all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, in cui vennero uccisi 1.194 israeliani e ne vennero rapiti altri 250.

I soldati che hanno accettato di parlare, racconta il Guardian, hanno confermato l’uso sistematico di civili palestinesi come scudi umani da parte dell’Idf, contraddicendo le smentite ufficiali, e hanno fornito dettagli sulle truppe israeliane che hanno aperto il fuoco senza provocazione o motivi apparenti o rischi manifesti, sui civili che correvano per raggiungere i punti di distribuzione di cibo istituiti dalla Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), sostenuta dagli Stati Uniti e da Israele e fortemente criticata dall’Onu.

Lo stesso cinismo che in tante occasioni, raccontano i soldati, avrebbe portato molti di loro ad aprire il fuoco su civili inermi, senza ragione.

«Durante l’addestramento base dell’esercito – racconta nel documentario  il capitano Yotam Vilk, ufficiale del corpo corazzato – le linee guida dell’Idf insistevano su tre parole: mezzi, intenzioni e capacità». Significa che un soldato può sparare solo se il bersaglio ha i mezzi, mostra l’intenzione e ha la capacità di causare danni.

«A Gaza non è così», aggiunge Vilk. «Basta giudicare come sospetto il modo di camminare di un uomo tra i 20 e i 40 anni».

«La designazione di chi è un nemico o un terrorista è arbitraria», aggiunge un altro soldato che si fa chiamare Eli nel documentario. «Se camminano troppo velocemente, sono sospetti. Se camminano troppo lentamente, sono sospetti. Se tre uomini stanno camminando e uno di loro resta indietro, sono sospetti», dice.

Eli, continua sempre il Guardian, descrive anche un incidente in cui un ufficiale superiore ha ordinato a un carro armato di demolire un edificio in una zona designata come sicura per i civili. «C’era un uomo in piedi sul tetto, stendeva il bucato, si vedeva. Ma per lui era un sospetto osservatore. Il carro armato ha sparato. L’edificio è crollato. Il risultato è stato un gran numero di morti e feriti».

In due anni di conflitto i morti palestinesi a Gaza sono stati oltre 69.000, cifra confermata da organizzazioni indipendenti che hanno mantenuto e mantengono operatori nella Striscia e in linea con quanto rilevato dall’Onu. Tra questi oltre la metà sono minorenni, quasi 20.000 bambini, 28.000 le donne.  

Un’inchiesta del Guardian ad agosto, che ha avuto accesso a dati dell’intelligence dell’Idf, ha dimostrato che, secondo i calcoli dei funzionari militari israeliani, l’83% delle vittime a Gaza erano civili, un picco senza precedenti nella storia dei conflitti moderni.

L’Idf ha contestato e smentito questi numeri, senza però fornire cifre alternative o prove diverse. Dopo la firma del cessate il fuoco del 10 ottobre scorso, Israele ha affermato che durante il conflitto erano stati uccisi circa 15.000/20.000 miliziani di Hamas. Se si tenesse ferma la cifra di 69 mila morti totali, ciò porterebbe a dire che almeno 50.000 delle vittime erano civili.

«L’Idf è impegnata nel rispetto dello Stato di diritto e continua ad operare in conformità con i propri obblighi legali ed etici, nonostante la complessità operativa senza precedenti causata dal sistematico inserimento di Hamas nelle infrastrutture civili e dal suo utilizzo di siti civili per scopi militari», ha sempre sostenuto l’esercito israeliano.

In un’inchiesta della Reuters, pubblicata in questi giorni, si dice che «per i servizi segreti Usa, gli avvocati militari israeliani avevano segnalato l’esistenza di prove su crimini di guerra a Gaza» e le possibili conseguenze. Senza che però si intervenisse. Quei report avevano aperto dibattiti e discussioni all’interno dell’amministrazione Usa (in particolare durante la gestione Biden) che a Israele dà supporto diplomatico e fornisce armi e sostegno di intelligence. 

Alcuni dei soldati intervistati in «Breaking Ranks»  sostengono di essere stati influenzati nelle loro azioni dal linguaggio dei politici e dei leader religiosi israeliani, che, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, hanno spesso detto, anche pubblicamente, che ogni palestinese era un bersaglio legittimo.

