di
Ginevra Barbetti

L’attrice e regista porta in scena al Politeama Pratese i personaggi della sua lunga carriera. A Ballando sotto le Stelle ha dedicato un tango alla Magnani: «Anna? Indomita e scomoda»

«Una donna non muore, se da un’altra parte un’altra donna riprende il suo respiro» scriveva la scrittrice francese Hélène Cixous. Parole che Monica Guerritore sente sottopelle, testimone e interprete, nei suoi cinquant’anni di carriera, di tante figure femminili — da Madame Bovary, Giovanna d’Arco a Oriana Fallaci e Carmen, da Lady Macbeth alla giovanissima Anja del Giardino dei ciliegi diretta da Strehler — che oggi riporta sul palcoscenico nel nuovo spettacolo La sera della prima dove, tra aneddoti e ricordi, ripercorre i personaggi che hanno segnato la sua vita artistica. Interprete tra le più intense e libere del panorama italiano, Guerritore sarà al Politeama Pratese sabato 15 (ore 21) e domenica 16 novembre (ore 16), per inaugurare la stagione di prosa «100 anni. Una storia d’Amore», insieme a Nicolò Giacalone. Intanto, sul grande schermo, è protagonista con Anna, film che celebra la vita e la forza della Magnani.

Nel nuovo spettacolo riporta sul palcoscenico molte delle donne che ha interpretato: che viaggio sarà?
«Imprevedibile, come dovrebbe essere ogni volta che si offre al pubblico qualcosa di nuovo. Immagino chi verrà si aspetti di assistere a una carrellata “tradizionale” dei miei ruoli..».



















































Invece?
«Entro in scena senza parlare, vestita da hippie degli anni Settanta, con la musica di Gilbert O’Sullivan. Quel sottofondo è la colonna sonora dei miei inizi, il momento in cui mi sono avvicinata al teatro in modo del tutto fortuito».

È la musica ad accompagnarci dentro un preciso sentimento?
«Sì, e in quell’ambiente sentimentale colloco un monologo o un personaggio femminile. Da La Lupa a Madame Bovary, fino alla separazione — in scena e nella vita — da Gabriele Lavia in Scene da un Matrimonio e poi Giovanna d’Arco, con la sua forza. È un saliscendi continuo: con loro trovo il modo migliore per raccontare la mia vita».

C’è un momento in particolare che vuole raccontare?
«Dopo il grande successo di Manon Lescaut decisi di lasciare la televisione per diciotto anni. Avevo appena finito Il giardino dei ciliegi: l’Italia era ferma davanti allo schermo. La fama improvvisa mi fece intendere la potenza smisurata del mezzo, ma anche la sua grande pericolosità. Ricordo ancora le parole dure pronunciate da una scrittrice: “La Guerritore è piaciuta solo per i capelli!”».

Chi lo disse?
«Credo fosse Natalia Ginzburg. Ma non era vero — il tempo l’ha dimostrato. Avevo talento e i capelli, tra l’altro, erano posticci: li portavo lunghi per esigenze di scena, in realtà li avevo cortissimi! Sulle note di I Belong to you, canto la mia risposta a quella critica: “Da quegli anni in poi ho piantato i miei chiodi in scena, teatro dopo teatro, pubblico dopo pubblico…” è una sorta di cabaret, pieno d’umanità».

Uno spettacolo libero e passionale, come lei.
«Col mio collega Nicolò Giacalone abbiamo provato poco, ma non importa: voglio che questo racconto di me, fatto da me, resti aperto, libero, anche improvvisato. È questo il bello, si va in scena come nella vita! Cadiamo, per poi rialzarci, anche con un po’ di lecita paura. Sono queste donne, tutte loro, ad avermi dato la forza di riportare certi pensieri».

Una narrazione che è cambiata negli anni?
«Alla mia età posso parlare liberamente di ciò che accade a una donna quando attraversa un terremoto sentimentale o una salita della vita. Come in Inganno, dove lei sceglie l’autodeterminazione nel bel mezzo di una crisi, in piena solitudine. Ritrovo la Magnani, protagonista anche di questo spettacolo: una donna che ha vissuto sola, portandone il peso, con un figlio malato e un amore assente: “Non ho mai avuto altra scelta se non quella di essere forte”, diceva. In quelle parole, c’è il senso».

È un modello femminile che oggi manca?
«Il suo messaggio resta attuale, è il testimone da raccogliere per continuare a essere libere e vere. Quella donna indomita e scomoda meritava di essere mostrata nella sua verità umana, nella pittura interiore dietro la grande artista. Raccontarla è come cercare oro nella vita: scoprire, anche nel dolore, la sua forza autentica e femminile».

Ha avuto difficoltà nel trovare fondi per produrre il film. Si aspettava fosse così complicato?
«No, ma ho sempre pensato che fosse necessario farlo. Mancava una storia piena d’amore, di passione, forte e profondamente umana. Viviamo in un mondo dove tutto è calcolato, deciso a tavolino, e molti film sembrano costruiti da un algoritmo».

Il suo, invece?
«Scuote il pubblico, lo mette in discussione. Speravo di sentir dire a un produttore: “che bella idea!”, immaginavo che in un anno prendesse forma. Invece ci è voluto molto tempo, tra indifferenza e distrazione, e la cosa mi ha sorpresa. Quando proponi qualcosa di diverso, esitano. Però poi, se il film va bene, ne fanno dieci uguali! Faremo da apripista, chissà».

I riscontri, a ora?
«Tanti e positivi, ma abbiamo soltanto novanta copie rispetto alle quattrocento che avremmo voluto. Per questo si vince solo col sostegno del pubblico».

Ha dedicato alla Magnani anche un tango appassionato a «Ballando con le stelle»: si è divertita?
«Ci ho messo il cuore, le ho offerto ancora una volta me stessa. Abbiamo cercato di evocare il suo modo inconfondibile di stare al mondo: il gioco di “prendimi e respingimi”, la sfida ironica e passionale con l’universo maschile. Anna era accesa su tutto, sempre con spirito, intelligenza, con la sua forza travolgente».


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11 novembre 2025 ( modifica il 11 novembre 2025 | 17:50)