La squadra rivelazione della pallavolo maschile non può che essere la Bulgaria. Un team tosto, con grande talento ben orchestrato da Gianlorenzo “Chicco” Blengini, volto storico della Nazionale italiana di pallavolo impegnato dallo scorso anno in un’avventura dai contorni straordinari. In appena dodici mesi infatti l’allenatore ha portato i suoi ragazzi in Finale negli ultimi Campionati Mondiali, dove hanno dovuto cedere il passo proprio all’Italia. Il coach ha parlato della sua esperienza ai microfoni di OA Sport, in occasione di una lunga intervista rilasciata ad Alice Liverani sul nostro canale YouTube.
Il CT ha parlato inizialmente proprio della recente impresa compiuta nella rassegna iridata: “Io credo che il termine eroe sia un po’ esagerato ovunque, non solo in Patria o extra Patria; nel senso che noi regaliamo, se ci riusciamo, emozioni e questo di per sé già è una grande gratificazione. Lo sport vive di momenti, non solo di emozioni, ma di situazioni; e ce ne sono state di bellissime in Italia, con l’Italia, con i club che ho allenato ed ora questa con la Nazionale bulgara è particolarmente sorprendente. Poi secondo me in Bulgaria me ci sono alcune sfumature che la rendono qualcosa che va anche al di là della parte sportiva perché così è stato e questo è davvero unico e indimenticabile“.
Successivamente, l’allenatore ha parlato delle due star del suo roster, i fratelli Nikolov: “Credo che tutte le squadre abbiano dei giocatori più incisivi negli equilibri di gioco; uno parla del fratello vecchio come se fosse un giocatore navigato ma stiamo parlando di un ragazzo di 21 anni, sembra si parli di un trentenne solo perché il fratello è molto piccolo d’età e perché lui è sulle cronache da più tempo, nel senso che è venuto alla Lube con me già diversi anni fa. Loro due sono i giocatori di cui si parla di più per le qualità che hanno, per quello che mostrano nonostante la giovane età, per quanto incidono in termini di punti e di presenza nei vari risultati. La loro qualità credo sia quella di stare all’interno di un gruppo esattamente come uno dei 14, come uno dei tanti; questo secondo me li rende particolarmente speciali. Non è scontato che giocatori più popolari, che hanno un impatto sulle partite così chiaro poi riescano a essere nel comportamento nell’attitudine come gli altri”.
Blengini ha poi proseguito parlando di Simeon Nikolov: “Ha una popolarità che è straordinaria, la parentesi negli Stati Uniti di un anno lo ha aiutato; gli USA numericamente sono molto invasivi, anche a livello di social media. Avendo fatto questo anno lì in cui si è parlato molto di lui e da subito è rimasto sulla bocca di molti, se non di tutti; muovendoti in giro per il mondo con lui te ne rendi conto. Ho avuto il privilegio e la fortuna di girare con diversi giocatori molto popolari, però devo dire che su di lui c’è davvero una un’attenzione veramente particolare, molto grande anche di persone lontane dal mondo della pallavolo. Questo per capire il potenziale di popolarità. Poi queste cose dipendono anche dalla volontà che uno ha di espandere questa cosa: io ho avuto giocatori che avevano un potenziale di popolarità molto grande ma che non gli interessava; gli interessava solo giocare a pallavolo. Dipende molto da te, da quanto ci lavori dentro“.
