Dopo l’ennesima raffica di assoluzioni del caso Bibbiano arrivata ieri dal tribunale di Reggio Emilia – dopo quelle dello psicoterapeuta e del sindaco del Pd – ci sarà un intervistatore che chiederà conto alla presidente del Consiglio della vergognosa speculazione politica da lei condotta su una vicenda tanto delicata e dolorosa come l’inchiesta sugli affidi di minori in Emilia Romagna? Qualcuno, prima o poi, lo farà senz’altro, perché c’è sempre uno che vuol fare l’originale o il bastian contrario, ma resterà, appunto, l’eccezione.

Del resto in quanti, negli ultimi tre anni, dinanzi ai roboanti discorsi di Giorgia Meloni in difesa dell’Ucraina, le hanno domandato perché mai dopo l’invasione della Crimea, nel 2014, non solo non avesse detto nulla di simile, ma avesse anzi chiesto ripetutamente di rimuovere le sanzioni alla Russia? Sono tre anni che sogno un programma televisivo, una trasmissione radio, una diretta instagram in cui qualcuno le domandi a bruciapelo: mi scusi, ma che le ha fatto di male la Crimea? Non si tratta di rivangare il passato, ma di vigilare sul presente.

In tanti si entusiasmano per la presunta evoluzione politica di Meloni (neanche i fan più sfegatati hanno il coraggio di estendere il giudizio al suo partito), da ultimo per la scelta di votare contro la mozione di sfiducia a Ursula Von der Leyen, presentata dal vicepresidente dello stesso partito europeo di cui fa parte Fratelli d’Italia (Ecr), nonché esponente di quell’estrema destra rumena antieuropea, no vax e filo russa per cui pure Meloni non ha esitato a fare campagna da Palazzo Chigi, in occasione delle ultime presidenziali a Bucarest (per fortuna senza successo). Questa diffusa idea di una evoluzione meloniana in direzione di un conservatorismo europeo, liberale e moderato è, nel migliore dei casi, una pia illusione.

Consiglierei di studiare al riguardo il precedente di Giuseppe Conte e del Movimento 5 stelle, non per niente anche loro tra i più accaniti propalatori delle bufale su Bibbiano e sul Pd che «toglieva alle famiglie i bambini con l’elettroshock per venderseli» (parola di Luigi Di Maio), ma soprattutto i primi a importare in Italia quel miscuglio di complottismo no vax, antieuropeismo e filoputinismo che sarebbe stato preso a modello e seguito passo passo prima da Matteo Salvini e poi da Giorgia Meloni.

Anche per l’Avvocato del popolo, dopo il suo incredibile passaggio da capo del governo M5s-Lega a capo del governo M5s-Pd, si sprecarono le analisi sulla sua presunta evoluzione europeista e democratica. Anche allora gran parte della stampa, per non parlare dei suoi nuovi alleati, decise di abbuonargli praticamente tutto quello che aveva fatto e detto fino a un minuto prima. Anche allora a segnalare il problema c’era praticamente soltanto Linkiesta.

Tra le rare eccezioni devo citare quella di Corrado Formigli, non foss’altro perché riuscì a ottenere dall’intervistato, nel 2021, questa sublime risposta: «Guardi, se lei legge i discorsi che ho fatto nel Conte uno e quelli del Conte due sono in assoluta continuità; predicavo un nuovo umanesimo nel Conte uno e l’ho predicato anche nel Conte due, e continuerò a predicarlo». Nuovo umanesimo a parte, il problema non è insomma la coerenza, ma la reversibilità delle scelte politiche. Come si è visto con il Movimento 5 stelle, e si vedrebbe sin d’ora, se solo si volesse guardare, con Meloni e Fratelli d’Italia.

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.