voto
8.5

  • Band:
    YELLOW EYES
  • Durata: 01:00:59
  • Disponibile dal: 31/10/2025
  • Etichetta:
  • Gilead Media

Con la consueta discrezione e un tempismo che sa quasi di atto di sabotaggio nei confronti delle logiche promozionali odierne, gli Yellow Eyes hanno fatto irruzione alla fine di ottobre con “Confusion Gate”, un album pubblicato all’improvviso, senza teaser, senza preamboli, ma con la forza impetuosa di un evento inatteso. In un’epoca in cui ogni uscita sembra preceduta da mesi di marketing asfissiante, questa apparizione dal nulla ha l’effetto di uno schiaffo rigenerante, un ritorno a un’idea primordiale di spontaneità che ben si addice al carattere sfuggente del gruppo newyorkese.

Ciò che colpisce subito è come “Confusion Gate” riesca a riaffermare, con naturalezza disarmante, la personalità inconfondibile degli Yellow Eyes. In un panorama black metal spesso frammentato e saturo di derivazioni, il gruppo di Will e Sam Skarstad resta un’entità riconoscibilissima sin dai primi secondi: quella particolare alchimia di malinconia luminosa e furia febbrile, di chiarore che trapela tra le ombre, è ormai la loro cifra identitaria. Eppure, pur mantenendo intatto il proprio linguaggio, la band lo spinge oltre, espandendone i confini in ogni direzione possibile.

È il loro lavoro più lungo, ma anche il più immediato. La scrittura, pur intricata, respira con maggiore libertà: le melodie – sempre cangianti, ora siderali, ora terrene – emergono con chiarezza nuova, come se la nebbia che da sempre avvolge il loro suono si fosse diradata quel tanto che basta per lasciare filtrare una luce inquieta ma calda. Non si tratta certo di orecchiabilità nel senso convenzionale del termine, bensì di una nuova dimensione emotiva, di un calore che si insinua nelle strutture più elaborate senza intaccarne la complessità. Ogni brano sembra vibrare di una tensione comunicativa inedita, di una volontà di parlare all’ascoltatore più che di confonderlo.

La clamorosa opener “Brush the Frozen Horse” introduce questo stato di grazia con una costruzione che è puro brivido: chitarre liquide e taglienti che si inseguono come echi di un sogno lucido, una batteria che pare respirare, e la voce di Will Skarstad che contribuisce sin dalle prime battute a sottolineare questa rinnovata indole più espansiva: meno stridula del solito, più roca e spontanea, la voce sembra appunto seguire il carattere maggiormente comunicativo del materiale. È come se il canto stesso, anziché ferire, cercasse un contatto, un varco attraverso cui farsi comprendere. Partendo da queste premesse, ogni brano svela un nuovo volto del disco, tra interludi pastorali e scoppi di dissonanza, tra il respiro del vento catturato in field recordings e gli accenni di percussioni, sassofono e strumenti antichi che si insinuano con misura, senza strafare, come presenze spettrali.

È un album che come al solito vive di contrasti: violenza e fragilità, dissonanza e dolcezza, caos e ordine convivono in equilibrio precario, ma questa volta in un insieme più che mai scorrevole e poetico. Gli Yellow Eyes costruiscono un universo di incastri – pieni e vuoti, colore e grigiore – che restituisce una sensazione di trance limpida, quasi estatica. A tratti si può intravedere la stessa epica e la medesima sospensione che animano il repertorio degli amici Ultha, ma qui si fanno più nette, più trascendentali, come se ogni nota tendesse verso un altrove.

“Confusion Gate” non è soltanto un nuovo vertice per gli Yellow Eyes: è un disco che ridefinisce la loro essenza, la espande e la sublima. È il lavoro di una band che, a quindici anni dal debutto, continua a raffinarsi senza mai perdere la propria aura misteriosa. Un album che non si limita a suonare, ma avvolge, trasporta, inganna e commuove. Una vetta luminosa nella loro discografia e, senza dubbio, uno degli album dell’anno.

Confusion Gate by Yellow Eyes