Gaudenzi parla con i media a Torino
Il Presidente dell’ATP, Andrea Gaudenzi, ha parlato con i media alle Nitto ATP Finals affrontando un’ampia gamma di temi.
Questa serie di domande risposte è tratta dalla conferenza stampa ed è stata leggermente modificata per maggiore sintesi e leggibilità.
Nitto ATP Finals
D. Questo è il quinto anno delle Nitto ATP Finals a Torino. Qual è la sua impressione sull’evento finora?
Nel complesso, è un’edizione straordinaria. Abbiamo iniziato con il COVID, che non è stato facile, ma anno dopo anno l’evento è migliorato. Complimenti alla FITP, hanno fatto un lavoro incredibile. Credo che fossimo tutti un po’ ansiosi dopo Londra, perché a Londra era stato sempre un evento fantastico. Credo che abbiamo mantenuto le promesse e che siamo al di sopra delle aspettative iniziali.
Questa edizione è particolarmente emozionante perché c’è in palio il numero 1 del mondo. È davvero entusiasmante vedere i migliori giocatori del mondo lottare per chiudere la stagione in testa alla classifica. È probabilmente il miglior scenario possibile. È fantastico per i fan.
D. Le Nitto ATP Finals resteranno a Torino fino al 2030?
Non è stata ancora presa una decisione. Qui siamo molto felici. Naturalmente è un aspetto che dobbiamo considerare. Abbiamo concordato di sederci con la FITP e discuterne all’inizio del prossimo anno.
Calendario
D. Si discute molto della struttura del calendario ATP, e l’attenzione è tornata sui tornei di livello più basso come i Challenger e gli ATP 250. Come vede il futuro della categoria ATP 250, soprattutto ora che è stata rimossa la settimana di Metz e Atene?
Il tennis è uno sport difficilissimo da programmare, probabilmente il più difficile, per una ragione semplice: è a eliminazione diretta.
Per esempio, in uno Slam o in un evento di 12 giorni, un giocatore può giocare una partita oppure sette partite in 12 giorni. Guardate il golf: i migliori 60 giocano 72 buche in quattro giorni.
Carlos e Jannik giocano circa 80 partite in 18–20 tornei. I giocatori con ranking più basso giocano meno partite in 30–35 tornei.
In realtà ci sono quattro o cinque calendari all’interno di un unico calendario. La metà dei giocatori perde al primo turno, e il 75% è fuori al secondo. Per la maggior parte dei giocatori ogni torneo è un evento da due o quattro giorni. Per altri è più lungo. Questo mostra la complessità del calendario.
Ovviamente c’è un gruppo di giocatori che dice che così si gioca troppo. Per altri, se togli eventi, diventa troppo poco, perché hanno bisogno di giocare. Se perdi, devi poter andare in un altro torneo e giocare di più. Per questo abbiamo diversi livelli: Slam, Masters, 500 e 250. Cerchiamo di bilanciare tutto per ogni categoria di giocatori, compresi i Challenger, che sono fondamentali per creare i campioni del futuro.
Negli ultimi anni abbiamo adottato una strategia di riduzione del numero di ATP 250: da 38 siamo scesi, credo, a 29. L’obiettivo per ottimizzare il calendario per il 2028, quando entrerà il nuovo Saudi Masters, è continuare a ridurre i 250. I 250 sono molto importanti. Ogni categoria è importante. Ma ne avevamo troppi. Era molto difficile inserirli nel calendario.
Abbiamo due problemi: l’anno ha 52 settimane e non si può cambiare. L’altro è che i giocatori hanno bisogno di una vera off-season. Oggi è un po’ troppo breve. Serve riposo, vacanze, dare ristoro al fisico, ricominciare ad allenarsi e poi iniziare la stagione australiana.
In più, c’è la complessità di avere sette entità coinvolte nel tennis professionistico: i quattro Slam, che sono indipendenti; l’ITF, con una Coppa Davis che ha cambiato formato spesso; ATP e WTA.
Considerando questo quadro generale, ho molta comprensione per i giocatori. Ci sono sette entità che gestiscono il calendario, sette board che prendono decisioni. È difficile creare un sistema fluido, e questo è il cuore del nostro progetto OneVision: unificare la governance e creare un calendario ideale, o la cosa più vicina possibile.
La nostra strategia è stata chiara: puntare sul prodotto premium, i Masters. La ragione è semplice: dobbiamo offrire ai fan la migliore esperienza possibile. I fan vogliono vedere i migliori giocare tra loro negli eventi più importanti. Gli Slam, i Masters e le Finals sono quei momenti. Poi ci sono i tornei 500 e i 250 dove giocano quelli che disputano meno partite nei grandi eventi e devono mantenere il ritmo.
È complicato. Per esempio, Carlos e Jannik arrivano quasi sempre in fondo agli Slam, giocano molto bene nei Masters. Per loro è difficilissimo giocare un calendario completo.
