
voto
8.0
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“Come i punk, abbiamo semplicemente spazzato via tutta quella roba noiosa degli anni ’70 alla Rick Wakeman, con i suoi pantaloni a zampa d’elefante gialli, i caftani e i sandali. Se non avessi visto che aspetto avevamo, avresti pensato che fossimo una band punk”.
Sono parole di Lemmy Kilmister rilasciate a Matt Diehl di Spin nel corso di un’intervista del 2009. Schietto ed ironico, a sottolineare la vicinanza con il movimento punk dell’epoca, certificando quell’aura speciale, sua e della sua band, capace di unire più generi. No rock, no heavy metal, no punk – oppure tutti e tre insieme.
Loro erano semplicemente i Motörhead e, a distanza di cinquant’anni dalla loro nascita, la loro attitudine e la loro musica rimangono ben incastonate nelle radici e nell’animo di moltissime band che dal gruppo inglese hanno preso ispirazione ed impulso.
Ecco perchè il qui presente “Killed By Deaf – A Punk Tribute To Motörhead”, edito dalla BMG, al netto delle innumerevoli – spesso deprecabili – operazioni di mercato partorite da dieci anni a questo parte (da quando è morto Lemmy, il numero di raccolte, compilation, inediti e memorabilia varia è aumentato a dismisura, senza il minimo ritegno), merita un’attenzione diversa, particolare.
‘Tributare’ (direttamente dalla Treccani) indica ‘il dare, il rendere qualcosa a qualcuno come cosa dovuta’. E le quattordici cover contenute nel disco hanno proprio questa etichetta ben impressa sulla cresta: omaggiare una band, che sul finire degli anni ’70, riuscì a gettare scompiglio, tra le onde ariose del prog, le macinate pesante del metal e la sporcizia anarchica del punk, trovando clamorosamente un filo unico che riuscisse in qualche modo ad unirle.
Ed è proprio da quest’ultima realtà che arriva il sentito tributo: dai Pennywise ai Rancid, dai GBH ai Soldiers Of Destruction, sino ai The Damned, con un’inedita registrazione di “Neat Neat Neat” del 2002 suonata proprio con Motörhead; tutti in campo a dichiarare il massimo rispetto per Lemmy e compagni.
Un album di pregevole fattura, dove ogni brano viene eseguito bene (nel vero senso della parola), in cui ogni band chiamata in causa non azzarda alcun tentativo di scimmiottamento o imitazione, usando invece le proprie armi a disposizione, marchiando di singolarità il rispettivo pezzo.
Da qui la versione spericolata di “Ace Of Spades” dei Pennywise, una “Bomber” acidissima ad opera dei GBH, il tocco sudista-blues dei Fear in “The Chase Is Better Than The Catch”, il versante femminile degli Slaughterhouse in “Love Me Like A Reptile”, avvicinandosi così alle vecchie collaborazioni tra Motörhead e Girlschool; e ancora, la cover degli Anti-Nowhere League di “Born To Raise Hell” sino alla marcia interpretazione di “Sex & Death” da parte dei Rancid.
Nessuna voce impostata, o impastata, alla Lemmy, nessuna pretesa di emulazione, ma solo la stessa energia e sfacciataggine sfrigolata negli anni dal trio inglese (o quartetto per un certo periodo della loro carriera).
Ulteriore e ultimo punto a favore di questa raccolta tributaria riguarda proprio la scaletta selezionata: assodata la ‘maledetta’ “Ace Of Spades” e il manifesto “Overkill”, è piacevole rileggere in chiave punk brani come “Love Me Like A Reptile”, “Rock’n’Roll”, ” Voices In The Sky”, “Stay Clean” e “The Hammer” in cui, proprio sul finale, si sente riecheggiare l’ugola cartavetrosa di Mr. Kilmister. Segnaliamo infine che, a dispetto del titolo del disco, “Killed By Death” non c’è.
Un omaggio meritevole ad una band che ha fatto la storia: da avere.