di
Alessandro Fulloni

Olena Stasiuk ha ucciso il figlio Giovanni: il bimbo era affidato al padre, e fino a pochissimo tempo fa poteva vedere la madre solo in incontri protetti

DAL NOSTRO INVIATO 
MUGGIA (TRIESTE) – «Cosa mi ha detto Paolo stamattina — ieri per chi legge,
ndr
quando mi ha telefonato alle 8 per dirmi che suo figlio era stato ammazzato dalla madre? Saremo rimasti al cellulare un quarto d’ora: più che parlare, piangeva tantissimo, ripetendo che “lei lo ha ucciso brutalmente, poi il resto non lo so, non voglio neanche saperlo. Sono sconvolto, non ci credo… come faccio ora? Una vita senza mio figlio”…».

Lo racconta, sconvolto, don Andrea Destradi, parroco del Duomo dei Santi Giovanni e Paolo, a Muggia, 12.000 abitanti fra Trieste e il confine con la Slovenia. La chiesa si affaccia sulla medievale piazza Marconi e proprio di fronte, al civico 3 di un edificio seicentesco, mercoledì sera c’è stato un fatto terribile. Una 55enne ucraina che vive lì, Olena Stasiuk, in Italia da prima della guerra, ha ucciso suo figlio Giovanni, 9 anni. Prima che venisse arrestata, la donna — sino a qualche tempo fa in cura al Dipartimento di Salute Mentale come «malata psichiatrica»  e che viveva di lavori saltuari— ha tentato il suicidio, ferendosi anche lei. Ma forse si è trattato di una messinscena, forse non aveva alcuna intenzione di togliersi la vita.



















































Gli investigatori della Mobile diretta da Alessandro Albini faticano a descrivere la scena del delitto, ma sembra che il piccolo sia stato sgozzato con un colpo netto, usando un coltellaccio da cucina.

Verso le 21 mercoledì sera il reverendo, proprio lì nella piazzetta, tra stand natalizi e con locali e bar aperti, ha incrociato il papà del piccolo, Paolo Trame, 58 anni, dipendente di una piccola azienda e titolare di un B&b, che «con il cellulare chiamava qualcuno per sapere dove fossero Olena e Giovanni». L’uomo è infatti separato, un matrimonio naufragato già alla nascita del bimbo. Le carte — raccolte da il Piccolo — descrivono un clima burrascoso. «Ricordati bene che se io muoio anche Giovanni muore con me! E non pensare che io stia scherzando», è una delle minacce urlate da lei. Non solo. 

Due anni fa il bambino aveva raccontato di essere stato stretto al collo dalla madre, tanto da essere stato refertato con tre giorni di prognosi e un livido evidente sul collo. Episodi per cui Paolo — che vive alla periferia di Muggia — aveva ribadito più volte sui fogli bollati: «Non lasciatele mio figlio, è pericolosa». Fatto sta che da poco tempo erano iniziati, dopo la decisione del tribunale — che aveva affidato il piccolo al padre — gli incontri liberi tra la mamma e il bimbo. In precedenza, per Giovanni era stata predisposta una forma protetta: e in quelle ore con la madre era prevista la presenza degli assistenti sociali. Completato questo percorso, era stato permesso a Olena di stare con il figlio senza altri adulti. L’altra sera, proprio alle 21, era stabilito che il papà recuperasse il piccolo al civico 3.

«Ma quando gli sono passato accanto — prosegue don Andrea —, Paolo era visibilmente preoccupato, tanto che non ha fatto caso a me». Sempre più angosciato, verso le 21 e 30 l’uomo ha chiamato il 112. Sono arrivati la polizia e i vigili del fuoco che con una scala sono entrati nell’appartamento al terzo piano. Olena viene descritta come «sotto choc, inebetita, con tagli sul braccio». L’hanno portata in ospedale e poi, dopo che è stata dimessa, è scattato l’arresto. L’ex marito ieri ha avuto un malore e sono dovuti intervenire i medici.

Adesso c’è da capire perché la donna non fosse in cura dagli specialisti. Dalla Asl precisano: il Dsm non l’aveva più in carico da diversi anni mentre il sindaco Paolo Polidori spiega che i Servizi sociali comunali la seguivano «ma per sincerarsi che fossero seguite le prescrizioni del tribunale successive alla causa di divorzio». Don Andrea conosceva bene la famiglia: Giovanni «era un biondino, appassionato di calcio, a cui tutti volevano bene», Paolo «un padre dedito al figlio» e Olena una donna alla quale spesso avevo suggerito: “fatti aiutare dai medici”. Ma lei era convinta di non averne bisogno». Una «tragedia sconvolgente», così l’hanno definita il presidente della Regione Fvg Massimiliano Fedriga e la deputata dem Debora Serracchiani. E ancora: il «Muggia 1967», la squadra di calcio per cui era tesserato il piccolo Giovanni, ieri ha sospeso tutte le sue attività sul campo da gioco.

14 novembre 2025 ( modifica il 14 novembre 2025 | 09:28)