di
Marta Serafini

Parla Mirjana Spoljaric Egger, che riceverà il Premio Cutuli sabato 15 novembre

DALLA NOSTRA INVIATA 
GERUSALEMME  – «Il rilascio dei prigionieri, l’evacuazione dei civili e il rimpatrio dei soldati caduti sono spesso i primi fragili fili del dialogo in un conflitto e richiedono un attore neutrale e di cui entrambe le parti si fidino per realizzarli». Mirjana Spoljaric Egger, prima donna a presiedere il Comitato Internazionale della Croce Rossa, risponde al Corriere in occasione della consegna ad Icrc del Premio internazionale di giornalismo «Maria Grazia Cutuli»

Gaza è un esempio lampante, svolgete il vostro lavoro per lo più silenzio. Come fate? 
«Sono operazioni estremamente pericolose e complesse da svolgere in sicurezza. Richiedono il coordinamento con Israele e Hamas a più livelli e in diverse sedi, nonché con i mediatori, per garantire che le nostre squadre siano pronte e posizionate per riportare le persone alla data, al luogo e all’ora concordati. l nostro personale deve spesso percorrere strade disseminate di ordigni inesplosi, a volte nel cuore della notte. Abbiamo continuato a farlo su richiesta delle parti perché salvano vite umane, riuniscono le famiglie e permettono alle persone di piangere i propri cari con dignità. Esemplificano anche il ruolo unico di un intermediario neutrale nell’attuazione di misure umanitarie tra le parti in conflitto». 



















































Gaza, ma anche l’Ucraina, il Sudan e tutte le guerre che vengono definite «dimenticate», come se fosse possibile dimenticare una guerra. Il mondo umanitario è sottoposto a un carico di lavoro enorme in un contesto di crisi economica. Come possiamo uscire dal buio? 
«Nei miei tre anni come presidente di Icrc, le guerre si sono moltiplicate e intensificate. Oggi classifichiamo circa 130 conflitti armati, un numero maggiore rispetto a quello registrato l’anno scorso e il doppio rispetto a 15 anni fa. Allo stesso tempo, le regole della guerra vengono palesemente violate, creando esigenze umanitarie senza precedenti, mentre molti Stati stanno disinvestendo dagli aiuti umanitari e aumentando la spesa per la difesa. La combinazione di più guerre, guerre più distruttive e più denaro per combatterle è in definitiva autodistruttiva. Gli Stati possono investire di più nella difesa, ma tale investimento deve includere anche la garanzia del rispetto delle regole di guerra. C’è molto di più da fare per prevenire e porre fine ai conflitti. Ecco perché invito i leader mondiali a fare del diritto internazionale umanitario una priorità politica. Le regole esistono. Sono chiare. Ciò che manca è il coraggio politico e morale di sostenerle universalmente». 

I principi di neutralità e le Convenzioni di Ginevra sono il fondamento del lavoro di Icrc, eppure siete spesso bersaglio di attacchi. Israele, Ucraina: perché succede questo? 
«Veniamo spesso criticati per la nostra neutralità. Schierarsi in un conflitto è un impulso naturale. Ma è qualcosa che noi, come Icrc, non possiamo fare. Se lo facessimo, non saremmo in grado di fungere da intermediario umanitario nel rilascio di ostaggi e detenuti o di fornire aiuti salvavita in prima linea. Perderemmo la fiducia che ci consente di parlare direttamente con tutte le parti in conflitto dei loro obblighi ai sensi delle Convenzioni di Ginevra. Rimaniamo inflessibili nella nostra neutralità, nonostante le critiche, perché salva vite umane. Ci vuole coraggio per sedersi al tavolo con coloro che il mondo condanna, e continueremo a farlo perché dobbiamo raggiungere chi è nel bisogno, indipendentemente dal lato del fronte in cui vive». 

La presenza degli operatori umanitari e dei giornalisti sul campo bellico è garantita dal diritto internazionale. Ma negli ultimi dieci anni, entrambi sono sempre più esposti ad attacchi. Cosa è successo? 
«Le regole della guerra sono chiare: il personale umanitario e i giornalisti sono protetti dal diritto internazionale umanitario. Nell’ultimo anno, personale e operatori della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa sono stati uccisi a Gaza, in Sudan, Sud Sudan, Iran, Etiopia e Repubblica Democratica del Congo mentre svolgevano il loro lavoro di salvataggio. Molti altri sono stati uccisi mentre erano nelle loro case, con le loro famiglie. Ogni attacco a loro è un grave tradimento dell’umanità e delle regole concepite per proteggere loro e le comunità che servono. Ma anche un ammonimento sul pericolo rappresentato da ogni violazione delle leggi volte a tutelare i civili in guerra».

12 novembre 2025 ( modifica il 12 novembre 2025 | 22:42)