Per amor di verità, di album dei canadesi Razor che compiono quarant’anni in questo 2025 ce ne sono ben due: il primo, più selvaggio Executioner’s Song, il loro full di debutto, uscito in aprile, successore dell’EP Armed and Dangerous che rappresenta l’esordio discografico assoluto pubblicato nel 1984, stampato in un migliaio di copie e mai trovato dal sottoscritto nei tempi passati. Oggi c’è Discogs e va beh, bisogna mettere a bilancio non meno di trecento euro per metterci le mani sopra. Come dice Danny Glover in Arma Letale: sono troppo vecchio per queste stronzate. Poi c’è Evil Invaders, il disco del quale si sta parlando adesso, che vide la luce nell’ottobre di quell’incredibile anno di grazia 1985 e che da molti viene considerato il loro capolavoro. Ad opinione di chi scrive in realtà i Razor non hanno mai sbagliato un disco, un solo pezzo, una singola nota fino al 1991, anno di Open Hostility, che pure spacca il culo ai passeri ma la cui tiepida accoglienza da parte della critica causò la temporanea messa in ghiaccio della band, durata fino al 1996. Neanche tanto tempo, se pensiamo che la band nacque nel 1983 e che pertanto infuoca i palchi dei concerti e gli scaffali dei dischi da poco meno di 40 anni effettivi. Un’enormità. Non tutti possono vantare una così lunga militanza continuativa pur essendo una band incomprensibilmente considerata di seconda fascia (almeno dal grande pubblico), una delle più mastodontiche ingiustizie che storia del rock ricordi.

Mentre America ed Europa battagliavano a colpi di thrash metal disquisendo su chi avesse di più le palle quadrate, in Canada, terra da sempre di sopraffino heavy metal quale che fosse il sottogenere, si stagliavano i Razor capitanati da Dave Carlo (chitarre e composizioni), Mike Campagnolo (basso), Mike Embro alla batteria e una svariata quantità di cantanti, forse l’unica vera sfiga avuta dalla band che non è mai riuscita a trovarne uno più o meno stabile. È proprio un pezzo strumentale che apre il disco: scelta azzardata, sorprendente, decisamente inusuale, ma Nowhere Fast spiega a tutto il mondo che cosa si sta per ascoltare: un’ibridazione tra il thrash più feroce e lo speed metal più organizzato, energico e discretamente melodico. Del cantante si può anche fare a meno se ci sono i riff, il messaggio sembra questo. Comunque Dave Carlo, leader incontrastato del gruppo, era celebre per avere un caratterino assai energico, quindi il cantante poteva pure starsene al posto suo senza velleità di protagonismo, ché tanto le cose funzionavano bene ugualmente. A scanso di equivoci, la prestazione di Stace McLaren nel disco è di eccellente livello.

Sistemata la questione della voce, ciò che possiamo apprezzare qui è una sorta di miscela tra gli Abattoir, gli Exciter, i Savage Grace e il thrash metal più furente. Fino ad allora non ci aveva pensato nessuno, difatti in quel campo praticamente i Razor non avevano rivali; innamorarsi di loro al primo ascolto fu inevitabile, un vero e proprio colpo di fulmine, perché i canadesi riuscirono a migliorare lo speed metal in quello che, a detta di diversa gente che conoscevo, era il suo unico difetto: la mancanza di mordente. Lo speed metal americano ci ha deliziato con dei grandissimi dischi, ma per alcuni mancava sempre qualcosina, quel pizzico di velocità e di grinta in più che fa di un disco pur eccellente un titolo del quale consumi il vinile a furia di riprodurlo. Evil Invaders è tutto questo: melodico, quasi orecchiabile dove serve e spaccatutto nella sua interezza, turbinoso, dispensatore di quello slancio e di quell’aggressività che difettava allo speed metal più genuino. Che poi lo speed-thrash sia diventato un genere quasi inflazionato nel breve volgere di due/tre anni poco importa, perché i predecessori hanno sempre ragione, sono venuti prima degli altri e le regole le dettano loro, nessuno potrà mai avere l’ardire di negare ai Razor il merito di aver contribuito alla storia del metal in modo decisivo.

Qui in Italia non sono mai stati considerati più di tanto, misteriosamente. Il metal significava U.S.A., Inghilterra e Germania, tutto il resto era relegato ai margini per via di una ridottissima ampiezza di vedute, ma io mi ricordo che spaccavo il cazzo a tutti per diffondere la loro musica e farla ascoltare a quanti più metallari possibile, convertendo al loro verbo parecchia gente che poi usciva da Rock’n’Folk con i loro dischi e se li sparava nello stereo a volume distruttivo. Sono stato la causa di molte liti tra vicini, ciò mi rende orgoglioso, e, se volete farvi un favore scaraventatevi a procurarvi almeno i primi sette album. Sono senza tempo, immortali, fulgido destino di ogni band straordinaria. Sappiate che i vicini sono rompicoglioni oggi esattamente come allora, quindi affilate gli spadoni. (Griffar)