La scena italiana è da sempre ricca di realtà notevoli che si muovono in territori doom/death metal, e l’ennesima conferma di questa tendenza arriva dal Veneto: gli Harvest sono un quintetto nato solamente due anni fa e arrivato al debutto con “For The Souls We Have Lost”, un album che rivisita con personalità ed ispirazione i classici del genere, aggiungendo tonalità più delicate che vanno ad addolcirne il suono.
Un disco inaspettato, che si inserisce nella tradizione pur lavorando in modo originale sugli elementi che lo vanno a comporre, e che la band è pronta a presentare su palchi importanti, tentando un salto di qualità definitivo.
Di passato, presente e futuro degli Harvest abbiamo parlato con la formazione al completo in questa interessante intervista.

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LA VOSTRA NASCITA E’ ABBASTANZA RECENTE, CI POTETE RACCONTARE COME LA BAND HA PRESO FORMA? AVETE AVUTO UN CAMBIO DI CANTANTE DURANTE LA REGISTRAZIONE DEL DISCO, CORRETTO?
– Fabio: Innanzitutto vogliamo ringraziarvi per le magnifiche parole con cui avete parlato del nostro disco d’esordio, ci ha fatto un grande effetto vedere il nostro nome sul vostro sito.
Si, esatto, la nostra nascita come band risale a circa due anni. Una lunga amicizia e la comune passione per il death/doom, soprattutto quello inglese anni ’90, ha fatto sì che Omar (Stevan, batteria, ndr) contattasse me (Fabio Torresan, chitarra, ndr) per propormi questo progetto. Entrambi stavamo attraversando un periodo nel quale abbiamo dovuto convivere con il dolore di perdere persone a noi care e quello di scrivere canzoni sembrava un buon antidolorifico.
Anche il titolo del disco riassume quello che volevamo trasmettere in quel momento.
Dopo aver abbozzato alcune delle canzoni del disco abbiamo contattato Elisa (Bertolo, ndr) per il ruolo di bassista, una nostra cara amica e con la nostra stessa passione per le atmosfere decadenti. Matteo (Gandolfi, ndr), collega e amico, ha infine accettato di ricoprire il doppio ruolo di tastierista e chitarrista completando così la parte strumentale della band.
La scelta del cantante non è stata facile, il genere che proponiamo non è così affollato di musicisti e cantanti e abbiamo conosciuto Roberto (Biasin, ndr) da un annuncio. La sua professionalità e abilità ci hanno permesso di concludere le registrazione di “For the Souls we have Lost”, al termine delle quali, per motivi personali e professionali, ha deciso prendere altre strade e dedicarsi al suo progetto solista.
Emanuele (Follega, ndr), altro amico di lunga data e con le doti vocali che cercavamo, ha perciò accettato di unirsi a noi.

IL VOSTRO NOME E LA COPERTINA DEL DISCO FANNO PENSARE CHE GLI OPETH POSSANO ESSERE TRA LE VOSTRE FONTI DI ISPIRAZIONE O E’ SOLO UNA CASUALITA’? QUALI ALTRE BAND RITENETE IMPORTANTI PER LA VOSTRA FORMAZIONE?
– Fabio: Non è una casualità, molti di noi amano gli Opeth, quasi alla devozione direi,e “Harvest” è uno dei loro pezzi che maggiormente amiamo: ci è venuta naturale la scelta del nome, così come per la copertina. Un sincero tributo alla loro arte.
Parlando delle altre ispirazioni dobbiamo citare altri quattro mostri sacri che per anni sono stati sempre presenti nei nostri stereo, ovvero Paradise Lost, Katatonia, My Dying Bride e Tiamat.
Poi ognuno di noi cinque ascolta molti altri sottogeneri, ma se dovessimo definire una linea guida per la band, i nomi sopra citati sono sicuramente un punto di incontro per tutti noi.

CIASCUNO DI VOI HA UN PASSATO DIVERSO IN TERMINI DI GENERE MUSICALE. QUALE E’ STATO IL PUNTO DI CONVERGENZA CHE VI HA PERMESSO DI DARE VITA AGLI HARVEST? QUANTO DELLE VOSTRE ESPERIENZE PASSATE RIENTRA NELLA MUSICA DEGLI HARVEST?
– Omar: Esatto, abbiamo tutti un passato in band che facevano o fanno (alcune come gli Orki per me ed Emanuele ed i Rudhen per Fabio sono ancora band attive) altri generi, ma la passione per questo stile musicale è radicata nei nostri ascolti sin dagli albori dello stesso, nei primi anni ’90.
Diciamo che questo progetto era nella mente mia e di Fabio già da molto tempo, ma la scintilla per creare qualcosa di nuovo è nata solo negli ultimi due o tre anni. Della nostra esperienza musicale ci mettiamo dentro tutto, dalle parti tipicamente death metal, al tappeto dei synth che colorano di atmosfere cupe e sognanti le parti acustiche, alle parti vocali, che alternano il classico growl con la voce pulita, diciamo che abbiamo fatto tesoro del nostro background musicale per esprimerlo in tutte le sue sfaccettature negli Harvest.

