L’Unione Europa apre un nuovo fronte contro Google. La Commissione ha infatti annunciato l’avvio di un’istruttoria formale per verificare se il colosso statunitense stia applicando condizioni di accesso non eque all’interno di Google Search. Al centro del caso c’è una politica interna di Google che contiene le norme relative all’abuso della reputazione dei siti, che potrebbe aver penalizzato giornali online e publisher che ospitano contenuti forniti da partner commerciali.

In sostanza molti siti avrebbero subito un abbassamento del ranking, risultando in posizioni più basse nella pagina di ricerca. L’indagine arriva in un momento delicato per gli editori continentali, già colpiti dalla crisi dei ricavi pubblicitari, dalla pressione della concorrenza e dall’integrazione dei sistemi di intelligenza artificiale che riassumono notizie e contenuti.

I motivi dell’indagine Ue su Google

Secondo quanto emerge da un comunicato della Commissione, il sistema di controllo di Google avrebbe fatto retrocedere nei risultati di ricerca molte pagine considerate a rischio manipolazione.

Ma la policy, che era stata pensata ufficialmente per contrastare pratiche scorrette di posizionamento, rischierebbe di colpire anche modalità assolutamente legittime con cui molti editori monetizzano i propri spazi online.

L’Ue vuole capire se il comportamento dell’azienda violi gli obblighi del Digital Markets Act (DMA), che impone ai cosiddetti gatekeeper condizioni trasparenti, eque e non discriminatorie per l’accesso alle loro piattaforme core, come appunto il motore di ricerca Google Search

Perché l’indagine è importante per gli editori

Se le norme contro l’abuso di reputazione dei siti dovessero aver provocato un ingiustificato calo del traffico delle pagine dei media europei, l’impatto economico sarebbe significativo. Meno traffico equivale a meno pubblicità e meno possibilità di sostenere modelli editoriali già in difficoltà.

Vertici Ue contro Google: le dichiarazioni

Per Teresa Ribera, vicepresidente esecutiva della Commissione, la priorità è

assicurare che i gatekeeper non limitino in modo ingiusto le attività di chi dipende da loro per promuovere i propri prodotti e servizi.

Ha aggiunto che gli editori rischiano di perdere:

entrate fondamentali in un momento difficile per il settore.

Per Henna Virkkunen, vicepresidente esecutivo della Commissione europea per la Sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia, l’obiettivo è

proteggere il finanziamento degli editori, la loro libertà d’impresa e, in ultima istanza, il pluralismo dei media e la democrazia.

Google rischia una multa fino al 20% del fatturato

L’apertura del procedimento non significa che Alphabet, il gruppo che controlla Google, sia già considerato non conforme. Ma apre la strada a una delle indagini più rilevanti dall’entrata in vigore del Dma europeo.

Se dovessero essere accertate violazioni, l’Ue potrebbe imporre:

  • multe fino al 10% del fatturato mondiale, che aumenterebbero fino al 20% in caso di recidiva;
  • rimedi strutturali, tra cui l’obbligo di cedere parti del business;
  • lo stop ad acquisizioni future in caso di non conformità sistemica.

La Commissione punta a chiudere l’indagine entro 12 mesi.

A cosa serve il Digital Markets Act europeo

Il Digital Markets Act è stato pensato per riequilibrare la competizione nel mercato digitale, regolando le piattaforme che fungono da gatekeeper, cioè porta d’accesso tra utenti e aziende.

Tra i più importanti c’è il motore di ricerca di Google, designato come piattaforma essenziale nel settembre 2023 e per questo tenuto a osservare tutti gli obblighi europei entro marzo 2024.

L’istruttoria su Google si concentra in particolare sulle possibili violazioni dell’articolo 6 del regolamento, che disciplina l’accesso equo ai servizi e la trasparenza dei criteri di ranking.

Il caso sarà un banco di prova per il Dma. Da un lato Bruxelles tenterà di dimostrare la propria capacità di far rispettare le regole ai giganti digitali che operano sul proprio territorio (spesso americani o asiatici), dall’altro gli editori potrebbero finalmente avere chiarimenti e prove su come le politiche di Google influenzino i loro modelli di business.