L’attore è tornato in tv con ‘Il commissario Ricciardi’: “Il mio personaggio è un po’ Francescoli e un po’ Baggio. Commisso deve farsi delle domande, qualcosa non va”


Elisabetta Esposito

Giornalista

11 novembre 2025 (modifica alle 10:20) – MILANO

Sembra essersi proprio affezionato a questa “maglia”. Se nello sport, così come nello spettacolo, si vive di mordi e fuggi, Lino Guanciale è tornato a vestire i panni de ‘Il commissario Ricciardi’ (da ieri sera su Rai 1) per la terza stagione. “Un personaggio bellissimo a cui mi piace essere fedele. Sono contento che nessuno abbia esercitato la clausola rescissoria!”. L’attore di Avezzano, cresciuto a pane e rugby e tifoso viola per “mio padre e Baggio”, ha capito subito il nostro gioco, così quando gli chiediamo che ruolo abbia in questa squadra Maurizio De Giovanni, autore dei romanzi poi diventati serie tv di enorme successo, risponde senza esitare: “Maurizio è il presidente, uno di quei presidenti che la squadra se la inventano. E visti i risultati, questa se l’è inventata particolarmente bene”. 

Il suo Ricciardi in che posizione gioca? 

“Ricciardi somiglia a uno di quei numeri 10 riflessivi, un po’ ombrosi, che vedono il gioco meglio di tutti gli altri. Ricordate Francescoli? Oppure Cruijff, il calcio totale… Ma potrei dire pure Roberto Baggio, mio idolo indiscusso”. 

La sua Fiorentina non se la passa bene. 

“Non mi sarei mai aspettato un avvio di stagione così, il percorso fatto in questi anni, compreso l’ultimo, faceva pensare a tutt’altro. Viene da interrogarsi molto su quale sia il male della squadra e non mi riferisco solo ai calciatori. Qualcosa non funziona e faccio molta fatica a riuscire a essere lucido, viene voglia di dire andatevene tutti e ricominciamo da capo. Fossi in Commisso mi farei tante domande, ma molto puntuali, sulla direzione sportiva della squadra. I giocatori alla fine non sono male, ma non si è investito nel modo in cui forse si sarebbe dovuto. È evidente che un piano, se c’era, era schizofrenico. Bisogna ottimizzare le risorse e la prospettiva, qui per ora nessuno è riuscito a occuparsene. O forse nessuno ha voluto. Per questo chiamavo in causa il presidente: occorre fare un restauro in corsa tipo quelli dei reality americani, avete presente? Serve un Extreme Makeover…”. 

Forse anche alla Nazionale. 

“Mi auguro che Gattuso riesca a portare la solidità necessaria per venir fuori dall’impasse degli spareggi, perché salvo miracoli dovremo farli e stavolta bisogna passarli. Chi va in campo sembra poco convinto, di certo abbiamo avuto organici più forti, ma anche chi c’è oggi ha un ottimo potenziale: il problema è la mentalità e riguarda tutto il calcio, non solo chi gioca. Le giovanili azzurre vanno forte, ma riusciamo comunque a disperdere sistematicamente il nostro patrimonio, cosa che invece non accade in sport come rugby, volley, nuoto o pallacanestro. Lì i talenti vengono protetti, nel calcio no, bisogna ripensare qualcosa nell’architettura di questo sport, a partire dai club. Altrimenti questi ragazzi continueranno ad entrare in campo con le gambe che tremano e noi a restare fuori dai Mondiali”. 

Ha parlato del rugby. Lei ha giocato a lungo nell’Avezzano, arrivando a vestire la maglia azzurra dall’Under 16 all’Under 19, prima di capire di voler fare l’attore. 

“Il rugby è stato fondamentale nella mia vita. Anche io, come tanti adolescenti, fronteggiavo problemi enormi che riguardavano il rapporto con gli altri e questo sport di contatto, questo sport duro, mi ha aiutato tantissimo. Ero un bambino introverso, con tante insicurezze nel rapporto con gli altri dopo una prima elementare di quelle che lasciano il segno, con tanto di bulli d’epoca. Avevo gusti diversi dagli altri, amavo leggere, ero silenzioso, e venivo preso di mira. Poi è arrivato il rugby e si è aperto un mondo: sono riuscito a scardinare le paure attraverso il contatto fisico e a costruire relazioni perché ero circondato da persone convinte che passando la palla indietro si possa andare a segnare lì davanti. Non è un caso che sia venuto prima il rugby e poi il teatro, il rugby mi ha dato il coraggio di provare a fare questa cosa che così tanto mi spaventava, ovvero stare in palcoscenico”. 

Altre passioni sportive da spettatore o praticante? 

“Da praticante ahimè no, il lavoro purtroppo si mangia quasi tutto il tempo e quello che resta lo dedico a mia moglie e a mio figlio Pietro. Però per loro, soprattutto per stare vicino a mio figlio, ho buttato il cuore oltre l’ostacolo e ho imparato a sciare… Da spettatore ho beneficiato anch’io dell’effetto valanga azzurra del tennis: i successi dei nostri tennisti, da Sinner a Musetti, Berrettini, Arnaldi, Darderi, Cobolli, mi fanno venir voglia di vederli giocare. Io avevo vissuto il tennis seguendo prima Sampras e poi Federer, mi piaceva l’eleganza e l’intelligenza del gesto ma non ero mai stato un appassionato vero. Adesso lo seguo in un altro modo, con altra attenzione”. 

C’è una storia sportiva che vorrebbe portare sul palco o in sala? 

“C’è una storia meravigliosa che riguarda il più grande giocatore del rugby moderno, Jonah Lomu. È una storia che ha a che vedere con l’effimero del mito della gioventù dell’eroe: Jonah ha cambiato il rugby quando aveva 18-19 anni e l’ha cambiato per sempre, è stato l’eroe della mia generazione e delle successive, se n’è andato troppo presto per un male che se lo è portato via. Mi piacerebbe tanto raccontare la sua storia davanti a un pubblico e vorrei approfondire anche un’altra cosa: non sono mai stato un dietrologo o un complottista, però ci sono tante malattie che insorgono fra gli atleti la cui origine sarebbe prezioso e salvifico andare a indagare. Il terrore che lo sport fatto a certi livelli preveda che si entri in contatto con qualcosa che poi porta a un decorso così orribile un po’ ce l’ho”. 

“Principalmente ai casi di Sla, che non sono soltanto nel calcio. Mi piacerebbe studiare meglio questa materia, mi piacerebbe che se ne parlasse di più perché io credo che lo sport, anche ad alti livelli, sia per la stragrande maggioranza pulito, ma sarebbe bello se lo fosse nella sua assoluta totalità. Io per esempio ero un appassionato sfrenato di ciclismo, ma mi sono disaffezionato per i continui scandali. Ci vuole poco a rovinare una passione, a volte il tradimento è difficile da perdonare”.