Un altro problema è che il tennis ha un sistema aperto: i giocatori sono professionisti indipendenti. Possiamo stabilire regole, incentivi, influenzare i loro comportamenti, ma in definitiva sono loro a decidere dove giocare. Possono scegliere un 250 al posto di un 500, o un 500 al posto di un Masters. Molti giocano in categorie più basse, competizioni a squadre o esibizioni fuori dal sistema.
È un problema complesso. Non esiste una soluzione unica. Credo fermamente che, se tutti fossero nella stessa stanza — Slam, ATP, WTA, ITF — con un’unica governance, faremmo un lavoro molto migliore.
D. Da giocatore, come si sarebbe sentito se il numero dei 250 fosse stato ridotto, rendendo più difficile il salto verso i 500 o i 1000?
Non si possono aumentare i 250 ed espandere i Masters allo stesso tempo.
Io non sono mai stato uno di quelli che arrivavano alla seconda settimana negli Slam e nei Masters.
Ero molto frustrato dal fatto che, anche quando ero numero 50 o 55, potessi giocare il main draw solo a Indian Wells e Miami. Riesci a essere il numero 50 del mondo e non puoi accedere al livello premium. Pensavo: perché posso giocare il tabellone principale di uno Slam e non di un Masters? Se esiste questo livello, vogliamo che i migliori ci giochino.
Per questo penso che il tabellone a 96 giocatori (oggi adottato nei Masters 1000 da 11 giorni n.d.r.) sia molto importante. Così i Top 100 possono giocare il main draw in almeno sette Masters su nove. Le eccezioni sono Parigi, Monte-Carlo e, in futuro, l’Arabia Saudita.
Per quanto riguarda i 250, da giocatore ho fatto molti errori: giocavo i 250 sulla terra la settimana prima dello US Open. Erano piazzati ovunque, c’erano tornei in ogni angolo. Col tempo ho imparato e migliorato la gestione del mio calendario. È questione di autodisciplina. Ho visto giocatori che pianificavano bene, senza farsi attirare dalle garanzie economiche.
Non credo che i giocatori debbano programmarsi guardando ai soldi. Dovrebbero programmarsi puntando ai punti e ai titoli, soprattutto i Top 50 e Top 100.
Il numero dei 250 non sarà un problema perché l’idea è avere settimane dedicate: 10 settimane di 250, otto di 500, totale 18; poi dieci Masters, siamo a 28; più i quattro Slam, 32. È questo l’obiettivo.
Funziona per tutti i Top 100: chi è in alto gioca quasi solo Slam, Masters 1000 e pochi 500; chi è più indietro gioca più 500 e 250; più giù ancora, 250 e Challenger. È una piramide. Se sei in alto, secondo me non dovresti giocare al ribasso. Se sei Sinner o Alcaraz non hai bisogno di giocare i 250: non si adattano al tuo livello. In Formula 1 un pilota non può gareggiare in una categoria inferiore. Proteggono il talento. Ma è un sistema diverso.
D. I giocatori continuano a lamentarsi dei Masters 1000 su più giorni. Jack Draper ha contattato tutti i Top 20 e non ha ricevuto risposte molto positive.
Sul formato a 12 giorni non ho inventato nulla. Indian Wells e Miami esistono da 35 anni. Quando sono arrivato ho guardato i numeri: erano nettamente superiori agli altri. Gli Slam funzionano per due ragioni: infrastrutture incredibili e storia. Hanno stadi enormi, e di fatto tre settimane di torneo (con qualificazioni). Il tennis è poco remunerato dai media e molto dal ticketing: oltre il 50–60% dei ricavi arriva dai biglietti. Negli altri sport, i ricavi media sono il 60–70%.
Il 2025 è il terzo anno del piano OneVision, ma già nel primo anno dei Masters estesi si vedono risultati. I ricavi — che non posso dichiarare — stanno crescendo molto. È un grande cambiamento. Grazie alla formula di profit-sharing, abbiamo distribuito quasi 20 milioni di dollari nel 2024, rispetto ai 6 milioni del 2023. È il 25% in più oltre al prize money, che è già aumentato.
Questo significa che il profitto totale dei Masters è vicino ai 110 milioni. La formula divide i profitti eccedenti dopo aver sottratto il prize money base. Dal punto di vista finanziario funziona e porta valore a tutti i giocatori, inclusi quelli dal numero 100 al 150.
Sapevo che il formato a 12 giorni non sarebbe stato ben accolto dai top player, perché sono loro a dover arrivare prima e restare più a lungo. Sono quelli più colpiti. Gli altri perdono presto. Anche nei quarti, non cambia molto.