Il nativo di Torino ha poi proseguito: “Penso che la virtù principale che debba avere un allenatore sia quella di adattarsi, cercare di capire con chi si ha a che fare e cercare di trovare il modo di empatizzare con ognuno dei ragazzi a seconda del momento in cui ci si relaziona; la relazione è sempre mescolata al contesto. Io non credo alle generalizzazioni, credo molto nelle persone e all’interno di questo nella capacità che si ha di capire il momento. Per questo non farei un discorso generale su com’erano i giovani dieci anni fa. È chiaro che oggi ci sono degli argomenti che magari un po’ di tempo fa non c’erano, come i social. Quando sono arrivato in Bulgaria, mi descrivevano i giocatori etichettandoli come ‘quello pigro’, ‘quello più sveglio’. Ci sono delle caratteristiche generali, è vero, però noi andiamo sulla persona. Noi abbiamo l’individuo e lo dobbiamo trattare come tale al di che sia italiano, bulgaro, polacco, brasiliano o che sia un ragazzo di oggi o di quindici anni fa“.
Il coach ha poi parlato delle difficoltà che si riscontrano nel ruolo di selezionatore: “La Nazionale non è un club e quindi tu non hai una reale possibilità di scelta aperta; con un club fai un mercato e nei limiti delle possibilità economiche puoi più o meno cercare di costruire una squadra sulla base di quella che è la tua idea, di quelle che sono le tue possibilità. La Nazionale non è così: i giocatori sono quelli. Devi capire quali sono quelli migliori. All’interno delle possibilità puoi scegliere dei giocatori per seguire un’idea degli equilibri. Io credo che bisogna essere realisti e capire le cose buone o non buone in base a quello che uno ha ed in base a quali giocatori hai a disposizione. Quello che è importante secondo me è cercare la qualità, non l’età. L’età per me non è un valore perché a volte si parla dei giovani come se fosse un difetto, altre volte dei vecchi come se fosse un difetto al contrario o di entrambe le cose come fossero dei pregi, vedi il giovane più resistente e migliorabile o il vecchio con esperienza. La cosa importante è capire chi ha maggiore qualità. Alla fine, vinci o perdi con la qualità tecnica, fisica e attitudinale nel migliorare il gioco che metti in campo. Vince chi gioca meglio prima di tutto. La scelta si deve basare su quello, poi sugli equilibri. Noi quest’anno abbiamo avuto mille prime volte, la prima finale, la prima partita dentro-fuori, tante prime volte anche da parte dei giocatori. La Nazionale bulgara è la rivelazione? Stiamo andando su questa direzione, prima mi davano tutti per matto”.
Blengini ha quindi approfondito: “Queste nazionali sono sempre viste come un cuscinetto. Io invece avevo diverse opportunità alternative e ho proprio scelto questo progetto. È chiaro che loro sono stati molto aggressivi nella proposta, perché volevano a tutti i costi convincermi da tanti punti di vista. Io vedevo un potenziale che forse altri non è che non vedevano ma magari non conoscevano o conoscevano in modo limitato. Io invece avevo già una profondità di conoscenza più grande. Poi avevo voglia di provare a costruire qualcosa da zero. Era e rimane un progetto che ha come target finale quello di provare a qualificarsi alle Olimpiadi con cinque anni di tempo, quindi una roba lunga; il futuro dobbiamo costruircelo, c’è già un presente interessante, abbiamo anticipato delle tappe, abbiamo anticipato molte cose che sognavamo di vivere solo dopo, vedi la finale mondiale. Non ci lamentiamo di esserci arrivati prima del tempo, ma sarà difficile ripetersi. È chiaro che migliorano le basi, però dobbiamo essere capaci di mantenere stabilità nel procedere all’interno del percorso. Le vittorie se sono gestite bene aiutano a vincere perché danno autostima. Noi eravamo davvero molto lontani. Quando ho preso la Nazionale bulgara era ventitreesima nel ranking, ed oggi il ranking è il criterio principale di qualificazione alle Olimpiadi. C’è quindi bisogno di fiducia, di autostima, perché partendo da così lontano il rischio è che se i risultati tardano ad arrivare uno pensa di non potercela fare; questi sono passaggi che ci fanno percepire chiaramente che invece si può fare; è difficile, molto difficile, e da adesso in avanti lo sarà ancora di più per tanti motivi”.
