di
Amelia Esposito
Intervista alla 22enne calabrese, stuprata da un gruppo di coetanei e poi frustata dalla zia. Ora vive in una località segreta: «Ad altri familiari il divieto di avvicinamento»
DALLA NOSTRA INVIATA
REGGIO CALABRIA – «Mi dicevano sei pazza. Ti devi ammazzare. Mi hanno insultata, minacciata, picchiata, frustata. Ma io sono qui. Piuttosto che vivere nella menzogna avrei preferito morire. Tanto quella non era vita. Era la morte in vita».
Anna (un nome di fantasia), 22 anni, è una delle «ragazze di Seminara». Così la sintesi nelle cronache. Due ragazze violentate da un gruppo di coetanei, per mesi, quando erano ancora minorenni, e poi isolate, condannate dalla comunità che si è schierata al fianco degli stupratori, alcuni dei quali legati a famiglie malavitose. Sono state costrette a cambiare paese, scuola, abitudini, per mettersi in salvo. Seminara, entroterra calabrese, provincia di Reggio Calabria, profondo sud-ovest.
Per capire quanto coraggio ha avuto Anna, bisogna partire proprio da questa terra. Percorrere strade dissestate, attraversare paesi dove i palazzi sono scheletri che non avranno mai una pelle. Per poi stupirsi davanti alla meraviglia delle scogliere a picco sul Tirreno, di agavi e fichi d’india a perdita d’occhio. Il buio e la luce. La ’ndrangheta e la resistenza civile alla ’ndrangheta, ai soprusi, alla rassegnazione. La ferocia e il coraggio. Incontriamo Anna nella località segreta dove si è trasferita grazie all’intervento del governatore Roberto Occhiuto.
«Un pochino meglio. Ho cambiato paese da un paio di mesi, questo mi aiuta, prima vivevo chiusa in casa, barricata. Mi svegliavo al mattino dicendomi oggi proverò a uscire, ma poi non ce la facevo. Restavo a letto a piangere», risponde con un filo di voce, guardinga. Intorno a noi non c’è nessuno, ma lei ha paura. Sempre. Un lascito delle violenze subite.
Chi c’è accanto a te adesso?
«Mia madre, solo lei. Ma anche prima, avevo accanto soltanto lei. Un po’ mi è stata vicina mia sorella, ma poi mi ha abbandonata».
Chi altro ti ha lasciata sola?
«Mio fratello, l’altra mia sorella e i rispettivi compagni: adesso hanno il divieto di avvicinarsi a me. Mia zia e mio cugino, poi, hanno il braccialetto elettronico: se si avvicinano il mio dispositivo suona».
Cosa ti hanno fatto per avere queste misure?
«Mi hanno minacciata, maltrattata, volevano convincermi a ritirare la denuncia contro quelli che mi avevano stuprata. Mia zia, la sorella di mio padre, e suo figlio mi hanno anche picchiata. Mia zia mi ha frustata con una corda. Mi diceva che dovevo morire. Che avrei fatto meglio a non nascere proprio. Abitava vicino a noi: si affacciava alla finestra e urlava improperi contro di me. Diceva che avevo rovinato la reputazione di tutti. Se fosse stato vivo mio padre non si sarebbe permessa. Mi manca moltissimo mio padre».
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Anna, le violenze sono del 2017, la tua denuncia del 2023. In mezzo, quasi cinque anni. Perché hai atteso tanto?
«Se non fosse venuta alla luce la storia dell’altra ragazza probabilmente non avrei mai trovato la forza di denunciare. Ma quando ho saputo cosa avevano fatto a lei, ho deciso di parlare».
Come hai vissuto quei cinque anni?
«Malissimo. Mi tenevo tutto dentro. Quelli mi dicevano: se parli ammazziamo i tuoi familiari. Avevo il terrore».
Hai avuto un amore in quel periodo?
«Sì, avevo un fidanzato».
A lui avevi detto dello stupro?
«No. Infatti, quando lo ha saputo, mi ha lasciato. Subito».
Alla fine, a parte la tua mamma e il governatore, c’è qualcun altro che ti ha sorretto?
«La polizia, i carabinieri. In particolare, la dirigente del commissariato di Palmi, Concetta Gangemi, e il mio poliziotto di fiducia, Francesco Prestopino. Senza i loro abbracci non ce l’avrei mai fatta. Sono stati la mia forza. Non li ringrazierò mai abbastanza».
Senti ancora l’altra ragazza?
«Ogni tanto, sì. So che nella scuola che frequenta adesso ci sono anche due dei condannati in primo grado, che all’epoca dei fatti erano minorenni. Ora se li ritrova lì ogni giorno. Così rivive tutto, in continuazione. Mi domando: ma come è possibile?».
A te è mai capitato di incontrarli?
«Mai. L’altro giorno sono tornata al paese per far visita al mio papà al cimitero e sono stata malissimo. Anche fisicamente. Sono crollata, mi sentivo svenire, mi veniva da vomitare».
Com’è provare a ripartire dopo aver subito certe atrocità? Dopo tanta cattiveria.
«Dura. Il 12 (oggi, ndr) c’è un’udienza per l’inchiesta che riguarda mia zia e suo figlio. Il mio avvocato mi ha detto che non devo andarci. Per fortuna. A volte penso che non mi libererò mai del mio fardello. Che non sarò mai felice».
Hai progetti a breve termine?
«Voglio fare il corso per diventare estetista, spero di iniziare presto e di trovare nuove amicizie».
Come immagini il tuo futuro? Vorresti lasciare la Calabria?
«Il mio futuro è qui, in Calabria. È casa mia, nonostante tutto».
12 novembre 2025 ( modifica il 12 novembre 2025 | 07:55)
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