Nadine procede incerta sotto la tettoia azzurra. L’andatura contrasta con il portamento elegante della giovane, 26 anni, lunghe treccine nere, corpo minuto e sandali ai piedi. Appena incrocia l’operatrice dice tutto d’un fiato, come se sputasse le parole creole: «Voglio vedere il dottor Joseph». È la frase in codice. Non è necessario aggiungere altro. Il personale dell’ospedale di Medici senza Frontiere (Msf) a Drouillard, propaggine di Cité Soleil, baraccopoli-simbolo di Port-au-Prince, conosce a memoria la formula. Subito a Nadine viene spiegato di seguire le frecce rosse disegnate sui vialetti in cemento bianco. Il percorso per la “stanza delle sopravvissute”. Seduta sulle panche lungo le pareti c’è una quindicina di donne di ogni età: adolescenti, adulte, anziane. In un angolo è accucciato un uomo, l’unico. Tiene in braccio una bimba di quattro anni, avvolta in una gonna di tulle inspiegabilmente candida: la strada per la clinica è un pantano di fango e spazzatura. Anche la piccola è qui per «il dottor Joseph». Come le altre. «Non è raro, purtroppo. Anzi, è una mattina buona – dice Anna Sophie Morel, coordinatrice di Msf ad Haiti –: a volte sono di più. Non so se sia un bene o un male. Forse più donne conoscono il progetto e decidono di farsi aiutare. Oppure, invece, sono solo di più. Un fatto è inconfutabile: dall’inizio dell’anno, i casi sono in forte aumento, almeno il 60 per cento in più: nel primo semestre ne abbiamo registrato 2.600».
Il soggetto resta volutamente sottinteso. Nella “Repubblica delle gang” – dove l’implosione dello Stato ha lasciato l’isola in ostaggio dei gruppi armati, illegali come le bande e i paramilitari, o legali, come in contractor appena arrivati –, la pandemia dello stupro non ha cancellato lo stigma. Al contrario. «Non solo le hanno violentate. Lo hanno detto ai vicini: quando uscivano, così, le guardavano tutti. Le “amichette” dei banditi. Prede facili per chiunque», racconta Norette, 46 anni: è qui non per sé stessa ma per le figlie di 16 e 14 anni, aggredite lo stesso giorno, a marzo. «Dopo non volevano più uscire di casa. La più piccola aveva smesso anche di mangiare. Ha cercato di uccidersi…. – sussurra con visibile sforzo – Ora stanno un po’ meglio, da quando vengono dal dottor Joseph».
«Le superstiti fanno molta fatica a parlare di quanto hanno subito: provano vergogna, si sentono in colpa. Già lo stupro è di per se un trauma ma ad Haiti viene perpetrato con ferocia inaudita: le donne sono picchiate e abusate da vari uomini – sottolinea Anna Sophie Morel –. Per garantire la loro riservatezza, abbiamo inventato l’escamotage del dottor Joseph. Chi fa questo nome, viene indirizzato al nostro progetto di assistenza psico-fisica per chi subisce violenza sessuale».
«Quando me l’hanno detto, all’inizio, non capivo. Ero venuta da Msf per mio figlio che aveva la febbre altissima. Una ragazza mi ha parlato del programma. Ha capito che era accaduto anche a me. Me l’ha letto negli occhi spenti, come i suoi. Ed eccomi qui». Berenice, 35 anni, è stata violentata due volte. La prima, il 6 luglio 2024 quando, prima della tregua seguita dalla nascita della “federazione criminale” Viv Ansanm, G9 aveva attaccato Broklyn, roccaforte della gang rivale, G-Pep, a poca distanza da Drouillard, e, nella razzia indiscriminata, aveva ucciso il marito. La seconda, il 2 agosto di un anno dopo quando era rifugiata a Delmas 19. Una banda ha fermato il tap tap – gli scassati furgoni che fungono da trasporto pubblico – su cui viaggiava e ha fatto scendere le donne. «Ci hanno portato in un vicolo. Erano in tre… – afferma con tono sempre più commosso –. Sa qual è la cosa peggiore, più delle botte, della violenza, dell’umiliazione? So che potrebbe accadere ancora». Con le istituzioni liquefatte e le forze di sicurezza prive di mezzi, i civili sono senza difesa. Le donne, come i bambini, sono i bersagli più facili: la guerra haitiana del tutti contro tutti è incisa sui loro corpi. Secondo le Nazioni Unite, le gang utilizzano lo stupro come arma di guerra per creare terrore nelle zone controllate dai rivali e scoraggiare delazioni. In pubblico, i boss – a cominciare dal capo di Viv Ansanm, Jimmy Chérizier alias Barbecue – negano con sdegno. Soprattutto ora. Dalla scorsa primavera sono sbarcati nell’isola i miliziani “arruolati” dal premier Alix Didier Fils-Aimé e pagati con i soldi dell’Amministrazione Trump per «mettere ordine», bypassando il sistema multilaterale. I loro droni, scagliati nei bastioni delle bande per stanare i capi senza curarsi delle vittime collaterali, le hanno indebolite e costrette alla difensiva. È cruciale, dunque, guadagnare consensi fra la popolazione.
Negli ultimi tempi, i banditi hanno, dunque, moltiplicato gli interventi social per negare di avere a che fare con le violenze, in particolare sessuali.
Anzi, garantiscono di avere dato ordine preciso di rispettare gli abitanti e chiedono di denunciare i “disobbedienti”. Per dimostrare le “buone intenzioni”, non si limitano alle parole: i sottoposti accusati di stupro sono puniti con un proiettile nella mano o nel piede. I casi di “giustizia fai da te” si moltiplicano, confermano fonti ben informate. Difficile, però, per le haitiane credere che si tratti di trasgressioni isolate. Cuffia di plastica in testa per proteggere i capelli dalla polvere e ripararsi dal sole, maglia a maniche lunghe nonostante l’afa di mezzogiorno, un’altra giovane si affaccia all’interno della tettoia azzurra. Si guarda intorno, diffidente. Poi si inoltra fino al banchetto, appena oltre l’entrata. «Il dottor Joseph – dice, sottovoce –. Voglio vedere il dottor Joseph».
(13.Continua)