di
Alessandro Trocino

Washington, 10 agosto: Sean Dunn lancia un panino contro un agente federale. Nessuno si fa male (neanche il panino). Ma ne nascono un processo – e un dibattito politico – molto interessante: e indicativo dello stato dell’America, oggi

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C’è questo ragazzo di 37 anni, ma già veterano dell’Aeronautica militare, che chiama ripetutamente «fascisti» gli agenti federali mandati da Trump a presidiare Washington, e poi impugna il suo Subway, un panino lungo trenta centimetri della nota catena, inarca la schiena e lo lancia contro un agente della Customs and Border, colpito in pieno petto. 

Sean Dunn confessa subito di essere il tiratore scelto e di aver rinunciato alla sua cena non gourmet per dimostrare lo scarso apprezzamento per lo schieramento di forze che sembrava minacciare un locale gay e degli immigrati. 



















































Viene lasciato andare, ma poi la cosa diventa virale e l’amministrazione decide di non lasciar correre: quattro giorni dopo, un gruppo di 12 agenti Swat in assetto da guerra fa irruzione di notte in casa sua – nonostante si fosse già reso disponibile a consegnarsi – e lo porta fuori in manette. La Casa Bianca trasmette il video, modificato, con un’atmosfera da thriller, con l’Fbi che trionfa sul male.

Dunn, lo anticipiamo, è stato assolto, sia pure dopo giorni di processo e una camera di consiglio di oltre sette ore. 

Il ripieno di tacchino del suo panino non era letale, almeno non per la vittima del lancio. Si voleva inizialmente incriminarlo per «aggressione grave», ma una giuria ha bocciato l’ipotesi e alla fine c’è stato un processo solo per aggressione minore. Ma la cosa interessante è il dibattito che si è creato intorno. Dunn è diventato il simbolo dell’aggressione sinistrorsa contro Trump e contemporaneamente il simbolo della resistenza popolare contro la repressione

Le cronache hanno raccontato dettagli surreali, degni di una commedia all’italiana. L’agente ha riferito di aver visto il panino esplodergli addosso e di aver avvertito distintamente odore di senape e cipolle, una delle quali penzolava dall’antenna della sua radiolina (dove sono finiti però cetriolini e lattuga?). Atroce, non c’è dubbio. Eppure, il panino, in una foto, era ripreso per terra, ancora intonso, nel suo involucro. La cipolla deve aver deciso di abbandonare il tacchino di sua volontà. Contrariamente alle prime cronache, non si trattava di un panino al salame ma, appunto, al tacchino, il che non cambia di troppo i termini della questione. L’uomo sembrava molto ferito, se non altro psicologicamente, dall’episodio, ma la difesa ha raccontato di due regali ricevuti, che lo avevano parecchio divertito: un panino di peluche e un pezzo di stoffa con l’immagine di Dunn che lanciava il panino e la scritta «Felony footlong» (una cosa tipo aggressione al panino). Sui muri di Washington sono apparsi graffiti stile Banksy, che raffiguravano Dunn nell’atto di scagliare il missile-panino. 

Alla giuria che doveva discutere il caso sono stati serviti, durante il pranzo, una serie di panini (non lanciati, ma appoggiati su un vassoio). Il ragazzo del lancio, invece, ha sdrammatizzato con una zuppa (se lanciata potrebbe comunque causare ustioni). La prima udienza è stata il 3 novembre, che viene considerata la Giornata nazionale del panino. L’avvocato difensore Sabrina Shroff ha concluso così la sua arringa: «Questo caso, signore e signori della giuria, riguarda un panino».

Ma il caso non è solo divertente come sembra. Quando si tratta di Trump, della giustizia, della polizia e dell’opposizione, ormai nulla è semplice. Molly Roberts, su Lawfare, ha definito il processo «una sorta di performance artistica: estremamente divertente e altamente minacciosa». Entrambe le parti, spiega, hanno voluto fare di Sandwich Guy un esempio: «Il governo, come una minaccia per la società contro cui la società deve imporre una punizione per il bene della legge e dell’ordine, e la difesa, come un dissidente ingiustamente preso di mira per le sue profonde convinzioni ideologiche».

