Cominciamo dalle brutte notizie: il tasso di natalità sta calando rapidamente. Nei paesi ricchi la popolazione invecchia e l’economia può contare su un numero sempre più basso di lavoratori, condannando le giovani generazioni a un futuro di tasse più alte, più debito e aumento dell’età pensionabile. Le nascite stanno precipitando anche nei paesi a reddito medio, mettendo a rischio lo sviluppo economico. In sostanza gli unici paesi in cui la popolazione continua a crescere sono quelli disperatamente poveri.
Secondo i World population prospects delle Nazioni Unite, punto di riferimento nel settore, più o meno nel 2084 comincerà ufficialmente la fase di declino della popolazione globale. I paesi ricchi seguiranno tutti un percorso simile a quello del Giappone, segnato dall’invecchiamento e dalla stagnazione, mentre il resto del mondo si ritroverà vecchio prima ancora di aver avuto la possibilità di diventare ricco.
Scusate, ho detto “brutte notizie”? No, queste in realtà erano le buone notizie, basate su stime che si sono dimostrate fin troppo ottimistiche. Ogni due anni i demografi delle Nazioni Unite riesaminano le loro proiezioni sulla popolazione, e negli ultimi dieci anni hanno sempre rivisto le stime allo stesso modo: al ribasso. L’anno prossimo lo faranno di nuovo. La verità è che il declino mondiale della popolazione comincerà con decenni di anticipo rispetto alle previsioni, perché le tendenze della natalità globale sono molto peggio di quello che pensavano gli esperti (e probabilmente anche voi).
Jesús Fernández-Villaverde, macro-economista dell’università della Pennsylvania, studia lo sviluppo dei paesi poveri. Questo percorso, di solito, si svolge parallelamente a un cambiamento del tasso di fecondità (cioè del numero di figli per donna). Quando le persone si spostano dalle aree rurali verso le città, le loro opportunità economiche aumentano e i figli non costituiscono più una risorsa indispensabile per il lavoro nei campi. Le donne, inoltre, ottengono accesso all’istruzione e ai contraccettivi. In questo contesto, di solito la media di figli per ogni donna scende da sei a due. Fernández-Villaverde la definisce “la storia standard della modernizzazione”, e la insegna da decenni.
Gran parte delle ricerche di Fernández-Villaverde si concentra sull’America Latina, una regione di ricchezza media dove ci si aspetterebbero tassi di fecondità medi. E invece, negli ultimi anni le nascite in alcuni paesi dell’America centrale e meridionale sono precipitate fino a raggiungere livelli molto più bassi di quelli registrati nella maggior parte del paesi ricchi, smentendo in questo modo la storia standard della modernizzazione. Ogni anno, preparandosi per il suo corso sulla storia economica della regione, Fernández-Villaverde aggiorna i suoi dati sulle nascite in America Latina, basati sulle statistiche ufficiali diffuse dai diversi governi. Nel 2019, il ricercatore ha notato per la prima volta che le proiezioni delle Nazioni Unite erano troppo ottimistiche. Negli ultimi anni, poi, la discrepanza è diventata allarmante.
Per il 2024 le Nazioni Unite avevano previsto 701mila nascite in Colombia, e calcolavano che la probabilità di un numero inferiore a 553mila fosse appena del 2,5 per cento. Alla fine sono state solo 445mila, con un tasso di fecondità di 1,06 figli per donna, la metà del 2008. Il Cile ha dati ancora più bassi: al ritmo attuale, cento donne cilene in età riproduttiva avranno solo 52 figli e 27 nipoti (generalmente i demografi considerano un tasso di fecondità di 2,01 il “livello di sostituzione”, cioè quello necessario per mantenere stabile la popolazione da una generazione all’altra).
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Le discrepanze non si limitano al Sudamerica. Nel 2024 le nascite in Polonia sono scese sotto la cifra a cui era assegnata una probabilità del 2,5 per cento. Ed è successo lo stesso in Estonia, in Egitto, a Cuba, in Azerbaigian e in Sri Lanka. Queste presunte anomalie in realtà non sono affatto anomalie. Il mondo, semplicemente, fa meno bambini di quanto le Nazioni Unite avessero previsto.
Analizzando in profondità il modello dell’Onu, Fernández-Villaverde ha scoperto qualcosa di ancora più strano. In quasi tutti i paesi a bassa natalità, le Nazioni Unite prevedono due possibili scenari: un appiattimento del tasso di fecondità o l’aumento fino a un livello compreso tra uno e due figli per donna, al di sotto del livello di sostituzione ma non catastrofico. Gli Stati Uniti fanno parte della prima categoria. Il tasso di fecondità statunitense è calato stabilmente dopo la crisi economica del 2008, passando da 2,1 a 1,6. Perciò ci si potrebbe aspettare che il declino continui. E invece le Nazioni Unite prevedono un tasso di natalità invariato, non solo per il 2025 ma anche per il 2026, il 2030, il 2060 e il 2090, costantemente in equilibrio tra 1,7 e 1,6.
Nella seconda categoria ci sono paesi come la Thailandia, dove la natalità è in calo da 72 anni e non si è mai stabilizzata per più di un anno. Nonostante questo, le Nazioni Unite prevedono una sorta di miracolo demografico: a cominciare dal 2027, la natalità del paese dovrebbe cominciare ad aumentare, prima lentamente e poi più rapidamente. Alla fine del secolo la Thailandia dovrebbe avere 1,45 figli per donna, in forte aumento rispetto alle proiezioni del 2024 (1,2).
