La polvere come immagine del tempo che si deposita sugli oggetti. La pulizia diventa una forma di cura verso la comunità. «Depositato» di Giuseppe Falcone parte come performer per poi farsi dipinto. Tutto nasce da una spugna, un secchio e alcune scope.

L’opera è stata presentata dall’autore a Montafia. Sarà visitabile fino all’8 novembre.

A giugno, in occasione del festival artistico Melchiedè Falcone aveva iniziato a ripulire la chiesa di San Martino a Montafia. Un edificio romanico all’interno del cimitero di solito chiuso, fatta eccezione per il Giorno dei morti. «La prima volta che l’ho vista me ne sono innamorato – racconta il performer e pittore – il pavimento a scacchi bianco e nero e poi la poca luce che filtra e taglia gli oggetti, è un luogo di pace». Dalle croci all’altare, per ogni arredo pulito all’interno della chiesetta il pittore ha catalogato la polvere che vi era sopra per poi usarla per realizzare la raffigurazione degli stessi elementi in scala uno a uno.

«Il dipinto raffigura ciò che ho pulito: lo stesso volto, la stessa forma, ma ridati attraverso la materia della loro stessa rinascita. Esposta nello stesso luogo da cui proviene, è insieme gesto di cura e memoria». Originario di Sant’Elia a Panisi, Comune di 1.400 abitanti in Molise, l’artista si è subito sentito affine all’atmosfera del paesino. «Tutto parte dalla cura, del darsi ad altre persone e a una comunità senza un tornaconto», spiega.

«Depositato» racconta il senso di comunione in un paese al di là dell’aspetto religioso. Il pittore ha portato a Montafia un ragionamento artistico che sta elaborando da tempo.

Quando otto anni fa frequentava una galleria d’arte a Parigi Falcone ha iniziato a usare come pigmento per dipingere la suola della propria scarpa, allo scopo di riportare sulla tela i suoi viaggi e le camminate: «Era la mia tavolozza».

Poi il progetto è proseguito con «Sporca Torino». «Pulivo gli arredi urbani come panchine e lampioni, oggetti usati ma non molto curati, e poi li riproducevo in quadretti utilizzando lo sporco raccolto», spiega. Così quando è stato invitato dal collettivo Eo Arte a dar vita a una performance per Melchiadè ha pensato di realizzare a Montafia qualcosa di simile, ma più in grande.

«Il senso è restituire al visitatore questo tempo depositato sugli oggetti – dice l’artista -. Lo sporco è indice di chi frequenta lo spazio, l’utilizzo della chiesa da parte della comunità, i pollini dei fiori che sono stati portati al cimitero. È tempo e vita».

«Il senso è restituire al visitatore questo tempo depositato sugli oggetti. Lo sporco è indice di chi frequenta lo spazio, l’utilizzo della chiesa da parte della comunità, i pollini dei fiori che sono stati portati al cimitero. È tempo e vita».

La sporcizia, da sempre considerata residuo di cui liberarsi assume così un nuovo significato e si fa mezzo espressivo. La stessa pulizia – compiuta con cura e tralasciando le parti più antiche della chiesa per cui sarebbe stato necessario un restauratore – è parte integrante del processo creativo. «È un gesto riconoscibile a tutti, la lettura è lineare», aggiunge.

Il soggetto vuole essere letterale, «senza intellettualismi». Il ritratto di ogni elemento può essere osservato vicino all’oggetto. «La volontà – aggiunge il performer – è quella di restituire questa cura alla collettività. Gran parte di coloro che hanno visto il dipinto sono visitatori della chiesa, c’è un po’ della loro identità in quest’opera».