C’è un momento, a Seoul, in cui il rumore si ferma. Non è un silenzio vero, ma una sospensione: un respiro tra frequenze. Siamo nel lussuoso quartiere di Gangnam, a sud del fiume Han, dove sorge Audeum, un museo dedicato all’audio come esperienza sensoriale totale, progettato dallo studio Kengo Kuma & Associates. Ma non pensate a un mausoleo per collezionisti di hi-fi: Audeum è un luogo dove il suono si libera dalla tecnologia per tornare materia viva, vento, respiro. Kengo Kuma, maestro dell’architettura contestuale, lo definisce “uno spazio per restituire alle persone la capacità di sentire”. Tutto, qui, sembra costruito per vibrare: pareti, scale, superfici. La facciata, un intreccio di tubi di alluminio anodizzato disposti verticalmente, non è una barriera ma un filtro. Scompone la luce, piega il vento, ammorbidisce i rumori della città. Da lontano riflette il cielo come una membrana; da vicino, rivela un disordine controllato che imita quello della Natura. Un pattern che cambia tono con il sole e con le stagioni, come un nastro magnetico che si riavvolge ogni giorno in modo diverso.
La facciata dell’Audeum
L’ingresso è una scala di pietra che discende tagliando la terra come un canale, un gesto che ritorna spesso nel lavoro di Kuma. È un invito a rallentare, a de-sintonizzarsi dall’ecosistema sonoro cittadino. A ogni gradino il frastuono si fa più lontano, come un’eco che tende a perdersi. Ci si risintonizza con se stessi. Dentro, domina il legno. Il cipresso dell’Alaska, usato come materiale principale per creare un ambiente sonoro caldo e avvolgente, è piegato e modellato in superfici morbide, drappeggiate come tessuti. Kuma le chiama wood drape: un legno che non è più rigido, ma vibrante, capace di assorbire e restituire frequenze. Le pareti sembrano respirare, i soffitti si muovono lentamente come tende acustiche. È un’architettura tattile, tangibile, perché il tatto – da cui percepiamo vibrazione – è un metodo d’ascolto primario.
Tetto esterno dell’Audeum
©Namsun Lee
Nei suoi 2mila metri quadrati d’interni, l’Audeum ospita una collezione straordinaria di apparecchi audio, dagli albori della riproduzione meccanica fino alla fine del Novecento. Ma non c’è nulla di museale nel modo in cui sono esposti. I sistemi Western Electric dei cinema Anni Trenta, le casse Lansing del 1937, i giradischi e gli amplificatori d’epoca: tutto è immerso in una luce morbida, quasi liquida. Le sale sono rivestite di tessuti traslucidi e pannelli fonoassorbenti che amplificano questa dimensione eterea: luce e suono viaggiano insieme, si riflettono, si confondono. Si ha la sensazione che l’edificio respiri. È un’esperienza più vicina alla contemplazione che alla didattica. Kuma lavora da anni su un’idea di architettura che cerca di dissolversi, che si sottrae alla monumentalità richiesta dal contemporaneo. Nell’Audeum, questa poetica diventa pura fisica sensoriale. Non esiste un punto di vista definitivo: ogni passo, ogni respiro, ogni variazione di luce cambia il modo in cui lo spazio suona. È un edificio che non si fotografa, si attraversa. Come nella musica, il senso è nel tempo, non nella forma. Così il museo invecchia come un vinile: accumulando tracce, rumori, tempo.
Taiki Fukao
L’Audeum è articolato su dieci livelli – cinque sopra terra e cinque sotterranei – in un movimento verticale che alterna pieni e vuoti, opaco e trasparente, freddo e caldo. Dalla pelle metallica del piano terra si scende fino ai livelli più bassi, dove il legno e il tessuto avvolgono il corpo e la percezione si fa più intima. Ogni piano è una diversa frequenza, una diversa intensità di presenza. È un viaggio dal fuori al dentro, dall’occhio all’orecchio. Un crescendo che culmina non nel volume, ma nel silenzio. C’è anche un’intenzione terapeutica, quasi monastica. Kuma – che ha citato spesso il sacerdote buddista come modello – costruisce spazi che non impongono, ma accolgono. In una città che non conosce pause, il museo si offre come rifugio sensoriale. Ossessionato dall’idea di vuoto attivo, l’architetto costruisce qui un’assenza che non è silenzio ma ascolto. Il museo diventa un organismo che insegna a sentire di nuovo. Non a sentire meglio, ma a ritrovare la vulnerabilità del sentire.
©Yongbaek Lee
©Yongbaek Lee
Nell’architettura del non visibile, l’attenzione è tutta rivolta all’acustica. Kuma ha collaborato con sound designer e ingegneri acustici per creare ambienti dove ogni eco e ogni riverbero sono calcolati. Alcune stanze sono pensate per amplificare anche un sussurro; altre lo assorbono completamente, lasciandoti in un vuoto quasi inquietante. È un’esperienza che costringe a ridimensionarsi, a prendere consapevolezza del proprio corpo, della propria voce. A riscoprire il potere curativo della frequenza sonora, dell’ascolto. In un’epoca che misura la qualità del suono o, ancor meglio, l’attenzione sonora è costantemente disturbata, Kuma costruisce un luogo che restituisce all’ascolto la sua fragilità. Dove l’architettura non domina, ma accompagna, non amplifica ma accorda. L’Audeum non espone la storia dell’audio: la trasforma in esperienza. E ci ricorda, con la calma di un respiro, che ogni spazio, se lo si ascolta davvero, ha un proprio e unico suono.
Courtesy Kengo Kuma
Courtesy KKA
www.kkaa.co.jp/en/project/audeum-audio-museum/
Mattia Barro è un giornalista e musicista. Fa parte della redazione di Rolling Stone Italia dove si occupa di musica e cultura. Come freelance ha firmato articoli, tra i tanti, per Linkiesta, IL de Il Sole 24 Ore, Esquire, Robinson de La Repubblica. Come musicista ha suonato nei principali festival e locali italiani, ma anche in Europa e in Giappone. I suoi lavori sono entrati in serie tv e cinema, ma anche in gallerie d’arte negli Stati Uniti, così come in Svizzera e in Italia. Potete capirci di più su Instagram (@ciaosplendore). Animo di città, cuore di provincia.







