Ragazza di vita. Avrebbe probabilmente suscitato interesse in Pasolini il ritratto della ragazzina insolente e animalesca Liane (Malou Khebizi), la 19enne protagonista di Una ragazza brillante (in francese Diamant brut), nelle sale italiane dal 13 novembre. Sottoproletariato purissimo piegato a un consumismo sfrenato e squilibrato, femmina ostentatamente ribelle dentro un orizzonte di plastica (i reality) e il vuoto delle periferie disadorne e miserabili.

Liane è giovane ma estremamente giunonica, una sorta di “bellezza volgare”, tutta sopracciglia disegnate con una grossa matita, zatteroni esagerati, indumenti risicati per mostrare un seno prorompente, ciuffi biondi appiccicati per allungare i capelli. Il suo viavai continuo, nervoso, agitato tra canali, bordi di superstrade, case senza tetti e porte è segnato dal ritmo dei social (Snapchat), di una forma estetica da mostrare di continuo in selfie e video ammiccanti e pruriginosi anche se per nulla elaborati. Liane si definisce con tutti una influencer, ma il grado classista non è quello da giardino verticale milanese bensì da asfalto soffocante di Frejus nel polveroso sud della Francia.

Liane rifiuta, paradossalmente, il modello piccolo borghese del lavoretto con famiglia e prole (il bulletto innamorato di lei è come messo da parte), e proprio come i ragazzi di vita pasoliniani sopravvive grazie alla vendita di prodotti usati, merce rubata e riciclata. Il sogno, però, è quello di diventare ricca attraverso l’esibizione del proprio corpo, con tanto di provino per un celebre reality. “Solo le persone belle vengono ammirate”, spiega fronte camera alla produttrice del programma che mai si vede e si sente, solo evocata fuori campo e al telefono.

Liane è un po’ Antoine Doinel di Truffaut e un po’ Rosetta dei Dardenne, con più slancio vitale nel sopravvivere del primo che tragicità esistenziale inevitabile della seconda. La giovane regista francese Agathe Riedinger al suo primo lungo (selezionato nientemeno che in Concorso a Cannes nel 2024) spinge il pedale della macchina a mano, dei carrelli all’indietro per anticipare Liane, in questo zigzagare tra distanze spaziali (dettagli assetati del corpo/campi lunghi ambientali con lei lontana) che costruiscono un’atmosfera svuotata di ironia, di gioco, di leggerezza, infarcita invece di grave solennità talvolta anche un po’ kitsch. A esempio l’irruzione, in mezzo a tanta trap da convenzione anagrafica geografica, di svisate gravi per archi su pannelli di commenti social che riempiono lo schermo (chi ama Liane come una dea, chi la minaccia di morte) sopra la protagonista in azione.

Pur nel suo ritratto intenso, spasmodico, a suo modo fine e regale di Liane, pur non veicolando uno sguardo moralmente giudicante, anzi credendo ontologicamente in lei, Riedinger pennella comunque un quadro sociale realistico ad oltranza che sbozza modelli culturali oramai ineludibili per le masse povere delle nuove generazioni occidentali meticce. Distribuisce Academy Two. Diamant brut è lo sviluppo in lungo di un corto della Riedinger del 2017 intitolato J’attends Jupiter.