Sono gli anni della ribalta per Edward Berger. Dopo aver fatto breccia nella giuria dell’Academy con Niente di nuovo sul fronte occidentale (che si aggiudicò gli Oscar per il miglior film internazionale oltre a miglior fotografia, miglior colonna sonora e miglior scenografia) e con il successo di Conclave (Oscar alla miglior sceneggiatura non originale), il regista tedesco continua il suo sodalizio con Netflix per il suo nuovo film La ballata di un piccolo giocatore.

Se però Niente di nuovo sul fronte occidentale era una versione sconvolgente e dinamica della tragedia della Prima guerra mondiale descritta da Erich Maria Remarque nel suo libro, mentre l’altro un avvincente e astuto adattamento del romanzo di Robert Harris (qui potete recuperare la nostra recensione di Conclave), è chiaro fin da subito che La ballata di un piccolo giocatore – anche questo tratto dall’omonimo libro di Lawrence Osborne – non è lontanamente fatto della stessa pasta degli altri due lavori che hanno reso ormai famoso Edward Berger.

Un’odissea ben confezionata

Il film segue Lord Doyle (Colin Farrell), un giocatore d’azzardo in fuga dal proprio passato e dai propri debiti tra i casinò scintillanti di Macao. Mentre l’investigatrice privata Cynthia Blithe (Tilda Swinton) si mette sulle sue trecce, Doyle resta affascinato dalla enigmatica Dao Ming (Fala Chen) conosciuta ad un tavolo da gioco. Edward Berger l’anno scorso aveva realizzato un film – Conclave – che, sulla carta, poteva non sembrare interessante ma che alla fine si era rivelato assolutamente avvincente, salvo poi quest’anno fare un film che, sulla carta, sembrava promettente ma che alla fine è dolorosamente noioso.

Quindi La ballata di un piccolo giocatore è un film estremamente strano: un thriller psicologico su una persona costantemente al verde, che raramente funziona. Lo spettacolo del giocatore d’azzardo Colin Farrell che precipita in questo surreale inferno di dipendenza è ben confezionato, fatto di un immaginario ed un’estetica che rasentano la perfezione. Ma dietro i neon di una Macao che sembra uscita dall’occhio di Nicolas Winding Refn, il racconto scompare e resta ben poco.

Un racconto senza spazio per la riflessione

Fotogramma dopo fotogramma, la storia di Lord Doyle diventa monotona e non acquista mai lo slancio che ricerca. Questo racconto sull’autodistruzione che passa attraverso la dipendenza non aiuta il film, ma è invece piuttosto derivativo. E ogni passaggio cardine de La ballata di un piccolo giocatore sembra andare via così com’è arrivato: senza rifletterci troppo sopra.

Eppure il racconto aveva tutte le carte in regola (il gioco di parole è voluto) per essere coinvolgente come gli altri film di Berger. A tratti sembra una storia alla Michael Mann, ma non viene lasciato abbastanza spazio per l’empatia e la comprensione di queste anime perdute, come quella del protagonista.

Grandi interpretazioni, ma…

Anche se l’abilità visiva di Edward Berger è sempre meticolosa (ben al di sopra della media dei contenuti Netflix), è uno stile che prevale sulla sostanza, in questo caso davvero debole. Chi cercava un film intenso e adrenalinico sul gioco d’azzardo ne troverà stranamente ben poco per una storia che parla proprio di questo.

Ma oltre alla ovvia perfezione visiva (guardate il trailer de La ballata di un piccolo giocatore per capire di cosa stiamo parlando), resta degna di nota l’interpretazione di Colin Farrell in coppia con una sempre deliziosa Tilda Swinton, che non sbaglia mai acconciatura e costumi. A tal proposito, rimanete dopo i titoli di coda per una simpatica sorpresa.

Un crescente senso di ansia dalle tinte horror però stona con il resto dell’atmosfera, anche per via di alcuni effetti speciali che lasciano un po’ a desiderare. La ballata di un piccolo giocatore crolla definitivamente sul finale: a tratti stimolante come il film, ma allo stesso tempo prevedibile e inconcludente. Come se si interrompesse a metà. Una chiusura per niente profonda rispetto a quanto creda di essere. Più che una piccola ballata, sa di un’occasione sprecata che – visti i presupposti – ci si aspettava avesse molto di più da dire.