Una commissione delle Nazioni Unite ha concluso a settembre che Israele ha commesso un genocidio a Gaza. Un tema, quest’ultimo, e anche una parola, che hanno aperto vivaci discussioni, anche in Italia, dove si passa dalla posizione di Francesca Albanese, la relatrice speciale Onu sui diritti dei palestinesi, che sull’uso di questo termine non ha mai avuto dubbi, a quella opposta della senatrice a vita e sopravvissuta all’Olocausto, Liliana Segre.

La Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu con l’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità, così come ha fatto per i leader di Hamas. 

Sul fatto che Hamas sia un’organizzazione terroristica non ci sono dubbi. Sulla condotta di Israele e sulle sue azioni «spropositate» a Gaza ci sono state condanne molto diffuse, da parte di diversi Stati e leader di tutto il mondo, Italia compresa. 

Le azioni a Gaza, anche quelle più controverse, sono state rivendicate e sostenute più volte anche da politici e ministri  israeliani, come Bezalel SmotrichItamar Ben-Gvir. Lo stesso presidente israeliano Isaac Herzog, poco dopo l’attacco del 7 ottobre, aveva dichiarato: «È un’intera nazione là fuori ad essere responsabile. Non è vera questa retorica sui civili inconsapevoli, non coinvolti, non è assolutamente vera», riporta il Guardian.

Daniel, il comandante dell’unità di carri armati, racconta anche di come l’idea secondo cui a Gaza non esistono innocenti si sia diffusa tra i ranghi dell’esercito: «Lo senti dire continuamente, quindi inizi a crederci».

Nel documentario si racconta come molte di queste opinioni radicali siano state diffuse da alcuni rabbini. «Una volta, il rabbino della brigata si è seduto accanto a me e ha passato mezz’ora a spiegarmi perché dovevamo essere proprio come loro il 7 ottobre. Che dovevamo vendicarci di tutti loro, compresi i civili. Che non dovevamo fare distinzioni e che questo era l’unico modo», dice il maggiore Neta Caspin, secondo quanto riportato dal Guardian.

Il rabbino Avraham Zarbiv, un ecclesiastico ebreo estremista che ha prestato servizio per più di 500 giorni a Gaza, dice nel documentario che a Gaza «tutto è una grande infrastruttura terroristica».

I soldati che raccontano la loro esperienza in «Breaking Ranks» confermano anche le numerose segnalazioni, durante i due anni di conflitto, dell’uso di civili palestinesi come scudi umani, una pratica informalmente nota come «protocollo zanzara».

L’esercito ha dichiarato che «l’Idf proibisce l’uso di civili come scudi umani o di costringerli in alcun modo a partecipare a operazioni militari. Questi ordini sono stati regolarmente ribaditi alle forze armate durante tutta la guerra».

«Le accuse di cattiva condotta vengono esaminate accuratamente e, quando vengono forniti dettagli identificativi, la questione viene indagata in modo approfondito», si è sempre difeso l’Idf. «In diversi casi, sono state avviate indagini». Ma in questi due anni non risultano soldati condannati per questo. Le indagini interne all’Idf sugli incidenti che hanno comportato l’uccisione di civili non hanno portato praticamente ad alcuna responsabilità disciplinare o legale, sottolinea il Guardian, riferendosi a quanto affermato dall’esercito. 

Nessuna condanna a nessun militare neanche per i casi dei civili palestinesi uccisi mentre erano in fila in attesa di aiuti umanitari, nei centri gestiti dalla Ghf. Secondo l’Onu sono oltre un migliaio le persone uccise in queste circostanze. E nel documentario testimoni raccontano di soldati che sparavano sui civili in fila. 

«Mi sento come se avessero distrutto tutto il mio orgoglio di essere israeliano, di essere un ufficiale dell’Idf», dice Daniel nel documentario, ricorda il Guardian. «Tutto ciò che rimane è la vergogna».

10 novembre 2025 ( modifica il 10 novembre 2025 | 16:57)