«Il vero nodo è che l’Ema decide, quando autorizza un farmaco, lo fa sulla base della legge europea che prevede solo tre criteri: qualità, efficacia e sicurezza. Questi elementi sono importanti, certo, ma non bastano. Non ci dicono qual è il rapporto tra un nuovo farmaco e quelli che già esistono. Se non si fanno confronti, ogni industria fa semplicemente “il meglio possibile” per portare sul mercato un nuovo prodotto. E questo è ciò che l’industria difenderà sempre. Così abbiamo continuamente nuovi farmaci, che però spesso non sono migliori dei precedenti». L’analisi, impietosa, è di Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. L’Ema invece è l’Agenzia europea per i medicinali, l’organismo dell’Unione Europea che valuta, approva e controlla i farmaci. Il meccanismo innescato dalla normativa vigente e dalla posizione di forza delle industrie farmaceutiche è che s’immettono sul mercato sempre nuovi farmaci che rispondono all’esigenza di aumentare i profitti, non di migliorare le cure.
Professore, il report di Aifa ci dice che in Italia si consumano molti medicinali.
«Il punto vero è che, oltre a qualità, efficacia e sicurezza, serve anche valutare il valore terapeutico aggiunto di un farmaco. Se un farmaco è meno attivo di uno che già esiste, non dovrebbe essere approvato. L’Aifa, che partecipa all’attività dell’Ema, ha due obblighi: il primo ovviamente è mettere in commercio tutti i farmaci approvati dall’Ema; il secondo è selezionare quelli che saranno rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale. Lo fa, ma senza un reale criterio di priorità. E allora il medico come può orientarsi? Prescrive ciò che trova sul mercato, ciò che gli viene presentato come “nuovo” o “utile”, ma non ha strumenti per discriminare in modo indipendente. Oggi è più facile fare ricerca su certi tipi di farmaci: basta modificare leggermente la struttura chimica di una molecola e si può ottenere un nuovo farmaco. L’industria fa ricerca, certo, ma la fa soprattutto su ciò che garantisce profitto, ha interesse a mettere in commercio sempre nuovi farmaci che però non sappiamo se sono migliori di quelli esistenti. I paesi che fanno parte dell’Ema dovrebbero cambiare le norme».
Questo cosa produce?
«Un esempio: noi abbiamo 2 milioni di persone che hanno 7mila malattie rare, di cui nessuno si occupa come ricerca perché c’è profitto. Eppure la Costituzione dice che lo Stato tutela la salute di tutti i cittadini. Non è vero: tutela la salute dei cittadini che hanno malattie che danno profitto. Bisogna cambiare la legislazione. Non solo: abbiamo 120 principi attivi contro l’ipertensione, ha senso? Si potrebbero fare per il servizio sanitario nazionale bandi pubblici e prendiamone soltanto un certo numero».
Come si affronta il gravissimo problema dell’antibiotico-resistenza.
«Con l’educazione. Serve un’informazione indipendente. Chi prescrive, prescrive solo sulla base della pubblicità di chi vende. C’è perfino chi assume un antibiotico, prima di prendere un vaccino. O ci sono le mamme che danno antibiotici a bambini anche se hanno malattie di tipo virali. E non abbiamo mai adeguato le confezioni degli antibiotici. Normalmente si danno due compresse al giorno per sei giorni. Bene, le confezioni italiane sono sempre di dieci compresse e così devo comprare per forza due confezioni. E così, quando magari una mamma vede che ci sono ancora delle compresse, in buona fede le dà al figlio se ha qualche linea di febbre».
Qual è lo scenario con cui abbiamo a che fare?
«In Italia siamo il Paese che prescrive più antibiotici della media europea. Abbiamo 10.000 morti all’anno per antibiotico-resistenza: significa un terzo di tutta l’Europa. Ricordiamolo: se abuso dell’uso degli antibiotici anche quando non ne ho bisogno, quando mi serve sul serio potrebbe non funzionare più. Ma ripeto: il problema è che tutta l’informazione deriva da chi vende. I medici vanno ai congressi? Paga l’industria farmaceutica. Le società scientifiche da chi vendono sostenute? Da chi vende farmaci. E c’è anche un altro fatto. Il mercato della medicina, come tutti i mercati, vuole aumentare. E allora si diminuiscono i livelli di “normalità” per allargare la platea dei potenziali consumatori. Per anni, il colesterolo “normale” era fino a 240 mg/dl; ora è sotto 180. La pressione normale era 140/90, oggi si parla di 120/60. È chiaro che così cresce il numero di persone considerate malate, e quindi anche il mercato dei farmaci».8
Come mai c’è questo aumento dell’uso degli psicofarmaci tra i minori?
«Molto dipende dai danni indotti dal Covid e dal fatto che non sono andati a scuola e per un periodo hanno perso le normali relazioni. Ma noi non sappiamo quasi nulla sugli effetti a lungo termine di molte sostanze chimiche sul cervello di un giovane. Non ci sono studi adeguati. E anche se li facessimo, i risultati si vedrebbero solo tra 30 o 40 anni. Lo stesso vale per la cannabis: oggi vediamo molti più casi di psicosi, schizofrenia e depressione. I danni si manifestano solo ora, dopo anni di uso».
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