THE RUNNING MAN. Nelle sale
Glen Powell ha rivelato che Arnold Schwarzenegger, sì proprio lui, ha apprezzato The Running Man, sequel del blockbuster horror del 1982 di cui è stato protagonista, definendolo a più riprese «straordinario». Schwarzy forse esagera per eccesso di nostalgia, ma la versione malinconico monumentale 2025 di Edward Wright (e dello sceneggiatore Michael Bacall) è davvero una piacevole sorpresa nell’affollato parterre dei film d’azione, quasi thriller. Trattasi di videogioco saltarello, tecnicamente un action hero, adattamento arci-pop del romanzo L’uomo in fuga di Stephen King (1983), che lo scrisse usava lo pseudonimo di Richard Bachman. Cinque anni dopo arrivò la versione cinematografica di Paul Michael Glaser, L’implacabile, spiazzante ma poco fedele al libro di King, con Schwarzenegger nel ruolo guida di Ben Richards, un galeotto costretto a correre-correre-correre per salvarsi la vita all’interno di un colossale, visionario game show. Il ruolo principale passa ora al più giovane Glen Powell, star nascente lanciata da Top Gun: Maverick. Uno del clan degli addominali parlanti. Siamo in una distopia verticale che il libro colloca proprio nel 2025. Richards ha un’amorevole famigliola, ma tanto bisogno di denaro per aiutare la figlia malata e per questo partecipa allo show di massimo successo, The Running Man, laddove i concorrenti sono fuggitivi inseguiti da cacciatori mascherati che, senza pietà, devono ucciderli.
Il capobanda, McCone, è un osso duro. Ma Richards è il più attrezzato della compagnia. La gara fa per lui. E tuttavia il prezzo da pagare per arrivare alla fine è altissimo. Poi c’è New York, una landa multietnica divisa tra ricchissimi poco di buono e disperati con l’acqua alla gola. Il regno delle mistificazioni, delle fake news, dell’informazione deformata. Cade una pioggia avvelenata (vi ricorda qualcosa?) e agli angoli delle strade si consumano violenze brutali. La crisi economica ha portato alla miseria la popolazione, i posti di lavoro svaniscono. Tutti sono barricati in casa (vi ricorda qualcosa?). L’unico sollievo è proprio il programma choc del conduttore-buffone Colman Domingo e del cinico produttore Josh Brolin. Non c’è verità in quel maniacale colosseo. Tutto poggia sugli istinti peggiori della massa (vi ricorda qualcosa?). Tutto appare come una gigantesca montatura che Richards, per raggiungere lo scopo, deve smantellare pezzo dopo pezzo, mentre i killer gli fanno terra bruciata intorno.
Il remake fila, arremba, prende per il bavero lo spettatore, ha una colonna sonora che non è solo complemento all’azione: a tratti la ispira e la trascina. Wright offre buone soluzioni di regia, con i campi alternati, i primissimi piani sui volti dei runner e certi scenari televisivi da mettere i brividi e far rimpiangere Lascia o raddoppia? e Rischiatutto. Non solo un blockbuster: siamo di fronte a un survival movie destinato a diventare un punto di riferimento in materia. Wright riesce persino a dare un-certo-non-so-che di innovazione nonostante si muova all’interno di uno schema classico: la preda, gli inseguitori, la mano del destino sul collo. Una cattedrale digitale dove tutti corrono a un ritmo feroce. La camera segue palpiti e tragedie di Richards con effetti crudo-romantici, ma non dimentica di dare un’occhiata alle psicologie dei personaggi. L’ossuto eroe di Stephen King non assomiglia al mascelluto avventuriero di Edgar Wright. Glen Powell recita di sbieco come le star Anni Quaranta. Al suo fianco, oltre a Domingo e Brolin, ci sono Emilia Jones, Lee Pace, William H. Macy e Michael Cera.
THE RUNNING MAN di Edgar Wright
(Gran Bretagna-Usa, 2025, durata 133’, Eagle Pictures)
con Glen Powell, Josh Brolin, Katy O’Brian, Leo Pace, Emilia Jones, William H. Macy, Michael Cera
Giudizio: 4 su 5
Nelle sale