Quella “vena” nera sul volto, un
difetto naturale del marmo, apparse agli occhi di Michelangelo
come una grave imperfezione al tal punto da indurlo a non
completare l’opera. Oggi, invece, è considerato uno dei
capolavori della scultura rinascimentale e rappresenta un
importante esempio dell’arte del “Divino”. È un Cristo
neoplatonico quello di Michelangelo: radioso, esteticamente
sublime, che illumina e guarisce ogni ferita e pena
dell’umanità. La Fondazione Federico II ha presentato stamani a
Palazzo Reale di Palermo il Cristo Risorto Portacroce
Giustiniani. Esposto negli Appartamenti Reali del Palazzo, sarà
fruibile al pubblico dal 13 novembre al 30 aprile 2026.
La sua storia e la sua attribuzione hanno da sempre generato
un grande interesse tra gli studiosi. Quell’imperfezione rende
probabilmente il Cristo più vicino ai nostri dolori e alle
nostre miserie. Un’opera che rimanda all’attualità con potenza
ed efficacia.
L’esposizione è ideata, organizzata e curata dalla
Fondazione Federico II, in collaborazione con l’Assemblea
regionale siciliana, il monastero San Vincenzo Martire – Monaci
Benedettini Silvestrini, il ministero per la tutela del
Patrimonio culturale (Dit direzione generale archeologia, Belle
Arti e Paesaggio Servizio IV Circolazione), la Soprintendenza
archeologia Belle Arti e paesaggio per la provincia di Viterbo e
per l’Etruria Meridionale.
“La Sicilia accoglie questo capolavoro di Michelangelo – ha
detto Gaetano Galvagno, presidente della Fondazione Federico II
– e lo fa con un’opera rappresentativa della scultura
rinascimentale. Allo stesso tempo il Cristo Risorto descrive
appieno il legame profondo tra la storia culturale italiana e la
spiritualità universale. Il traguardo raggiunto oggi dalla
Fondazione Federico II esprime un momento epocale e ci rende
grati a quanti hanno contribuito per raggiungerlo. Siamo certi
che questa esposizione potrà dare ulteriore impulso ai flussi
turistici che nell’ultimo anno hanno fatto registrare una
crescita considerevole di visitatori a Palazzo Reale”.
“Per lungo tempo – ha sottolineato lo storico dell’arte
Pierluigi Carofano – era stata ritenuta opera di un anonimo,
seppur abile, scultore del XVII secolo, una libera
interpretazione ispirata al celebre Cristo redentore, realizzato
da Michelangelo tra il 1519 e il 1521 per la chiesa domenicana
di Santa Maria sopra Minerva a Roma, su commissione di Metello
Vari, in rappresentanza degli interessi di Marta Porcari ed in
generale degli eredi della famiglia Porcari. Si tratta, invece,
di un’opera molto importante di Michelangelo per la storia
dell’arte, non soltanto sotto l’aspetto della originalità
dell’invenzione compositiva, trattandosi di un tema così
delicato in un momento in cui spiravano i primi venti della
riforma luterana, ma anche per le singolari, forse uniche,
vicende cui la scultura è andata incontro nel tempo”.
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