GERUSALEMME – Non attraversate la linea gialla: l’area in cui si sono ritirate le truppe israeliane, in base alla fase uno dell’accordo di tregua, che prevedeva il rilascio degli ostaggi e un incremento degli aiuti nella Striscia. La stessa dove — in un tunnel — sono intrappolati i miliziani sulla cui sorte, lunedì, il premier Netanyahu ha discusso con Jared Kushner, genero di Trump: ipotizzando di fargli lasciare l’area se accettano di disarmarsi, giacché ucciderli significherebbe vanificare il cessate il fuoco. Mentre pure il ministro degli Affari Strategici Ron Dermer, si dimette come annunciato mesi fa, l’attuazione della fase due si fa sempre più incerta: e la linea gialla si cristallizza. Muro invisibile, che già divide la Striscia: tanto che ieri l’Idf ha ucciso un uomo che l’ha oltrepassata, perché «rappresentava una minaccia».
Gli americani progettano di costruire una base nei pressi di Gaza per ospitare le forze internazionali che dovrebbero mantenere la pace nella Striscia. Ma la situazione è di impasse. Lo raccontano le 67 diapositive Power Point, realizzate sulla base di documenti di agenzie governative Usa e dal Blair Institute (think tank dell’ex premier britannico Tony Blair) il cui contenuto è stato pubblicato ieri da Politico: dopo aver circolato fra i funzionari americani, impegnati in un simposio del Comando Centrale Usa con membri del Centro di Coordinamento Civile-Militare di recente creato a Kiryat Gat, nella prospettiva di assumere il controllo della distribuzione degli aiuti. Ebbene, in quelle carte, «il timore che il programma sostenuto da Trump resterà inattuato» è espresso chiaramente. Intanto, perché si dubita della reale possibilità di dispiegare la cosiddetta “Forza di Stabilizzazione Internazionale”, il cui compito sarebbe mantenere la pace fino al disarmo di Hamas e alla creazione di una qualche forma di governo autonomo a Gaza. Fra Paesi arabi che si sfilano e veti israeliani su certi partecipanti, la sua nascita non è scontata. Si evidenzia poi il rischio che Trump s’impantani in beghe interne: il campione dell’America First non può impegnarsi troppo in un progetto estero dove invece servono pazienza e risorse. Anche perché mantenere la pace ha un prezzo: e già solo creare i futuri agenti di polizia palestinese costa (nonostante la generosa offerta dell’Italia che vuol addestrarli da noi con l’aiuto dei carabinieri).
Non basta: i tanti licenziamenti al Dipartimento di Stato, hanno privato l’amministrazione di personale specializzato, capace di dipanare la matassa in cui si sta trasformando Gaza fra la reticenza israeliana a lasciare la Striscia, quella di Hamas ad abbandonare le armi e le pressioni dell’Autorità Palestinese che vuol essere inclusa. «Tutti parlano in termini generali, a livello astratto, nessuno discute di operazioni o tattiche» denunciano quei documenti.
Insomma, se non si troverà presto una quadra, la fase due resterà in stallo. Tanto più che il piano Usa non prevede tempistiche né meccanismi di attuazione. Si potrebbe a quel punto creare «una sorta di status quo, che rafforzi l’attuale divisione fra l’area controllata da Israele e quella di Hamas».
Ormai se ne parla apertamente: lo confermano numerose fonti a Reuters, compresi sei funzionari europei che preferiscono restare anonimi. Senza una forte spinta, dicono, la linea gialla potrebbe diventare il nuovo muro che dividerà Gaza a tempo indeterminato. Timore accresciuto pure da uno scoop della rivista The Atlantic: secondo cui nell’area controllata dall’Idf gli americani si preparano a costruire 25mila alloggi temporanei: per palestinesi residenti a Gaza, certo. Ma privi di legami con Hamas e per questo selezionati dallo Shin Bet, i servizi segreti israeliani. Il Dipartimento di Stato avrebbe già firmato un contratto con la società Tetra Tech per rimuovere le macerie e appunto gettare le basi di quelle che chiamano “Comunità sicure alternative”. Non è chiaro se chi vi entra potrà muoversi da un lato e l’altro della linea gialla.