Estate, fine anni Ottanta. Dopo anni di allenamenti duri e regole ferree, Felice (Tiziano Menichelli), tredici anni e sulle spalle tutte le aspettative del padre, arriva finalmente ad affrontare i tornei nazionali di tennis. Per prepararlo al meglio, il genitore (Giovanni Ludeno) si affida al sedicente ex-campione Raul Gatti (Pierfrancesco Favino), che vanta addirittura un ottavo di finale al Foro Italico nella sua fulminea ma impressionante carriera. Di partita in partita, i due iniziano un viaggio lungo la costa italiana, che tra sconfitte, bugie e incontri bizzarri porterà Felice a scoprire il sapore della libertà e Raul a intravedere la possibilità di un nuovo inizio. Tra i due nasce un legame inatteso, profondo, irripetibile. Come certe estati, che arrivano una volta sola e non tornano più.
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Il Maestro – Una galleria di immagini
A due anni dal successo di quel piccolo gioiello neo-noir di rilettura del genere de L’ultima notte di Amore, che alla Berlinale 73 dimostrò come il cinema italiano di genere funzioni ancora se calibrato e interpretato al meglio, Andrea Di Stefano e Pierfrancesco Favino tornano al cinema con Il Maestro, una bella “dramedy” tennistica. Presentato in anteprima mondiale, fuori concorso, all’82esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia – dove ha saputo rubare il cuore ai suoi primi e fortunati spettatori – il film arriva finalmente al cinema con Vision Distribution.
Una storia vera, o quasi
Si tratta del quarto film per Di Stefano, uno che negli anni ha dimostrato di non avere paura di sporcarsi le mani. E in questo parla chiaro – e bene – il suo esordio alla regia del 2014: Escobar, ovvero vestire un gigante del cinema contemporaneo come Benicio del Toro nei panni caratteriali del quasi omonimo trafficante colombiano, per poi raccontarne la figura, di riflesso, attraverso l’amore tra la nipote di lui, Maria (Claudia Traisac), e il canadese con la passione del surf, Nick (Josh Hutcherson). Undici anni – e con in mezzo anche il coinvolgente ma poco celebrato The Informer – dopo, Di Stefano va oltre le riletture di genere che hanno caratterizzato il suo excursus registico per realizzare il suo film più canonico e semplice in termini strutturali come solo può esserlo un grande classico come il road movie ricalibrato nelle forme di un racconto di formazione in salsa sportiva, ma paradossalmente più personale. Perché, e in questo la dedica in apertura di racconto parla chiaro, è al proprio padre che Di Stefano si rivolge.

Pierfrancesco Favino e Andrea Di Stefano sul set.
E con lui a quelli indicati nelle note di regia come: “I mentori imperfetti, feriti ma pieni di cuore”. Una storia vera, quindi, ma con le dovute licenze, in modo da diventare una parabola universale sulla vita e i suoi dolori attraverso la magia del cinema. Ed è proprio questo il marchio di fabbrica Di Stefano, perché alla maniera de L’ultima notte di Amore che si servì della cornice neo-noir per raccontare di uomini al limite messi alle strette dalla vita e dalle scelte rese tragiche dal caso, lo stesso accade ne Il Maestro, seppur in forma e toni altri. A volte comica, altre drammatica, ma sempre con una dolcezza di fondo che rende la visione coinvolgente ed emotiva lungo le sue quasi due ore di durata a ritmo dosato, quella di Di Stefano è un’ode alla bellezza dei legami umani che ci ricorda, prima di tutto, come nessun uomo è e può essere un’isola, anche se lo vorrebbe con tutto sé stesso.
Quattro chiacchiere con Andrea Di Stefano e Pierfrancesco Favino
In occasione dell’uscita de Il Maestro, abbiamo avuto l’opportunità di lanciare qualche domanda al regista e all’attore protagonista. L’intervista è disponibile anche in formato video.
IGN Italia: Due anni fa L’ultima notte di Amore alla Berlinale, adesso Il Maestro a Venezia, quindi: com’è andata?
Andrea Di Stefano: Beh, com’è andata? (ridono). Durante la promozione de L’ultima notte di Amore abbiamo capito che eravamo tutti e due la ricerca di qualcosa che ci mettesse un po’ in difficoltà, alla prova, e credo che con Il Maestro abbiamo trovato qualcosa di molto vicino. Rispetto anche a L’ultima notte di Amore, che era un film completamente diverso da quelli che avevo fatto in precedenza, quello di Raul Gatti era un ruolo estremamente complicato da affrontare per qualsiasi attore. E credo che Pierfrancesco abbia fatto un lavoro unico nel modo in cui l’ha interpretato; sono molto felice di quanto è successo.
IGN Italia: Potremmo quasi iniziare a parlare di sodalizio a questo punto?