La questione di diritto, e oseremmo dire etico-politica, non era tanto se avesse lanciato il panino. Questo era pacifico. Era se questo gesto fosse potenzialmente offensivo. L’accusa forza le parole: «Dunn prende il panino e lo carica. Poi lo scaglia a bruciapelo». Il procuratore insiste perché si usi la parola lanciato con «la forza». Era potenzialmente lesivo? La difesa: «Un peluche scagliato con forza è potenzialmente lesivo? E un panino contro chi indossa un giubbotto antiproiettile?». L’accusa a un certo punto dice: «Questo non è solo un panino». Splendida, ma immaginiamo inconsapevole, immagine magrittiana («Ceci n’est pas une pipe»). E in effetti è il simbolo della rabbia, della ribellione a una situazione che si trova ingiusta. L’accusa spiega che qui non c’entra la libertà d’opinione: «Ognuno di voi ha diritto alle proprie convinzioni personali. Tuttavia, questo non gli dà il diritto di toccare un’altra persona. Non hai il diritto di colpirla, nemmeno con un panino».

Giustamente la difesa chiede: ma se non avesse espresso a chiare lettere la sua opinione – urlando fascisti agli agenti federali – sarebbe stato incriminato? Quanti lanciatori di panini sono stati arrestati e processati? Lawfare non resiste alla tentazione, come dargli torto, e spiega che questa amministrazione ha «un appetito vorace per la repressione». Il Procuratore Generale degli Stati Uniti per il Distretto di Columbia, Jeannine Pirro, ha spiegato, con scarso fairplay, anche per Subway: «Non trovo divertente che tu lanci il panino. Anzi, ti dico, mettiti il tuo panino Subway da qualche altra parte». La procuratrice Sam Bondi annuncia in pompa magna il licenziamento dal Dipartimento di giustizia del «Sandwich guy» e poi commenta: «Questo è un esempio del deep State contro cui ci siamo scontrati».

Ma Dunn poteva davvero essere considerato una minaccia? Ancora Roberts: «È paragonabile a un moderno Abbie Hoffman, il membro dei Chicago Seven condannato per aver incitato alla rivolta mentre attraversava i confini dello Stato nell’ambito del suo attivismo contro la guerra del Vietnam durante la Convention Democratica del 1968? La condanna fu poi annullata; in aula, Hoffman si presentò vestito con la toga giudiziaria, alzò il dito medio mentre prestava giuramento come testimone; e sollecitò il giudice presidente a provare con l’Lsd». Per la giornalista, quella di Sandwich Guy è stata una «buffonata», una cosa sciocca, un’assurdità al tempo stesso «giusta e ridicola». Ma la conclusione è preoccupata: «Indipendentemente da come è finita, il messaggio che l’amministrazione voleva mandare è arrivato: se ti metti contro questo governo, lui si occuperà anche di te».

Una giornalista dell’Atlantic, Ashley Parker, ha parlato con i membri della giuria. Una gli ha spiegato: «A tutti noi sembrava una stronzata. A volte ci veniva da ridere, però abbiamo preso sul serio la cosa». I dubbi non mancavano: «L’argomentazione più forte dell’accusa è che le persone civili non lanciano panini. Insegniamo ai nostri figli a non farlo quando siamo arrabbiati. Non è stato rispettoso né intelligente lanciarlo». D’altra parte, racconta, Dunn aveva reagito contro gli agenti perché si erano radunati davanti a un locale gay e temeva che facessero irruzione o portassero via immigrati: «Se è riuscito ad allontanarli da lì, come in effetti ha fatto, per me è un eroe». Parker commenta: «Dopotutto, se temete che il vostro Paese stia scivolando verso l’autoritarismo, non è forse il minimo che dovreste fare per sacrificare il vostro spuntino notturno da Subway?». La conclusione della giurata è più allarmante: «Non vi rivelo il mio nome, perché ho la sensazione che mi darebbero la caccia. Mi sarei sentita così durante l’amministrazione Biden o Bush? Assolutamente no». 

14 novembre 2025