Penso si debba rimanere entro queste logiche ancora qualche anno, o spostare più compensazione verso i top player, per riconoscere il valore che generano. È anche una questione di compenso per giorno. I giocatori fanno un confronto semplice: in un’esibizione guadagnano X in un giorno, in un Masters guadagnano X diviso 12. Questo è il problema.
Non credo che esista un prodotto perfetto. Abbiamo fatto un’ipotesi e dobbiamo testarla per qualche anno. Poi potremo correggere o confermare.
Il formato dei Masters 1000 da 12 giorni è parte di un accordo in cui i tornei hanno accettato di aprire i loro conti ai giocatori. Per 35 anni i giocatori non avevano potuto vedere i numeri economici dei tornei. Ora sì. Sono partner alla pari. Questo era parte dell’accordo. L’altra parte riguardava l’aggregazione dei diritti media.
Chiedo solo un po’ di pazienza: credo che tutto ciò genererà valore. E chiedo anche ai giocatori di gestire meglio il loro calendario, giocando meno eventi fuori dal circuito ATP. Se sono stati aggiunti giorni nei Masters, si può compensare riducendo esibizioni o tornei minori. È questione di equilibrio.
D. Secondo lei, quante dovrebbero essere idealmente le settimane di off-season?
Non esiste un numero perfetto. Alcuni direbbero sei settimane, altri sette, altri otto. Sicuramente servono una o due settimane di riposo, una o due per ricostruire il fisico, poi si riprende la racchetta. La off-season deve essere più lunga di adesso.
Poi dipende da chi è il giocatore di cui parliamo. Io ho giocato la finale di Davis una sola volta. Altrimenti finivo la stagione a Parigi.
I primi otto finiscono dopo le Finals. Oggi, chi perde a Parigi deve aspettare e rimanere attivo fino alla Davis. Amo la Davis. Le mie migliori partite sono state lì. È un asset incredibile. Dovremmo trasformarla nel Mondiale del tennis.
Credo che il miglior formato sia con le partite a eliminazione diretta in casa e in trasferta. La finale che ho giocato a Milano è il ricordo più bello della mia carriera. La Davis va in città dove il Tour non arriva. Ho giocato i quarti contro gli Stati Uniti a Palermo, contro Agassi e Sampras. Lo stadio era pieno comunque.
Il problema era che si giocava ogni anno e su superfici diverse. Una volta abbiamo giocato contro la Repubblica Ceca a Napoli, abbiamo vinto, e il martedì successivo ero sul cemento a Dubai. Era molto dura.
In un mondo ideale, la Davis dovrebbe essere giocata con i turni a eliminazione diretta in casa e trasferta su un ciclo di due anni. Nessun Campionato Mondiale negli altri sport si gioca ogni anno. Sarebbe meglio per il prodotto e libererebbe il calendario.
Infine, c’è da considerare la differenza tra finire la stagione a Parigi e finire alle Finals. È qui che l’impostazione del calendario all’inizio della stagione successiva diventa importante. Novak ha vinto l’Australian Open sette volte senza giocare tornei prima. Jannik ha vinto senza giocare prima. I top player possono farlo.
Se non ci sono Masters, il giocatore crea la propria flessibilità. Se giochi troppo e arrivi troppo in fondo, devi fermarti per forza. Credo che servano almeno sette settimane di pausa.
Governance
D. Quali sono gli ultimi sviluppi legati ai top player e agli Slam? E come incide questo sulle relazioni tra ATP e il resto dell’ecosistema?
Torno a OneVision, il piano che ho presentato nel 2020. Ci sono difetti nel nostro sistema, dovuti al fatto che abbiamo quattro Slam indipendenti, ATP, WTA e ITF.
Gli Slam — sia chiaro — sono i migliori tornei che abbiamo. Sono asset incredibili. Sono la vetrina massima. Da giocatore, cresci sognando uno Slam. Gli obiettivi principali sono diventare numero 1 e vincere uno Slam.
In ATP, il 50% della governance è dei giocatori. Ogni decisione deve essere approvata dai rappresentanti dei giocatori, eletti dal players council, che rappresenta tutto il gruppo. È un sistema democratico.
Ma ci sono quattro entità indipendenti. Da un lato è un vantaggio perché possono decidere autonomamente. Dall’altro, dal punto di vista dei giocatori, c’è il fatto che non hanno rappresentanza negli Slam. Il nostro sistema è trasparente: se generano valore, ricevono valore. Chiedono solo una rappresentanza equa e una compensazione equa. Magari il livello attuale è già giusto, ma non lo sanno e non si sentono ascoltati. La loro una richiesta legittima.
Questo è l’obiettivo di OneVision: portare tutti allo stesso tavolo — uomini, donne, Slam, Masters, 500, 250. Siamo tutti parte dello stesso sport. Lo ripeto spesso: è come scrivere un libro con capitoli scritti da autori diversi e venduti in negozi diversi. Non è un sistema ottimale.