Pierfrancesco Favino: Ma anche senza “quasi”, oggi un sodalizio trova una sua forma sul set ma anche fuori, in uno scambio di consigli su cose che ci riguardano (come magari non ci riguardano) ma sempre seguendo una precisa idea di cinema per l’oggi che possa essere contemporaneamente popolare e di intrattenimento, e che possa soddisfare il suo pubblico, aiutarlo a sopravvivere e ad emozionarsi, farlo divertire però senza per forza adularlo. Un percorso di crescita, e come diceva Andrea prima, una sfida costante a noi stessi nella quale abbiamo trovato un canale di comunicazione. Ora non so se ci facciamo del bene l’un l’altro (ride), però, insomma, non ci sforziamo.
Andrea Di Stefano: Aggiungo, c’è vera stima nei confronti di Pierfrancesco per cui è proprio il piacere di scrivere per lui.
IGN Italia: Al di là del tono scelto, comunque, commedia, dramma, ciò che colpisce de Il Maestro è la sua cifra umana: “Si è soli come in un campo da tennis”, come vi siete approcciati a questo concetto?
Andrea Di Stefano: Mah, io penso che faccia parte della crescita naturale di un film, quando uno scrive la sceneggiatura sicuramente si pone degli obiettivi con delle scene che vuole inserirvi. Poi, però, c’è quell’elemento magico sul set, quando gli attori entrano in scena e sono ispirati, Pierfrancesco, Dora, Tiziano, e lì prende la sua dimensione qualcosa che potevo solamente sperare. È questa la cosa bella del cinema, che c’è tanto valore umano anche all’interno della creazione di un film; in questo caso, con Il Maestro, penso che siamo stati particolarmente fortunati.
Pierfrancesco Favino: Per quel che mi riguarda il motivo per cui continuerò a fare questo mestiere è che mi piace come tutti gli esseri umani siano diversi, tutti meravigliosamente contradditori. Ancora oggi mi appassiona l’idea di conoscere qualcuno che mi sorprenda. È per questo che Raul Gatti mi ha fatto da subito enorme simpatia, e a volte anche un po’ rabbia. Ha un mondo dentro che fatica a tirar fuori, un po’ come tutti noi, e infatti spero ce qualcuno si riveda ne Il Maestro e in questa cosa che dicevi tu. L’obiettivo di non essere per forza vincenti, perché a volte può perfino capitare che si abbia paura di vincere.
La vita intorno a un campo da tennis
In questo il tennis è un elemento congeniale al racconto, perché battaglia di ingegno e forza tra due isole in movimento lungo il rettangolo di gioco, con una sola striscia di rete a separarne le parti. È l’atteggiamento in campo a fare la differenza. Specie poi quando Di Stefano se ne serve per arricchire non solo la componente caratteriale dei suoi agenti scenici, ma anche il conflitto nella sua interezza nel raccontare del tennis ragionato che gioca di rimessa del padre ingegnere, e quello aggressivo, d’attacco, che accorcia il campo e colpisce per primo dell’ex-campione Gatti. Vale a dire due modi diversi e dicotomici di vivere e di prendere scelte che, a lungo andare, plasmano personalità diametralmente opposte come testimonia l’evoluzione caotica e sempre in bilico del giovanissimo Felice del talentuoso Menichelli, il cui conflitto interiore ci mette poco a manifestarsi esteriormente. È, però, con la dimensione caratteriale del Gatti di un Favino mattatore e impareggiabile trascinatore, che il discorso critico intorno a Il Maestro si intensifica sempre di più.

Tiziano Menichelli è una piacevole sorpresa.
Perché è un’anima indomita, Gatti, eppure fragile, spezzato, anestetizzato dalla vita sino a essere reso del tutto inoffensivo da delle batoste che avrebbero annientato chiunque. Non lui, però, che anche quando l’oscurità sembra averlo avvolto del tutto, trascinandolo nell’oblio del proprio lato oscuro fatto di paure, fallimenti e occasioni mancate, riesce comunque a depistarne la portata distruttiva dietro a una maschera fatta di sorriso scintillante e occhiali da sole strategici. “La vita mi sorride” dice ogni giorno, al mattino, dopo essersi alzato dal letto, sapendo bene, però, come il mondo là fuori sia pronto a saltarti addosso al primo passo falso.
L’incontro con Felice lo cambierà per sempre, dandogli rinnovato entusiasmo con cui guardare avanti in un orizzonte il cui futuro, Di Stefano, lascia all’ignoto del buio dei titoli di coda, ma lo stesso può dirsi anche per il giovane e malinconico Felice: stavolta di nome e di fatto.
Il Maestro sarà disponibile al cinema dal 13 novembre.
Seppur leggermente sottovalutato, è un sodalizio giovane e importante quello tra Andrea Di Stefano e Pierfrancesco Favino, con all’attivo due film uno più bello dell’altro. Dopo L’ultima notte di Amore è infatti la volta de Il Maestro, una “dramedy” tennistica sulle lezioni della vita, sulla fragilità delle essenze e sulla bellezza dei legami. Si ride, si piange e, al netto di qualche rallentamento ritmico, siamo davanti a uno di quei film che fanno scoprire, in chi lo vede, qualcosa di più di sé stesso.