Otto anni dopo aver appeso gli Oscar al chiodo, Daniel Day-Lewis torna a recitare in Anemone. Il suo ultimo ruolo risale al 2017 ne Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson. Ben tre statuette e una carriera fatta di grandi collaborazioni (oltre al già citato PTA, anche Martin Scorsese e Steven Spielberg) e grandi film (tra cui Gangs of New York, Il Petroliere e Lincoln), hanno consacrato Daniel Day-Lewis nell’olimpo dei migliori attori del cinema contemporaneo, se non il migliore. Quale attore vorrebbe mai ritirarsi arrivati a questo punto?

Eppure il ritiro dalle scene sembra una questione che tormenta il nostro Day-Lewis, perché prima di questa pausa di otto anni aveva “smesso” di fare l’attore già tra il 1997 e il 2001: era finito a fare l’apprendista calzolaio a Firenze, prima di tornare a recitare in Gangs of New York di Scorsese. Il miglior attore di Hollywood non poteva che essere un tipo particolare, ed è per questo che forse è attratto solo da storie peculiari, quelle che hanno bisogno di tempo. Evidentemente deve essere stato questo il motivo che lo ha riportato sul grande schermo, quando il figlio Ronan Day-Lewis gli ha proposto il ruolo da protagonista in Anemone, la sua opera prima.

Un paesaggio di sentimenti

Jem (Sean Bean), spinto dalla complicata relazione con suo figlio Brian (Samuel Bottomley), parte alla ricerca di Ray (Daniel Day-Lewis) un suo vecchio commilitone che adesso vive come eremita, convinto che solo lui possa aiutarlo. L’incontro riapre ferite e tensioni, portando i due a confrontarsi con un passato difficile e traumatico.

Anemone è un film che esplora i legami complessi e profondi che esistono tra fratelli, padri e figli. E la connessione tra padre e figlio – che in questo caso va oltre la finzione – è sicuramente tra i motivi che hanno riportato Daniel Day-Lewis a recitare, in questa occasione guidato dal figlio Ronan in una storia scritta a quattro mani da loro.

Ed è una storia molto “visiva” questa di Anemone, un film che si concentra soprattutto su un lato estetico potentissimo: una fotografia fenomenale che inquadra i paesaggi dell’Irlanda; dai piccoli centri ai tetri boschi scossi dal vento e dal maltempo che sembrano il luogo ideale dove i nostri protagonisti possono nascondere i loro segreti. E così quando Jem e Ray si ritrovano dopo venti anni, si muovono, si arrabbiano, mangiano, dormono e ballano in questi rifugi ripresi come fossimo in un film horror. Sullo sfondo del rapporto tra i due ci sono tempeste che incombono e mari burrascosi, un po’ a riprendere i loro caratteri e sentimenti.

Il peso di Daniel Day-Lewis

L’intuizione di Anemone si ferma qui però, annacquata da una storia e da delle motivazioni poco credibili né tantomeno potenti. La premessa del film è semplice, ma le informazioni vengono date con il contagocce e l’arrivo dello svelamento è trascinato per molto tempo. A quel punto l’attesa diventa estenuante: finita la voglia della scoperta, inizia la noia.

Questa mania di grandezza è sicuramente un inciampo tipico delle opere prime, come se il film pensasse di essere molto più intelligente di quanto non sia in realtà, con i suoi rimandi (neanche troppo velati) alla tragedia greca e delle scene dal sapore sci-fi che non trovano respiro. Potrebbe però essere contemporaneamente anche un caso di sindrome dell’impostore, perché in questa specie di nepotismo inverso, Anemone ha comunque dalla sua parte la presenza di Daniel Day-Lewis. Che i difetti più evidenti del film siano dovuti alla paura di non riuscire a reggere il peso della sua star protagonista?

Una recitazione unica

Effettivamente l’unica cosa che rende Anemone un film interessante è proprio Daniel Day-Lewis. Fin dai primi momenti in cui il suo volto ritorna sul grande schermo è, come sempre, su un altro livello: lo domina e non sembra passato neanche un giorno di questi otto anni; ma quando non c’è si sente il vuoto. Ha infatti molte scene in cui sfoggia tutto il suo arsenale recitativo (il figlio Ronan sa bene chi è suo padre e l’intensità dei monologhi che gli affida ne è la prova).

Non sarebbe una sorpresa vedere una nomination agli Oscar per questa interpretazione di Daniel Day-Lewis. Sean Bean invece esce sconfitto da questo confronto semplicemente perché tutto il film non regge su di lui, ma anche la sua è un’ottima prova – anche se più da “ascolto”, che da spalla.

In conclusione ad Anemone avrebbe giovato una lunghezza più contenuta e una maggiore sobrietà nel voler mostrare la sua vicenda, a favore di un racconto essenziale ma più potente. Si percepisce però che Ronan Day-Lewis possiede già uno sguardo e una mano capaci, che con il tempo potrebbero regalarci opere notevoli. Gli si perdonano queste incertezze, inevitabili per chi sceglie di debuttare con un film che segna anche il ritorno di un grande come Daniel Day-Lewis.