Firenze, 10 novembre 2025 – Occhi lucidi e sorridenti, mani formicolanti dal lungo applauso, battute confidenziali che solo una famiglia può permettersi. È la reazione di chi ha appena finito di guardarsi per la prima volta sul grande schermo e non è un attore. A Tatti, piccolo borgo maremmano incastonato tra le colline di Massa Marittima, la famiglia è allargata, conta poco più di 200 persone. Più o meno quelle che ieri sono venute a Firenze per una domenica dal sapore unico. Al cinema la Compagnia c’è il Festival dei popoli e danno la prima italiana di “Tatti, paese di sognatori” di Ruedi Gerber.

“Questa è la nostra vita”

Più che film sarebbe meglio chiamarlo documentario, dopotutto “non siamo attori – ricorda Marco Verniani – quella che vedete è una parte della nostra vita”. Lui e il fratello Massimo sono i protagonisti. Ultimi contadini del borgo. Le loro storie si intrecciano inevitabilmente con quelle di un paese alle prese con la pandemia, ma soprattutto con un isolamento iniziato molti anni prima, con la globalizzazione e poi la crisi del settore minerario. Spopolato e con i servizi ridotti all’osso, il borgo ha evitato l’estinzione – infausto destino che accomuna molte piccole realtà dell’entroterra – con un forte spirito di sopravvivenza, voglia e capacità di reinventarsi. È qui che entra in gioco il regista. Ruedi Gerber, dopo una lunga carriera vissuta tra Zurigo e New York, è arrivato a Tatti per caso, per sbaglio anzi visto che “mi ero perso” ammette, e ha finito per sentirsi talmente a casa tanto da restarci. Perdersi per ritrovarsi, è proprio il caso di dirlo. Duecento ore di girato con uno sguardo che da forestiero è diventato autoctono. Allora è un reportage? No. È molto di più. “È una lettera d’amore a Tatti – dice lo stesso Gerber commosso a fine proiezione – È dall’inizio del progetto che aspettavo di mostrarlo a voi”. Ai tatterini in sala. Popolo di sognatori, come dice il titolo.

Con quelle distese di verde davanti agli occhi e l’aria fresca che accarezza le guance, è facile sognare. Immaginare un futuro diverso. Concretizzarlo è la parte più complicata, perché trasformare è mettere in discussione, richiede impegno, umiltà, sforzo. È così il paese dà il via a una silenziosa rinascita. Insieme ad altri nuovi abitanti – tra cui lo stesso Gerber, che acquista un vecchio podere e avvia un progetto agricolo – si riprendono in mano i terreni abbandonati. Il motore è “la voglia di andare avanti e di non lasciare un posto dove siamo nati” confidano Marco e Massimo.

“Andare via? Nemmeno per idea”

Il dilemma che accomuna chi nasce in realtà marginali, andare via o restare, non li ha mai sfiorati. “A mezz’ora di distanza hai la città, Grosseto, hai il mare e la montagna – continua Marco – e si vive con i giusti tempi, senza stress”. E anche chi è andato via per un periodo o sa che prima o poi dovrà farlo, si tiene stretti i motivi per tornare. “Come tutti i miei coetanei ogni tanto desidero anche io scappare – confida Emanuele Serra, 18 anni – a volte Tatti mi sta stretta. Ma la parte che preferisco di ogni viaggio è il ritorno a casa”. “La famiglia, la nonna che ti dice: ’ti ho preparato i tortelli’ – aggiunge Lisa Vultaggio, 25 anni. Calore umano, scalfito nelle pietre delle case, sprigionato dalla terra dei campi, sussurrato nel silenzio. “Tatti è speciale. Generazioni diverse si mescolano, nel rispetto e ascolto reciproco – racconta Gerber innamorato -. È un paese che non molla, si rimbocca le maniche. E poi accoglie, non si chiude in sé stesso”. Il film uscirà nelle sale a marzo. Una ricaduta sul turismo è probabile. E i tatterini vivono questa ipotesi senza montarsi il capo, né la paura di snaturarsi. Forti della loro identità.