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Evidentemente le cose non quadrano. In realtà il tasso di fecondità della Thailandia dell’anno scorso è 0,98, e i dati preliminari del 2025 mostrano che continuerà a scendere. In un paese delle dimensioni della Thailandia, la differenza tra la proiezione dell’Onu e il tasso di fecondità reale nel corso del ventunesimo secolo si traduce in milioni di persone che potrebbero non nascere mai.
Alla fine, come ha spiegato di recente Fernández-Villaverde in occasione di una conferenza a Londra, la popolazione mondiale comincerà a calare non nel 2084 come previsto, ma nel 2055 o anche prima.
“Ci sono due tipi di persone”, ha scritto su X Alice Evans, professoressa britannica che studia il calo della fecondità in tutto il mondo, dopo aver letto la presentazione di Fernández-Villaverde: “Quelle che non si preoccupano dell’andamento demografico e quelle che hanno visto le slide di Jesús”.
Le Nazioni Unite hanno una spiegazione semplice per le proiezioni ottimiste: la natalità si è ripresa in passato, dunque si riprenderà ancora in futuro.
In Bielorussia, per esempio, nel 1998 il tasso di fecondità era al livello di sostituzione, ma nove anni dopo era precipitato fino a 1,22. Poi, però, ha ripreso a salire, raggiungendo quota 1,73 nel 2015. Il tasso di fecondità dell’Australia era sceso a 1,7 nel 2001, per poi risalire fino a 2,0 nel 2008. La Francia ha seguito un percorso simile nello stesso periodo, come l’Italia e la Svezia. “Chi pensa che i World population prospects si sbagliano, sta sostanzialmente dichiarando che ‘questa volta sarà diverso rispetto al passato’”, mi ha detto Lyman Stone, dottorando e consulente per la natalità.
Il problema è che stavolta la situazione sembra davvero diversa. In Francia, Italia, Australia e Svezia la natalità ha raggiunto i minimi storici (esclusa la prima guerra mondiale, nel caso della Francia ). La Bielorussia, che un tempo era una storia di riscatto, l’anno scorso ha registrato un tasso di fecondità di appena 1,1, al di sotto dei record negativi registrati dal paese negli anni novanta. Le morti sono state quasi il doppio delle nascite. Se davvero ci sarà una ripresa, per ora non se ne vedono i segni.
Secondo Fernández-Villaverde il mondo è già al di sotto del livello di sostituzione, e oggi non solo è prevedibile ma è garantito che la popolazione diminuirà se non dovesse cambiare nulla. Questa, evidentemente, non è la situazione che avevamo negli anni novanta.
Il modello delle Nazioni Unite sembra non essere stato adatto alla nuova normalità. Se un paese ha vissuto un aumento della natalità (come l’Australia, la Francia e la Bielorussia) allora si presume che questa sia stabile. Se un paese non ha mai vissuto un aumento, allora il modello presume che ci sarà quando la natalità raggiungerà livelli abbastanza bassi. In altre parole, il modello presuppone come esito finale un numero stabile e contenuto di nascite. Forse si tratta di un riflesso dell’ottimismo umanistico. “A un certo punto emerge sempre una capacità sociale minima di adattarsi e di affrontare alcuni problemi che esistono in un determinato paese”, mi ha fatto presente Patrick Gerland, primo autore dei World population prospects. “D’altronde le persone che vivono in un paese non vogliono che la loro nazione sparisca per mancanza di abitanti”.
A questo proposito il modello sottolinea una quota minima fissa: nessuna proiezione ha mai previsto un tasso di fecondità inferiore a 0,5 per un dato paese. Eppure, come il resto del modello, anche questo punto potrebbe dover essere rivisto. Dieci anni fa Macau (che le Nazioni Unite considerano separatamente dalla Cina continentale) aveva un tasso di fecondità di 1,2. L’anno scorso le nascite sono scese a 0,58 per donna, e sembra che scenderanno ancora. Nei primi quattro mesi del 2025 il numero di nati è diminuito del 13 per cento.
Se siete in dubbio sul perché sia una situazione allarmante, prendete il caso del Giappone, esempio classico della minaccia rappresentata dalla bassa natalità per le prospettive economiche di un paese. All’apice del suo successo, nel 1994, l’economia giapponese costituiva il 18 per cento del pil mondiale, ma in seguito ha cominciato a subire gli effetti del calo demografico. Oggi l’età media nel paese è di cinquant’anni e il pil nazionale rappresenta appena il 4 per cento dell’economia mondiale. Misurata in base alle ore di lavoro, la crescita economica giapponese è sempre stata solida, ma a un certo punto ha dovuto fare i conti con il fatto che nel paese non c’erano lavoratori a sufficienza.
Il tasso di fecondità che ha condannato l’economia giapponese variava tra 1,3 e 1,5, dunque immaginate cosa dovranno affrontare la Colombia (1,06) e il Cile (1,03). Come faranno a crescere con così pochi lavoratori? Come potranno mai diventare paesi ricchi se ogni lavoratore deve mantenere un numero così alto di anziani? Finora le previsioni eccessivamente ottimistiche delle Nazioni Unite hanno nascosto l’urgenza della questione. Ma se la natalità nel mondo continuerà a scendere al ritmo attuale, la crescita economica e l’età della pensione faranno proprio come quelle previsioni: dovranno essere adeguate di anno in anno a un futuro più piccolo, più povero e più triste.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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