Il successo con la Bulgaria non deve però essere inteso come una ripicca nei confronti dell’Italia, così come sottolineato dall’allenatore stesso: “Io non vivo questo tipo di approccio; con l’Italia io ho fatto un percorso che tutt’oggi rimane il cammino più lungo che sia stato fatto in Nazionale dopo Velasco con la maschile; io ho fatto sette anni, sette stagioni, contando anche quella del Covid, è tantissimo come permanenza; ho fatto due Olimpiadi consecutive, anche questa è una roba che non è così normale. Sono molto orgoglioso di aver fatto esordire con me tutti questi ragazzi che oggi sono la Nazionale italiana; l’unico che non c’era era Romanò, il quale era nel gruppo B perché c’erano le alternative. Per il resto sono solo percorsi: noi siamo arrivati alla fine del secondo ciclo olimpico con un comune accordo di cambiare progetto. Quindi non l’ho mai vissuta né come una bocciatura, né come se mi fosse stato tolto qualcosa che sentivo mi appartenesse, né come un’ingiustizia. Nel nostro lavoro ci sono percorsi, ci sono progetti, e quello è stato indimenticabile. La cosa che mi rende più orgoglioso è avere questi feedback dai ragazzi dopo anni; una restituzione di affetto così grande vale come una medaglia, come delle finali. Noi allenatori viviamo di sfide, almeno io vivo di sfide, questa della Bulgaria è la più grande che ho deciso di provare a costruire. Ma non la vivo come una rivincita. Faccio l’allenatore perché mi piace, perché ho sempre sognato di vivere di sport; era impensabile farlo da atleta, ho cercato non forzando una collocazione. Ho provato a fare l’allenatore, sembra funzioni quindi vado avanti sembra”.
Non è mancato inoltre un commento sulla Superlega: “Il Campionato italiano è cattivo. Ho diversi stimoli, tanti club mi chiedono di fare il doppio in carico. Per fare l’allenatore della Nazionale devi lavorare bene dodici mesi, creando anche dei percorsi per i tuoi ragazzi, per aiutarli a crescere. Molto dei miei che l’anno scorso giocavano in Bulgaria, quest’anno sono in Italia, a loro dico sempre che il nostro Campionato è difficile e cattivo. Tutti gli anni diciamo sempre che è più difficile dell’anno scorso perché poi in realtà è molto alta la richiesta di continuità; si fa fatica a stabilire chi è più forte, chi è meno forte, perché poi sappiamo che con un Campionato che si gioca col playoff vincerà chi sarà in quel momento colui che ha meno infortuni, che ha un equilibrio mentale migliore. È tutto molto equilibrato. Si aggiunge Verona che è una squadra quest’anno non solo pericolosa ma veramente forte con degli equilibri da trovare ma con la freschezza di non avere l’obbligo di vincere a differenza di altre. Per la lotta dietro c’è una bagarre. Come sempre nel Campionato italiano riuscirà a raggiungere i propri obiettivi chi ha la continuità maggiore. La richiesta di costanza nelle performance di non scendere mai sotto un certo livello rispetto alle tue qualità è una cosa che non ti richiede nessun altro Campionato al mondo. Stabilire chi è favorito è veramente molto difficile perché ci sono almeno quattro squadre che possono vincere, e Verona è tra queste”.
Partire, impegni fuori casa, sacrificio. Ma chi è “Chicco” fuori dal campo? “Sono un papà di una ragazza che ahimè ha scelto di giocare a pallavolo; con orgoglio cerco di dare il mio contributo nonostante la mia perdurante assenza. Io ho la fortuna di avere una donna al mio fianco che in questo è un equilibratore straordinario, oltre che veramente una santa: fa la mamma, il papà, il marito, la moglie perché io sono sempre dietro questa palla cercando di non farla rimbalzare nel nostro campo ma in quello dell’avversario“.
L’INTERVISTA INTEGRALE A “CHICCO” BLENGINI