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Il mistero dell’«armadio di Roma» è tornato a galla: a 31 anni dall’omicidio di Antonella Di Veroli –  il corpo trovato nel suo armadio sigillato con mastice nel quartiere Talenti – la Procura di Roma ha ufficialmente riaperto le indagini. A depositare l’istanza, sia pur funzionalmente, è stato l’avvocato della sorella Carla, Giulio Vasaturo: una tegola giudiziaria che apre la stagione di una nuova speranza per un caso rimasto irrisolto dal 1994. A riportare la notizia è Repubblica. 


APPROFONDIMENTI

L’OMICIDIO – Antonella, consulente del lavoro di 47 anni, fu trovata il 12 aprile 1994 in un armadio della sua abitazione in via Federico De Roberto, rannicchiata con un sacchetto di plastica sul volto, le ante sigillate con silicone e pigiama ancora indosso.

Due colpi di pistola alla testa non furono fatali: la morte fu causata da asfissia, i proiettili servirono solo a immobilizzarla. Le indagini iniziali si concentrarono su due uomini: l’ex socio e presunto amante Umberto Nardinocchi, prosciolto senza processo, e il fotografo Vittorio Biffani, processato ma assolto in tutti i gradi di giudizio (definitivamente nel 2003). Un’impronta sull’armadio appartenente a una terza persona e una presunta testimonianza sul guanto di paraffina si rivelarono inattendibili o attribuite a ignoti. 

Antonella Di Veroli uccisa e chiusa nell’armadio, nuova pista 30 anni dopo l’omicidio

Nei decenni successivi il caso restò freddo. Solo nel 2011 fu tentata una riapertura delle indagini, che però non portò ad alcun risultato concreto. L’interesse pubblico, però, non si spense del tutto: nel 2023 due giornalisti, Diletta Riccelli e Flavio M. Tassotti, rianalizzarono il fascicolo sottolineando un bossolo mai esaminato e una telefonata partita dal telefono della vittima nella notte del delitto mai approfondita (verso un taxi), elementi che oggi potrebbero essere determinanti con i mezzi scientifici moderni. L’istanza alla Procura di Roma – depositata in aprile 2024, a 30 anni esatti dal fatto – invoca l’analisi delle tracce mai processate: impronte digitali e biologiche sull’anta dell’armadio, sul tubetto del mastice, sul bossolo ritrovato. Imprescindibile sarebbe accertare un profilo di DNA con le tecnologie odierne. Ora il fascicolo è ufficialmente riaperto: la procura ha nominato il pubblico ministero incaricato, che nelle prossime settimane deciderà se proseguire ufficialmente con la nuova indagine, accogliendo l’istanza della famiglia. 

LE PISTE – Per Carla Di Veroli, la sorella, non si tratta di un delitto d’impeto o passionale, ma «legato al lavoro». Antonella, secondo la sua ricostruzione, aveva rifiutato di firmare un bilancio truccato: un atto che avrebbe potuto scatenare uno scandalo e generare un movente professionale. La pista di un possibile terzo uomo, rimasto finora ignoto, resta centrale per la sua strategia di ricerca della verità. Quell’uomo, secondo alcuni testimoni, sarebbe stato visto armeggiare con una busta di plastica davanti al portone di casa la notte in cui Antonella scomparve. Uno di questi dichiarò anche che in effetti una telefonata notturna era partita verso un radiotaxi, ma nessuno fu mai ascoltato né la società taxi coinvolta fu indagata.


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