DOVE E’ STATO REGISTRATO IL DISCO?
– Omar: Il disco è stato registrato e mixato nel mio studio, il Morningrise Studio (anche da qui si capisce una delle mie principali influenze…), tra ottobre 2024 e gennaio 2025, e poi pubblicato inizialmente sulla nostra pagina Bandcamp in formato digitale.
– Emanuele: Solo dopo la pubblicazione in formato digitale abbiamo contattato alcune label per stamparlo e distribuirlo, tra le quali Argonauta Records. La loro proposta è stata la più adatta alle nostre esigenze e siamo anzi grati del lavoro che stanno svolgendo.

NON E’ PASSATO MOLTO TEMPO FRA LA VOSTRA NASCITA ED IL VOSTRO ESORDIO. LA DIREZIONE DA INTRAPRENDERE ERA GIA’ CHIARA FIN DAL PRINCIPIO O LO E’ DIVENTATA LAVORANDO SUI PEZZI?
– Elisa: La direzione è sempre stata ben chiara fin dall’inizio. Quando mi hanno chiesto di far parte del progetto ho avuto subito la sensazione di essere già allineata con loro e su come procedere, ancor prima di completarci come gruppo e finire i pezzi. Il resto è avvenuto in modo direi naturale.

I BRANI DELL’ALBUM SEMBRANO LEGATI TRA LORO DA UN CERTO TIPO DI MOOD. QUAL E’ IL MESSAGGIO CHE VOLETE TRASMETTERE O LA STORIA CHE VOLETE RACCONTARE? C’E’ UN BRANO CHE VI RAPPRESENTA IN MODO PARTICOLARE O AL QUALE SIETE PIU’ LEGATI?
– Omar: Il messaggio che cerchiamo di trasmettere con la nostra musica è una sorta di rappresentazione del cammino dell’ essere umano, il dolore per le vicissitudini della vita, la tristezza e lo sconforto, la vana reazione all’inevitabile, e anche un po’ in fondo la speranza che qualcosa alla fine possa cambiare.
Direi che il brano che più ci rappresenta e al quale siamo più legati, è il primo brano del disco, “Born Alone”, che abbiamo scelto anche come primo singolo. Racchiude in sé tutto quello che poi si trova nel disco, dalle atmosfere cupe e sognanti e alle parti più pesanti tipiche del death metal, oltre ad essere stato in assoluto il primo pezzo che abbiamo scritto.

PUR ESSENDO UN ALBUM COMPATTO E COESO IN TERMINI DI ATMOSFERE, “FOR THE SOULS WE HAVE LOST” E’ FATTO DI BRANI MOLTO DIVERSI TRA LORO. COME E’ AVVENUTO IL PROCESSO DI COMPOSIZIONE?
– Fabio: All’inizio, essendo solo io e Omar, i brani sono nati da alcuni riff in sala prove, durante delle jam a due.
Man mano che la band si formava abbiamo invece cambiato il modo di lavorare, dando più spazio alle emozioni più profonde. Abbiamo privilegiato la composizione e lo sviluppo delle melodie ‘at home’ piuttosto che molte prove assieme, così che ognuno dedicasse il suo tempo quando meglio ispirato. A volte in sala prove si porta anche la stanchezza della giornata lavorativa e il processo creativo può risentirne. Questo modo di lavorare ritengo abbia dato i suoi frutti nel nostro disco.

UN ASPETTO CHE COLPISCE MOLTO DELLA VOSTRA MUSICA E’ LA CURA DEGLI ARRANGIAMENTI. E’ QUALCOSA CHE CURATE IN MODO PARTICOLARE?
– Matteo: Assolutamente sì. Come detto, i pezzi del primo album sono nati tutti da una struttura di base composta da chitarra e batteria, a cui poi si sono aggiunti via via gli altri strumenti: basso, seconda chitarra e/o tastiera e voce.
Il fatto di lavorare in differita e senza fretta, ha fatto sì di poter portare fin da subito le idee più ispirate, curando anche i dettagli più piccoli.
Inoltre, grazie al lavoro in studio di Omar, ci potevamo rendere conto fin da subito dell’effetto che avevano le parti scritte nel mix finale, in modo da capire se erano adatte o se c’era bisogno di apportare modifiche. Ultimo aspetto, il fatto che tra di noi lavoriamo con la massima trasparenza.
Sono libero di esprimere un parere su una parte di basso o di voce e così gli altri nel commentare il mio lavoro con chitarra e tastiera. Tutto questo ci ha permesso di raggiungere quel risultato compatto e coeso che avevamo in testa, curando sia la parte più di impatto sia quella più di atmosfera.

A PARTE LE BAND CHE IN QUALCHE MODO HANNO INFLUENZATO IL VOSTRO SUONO, CHE MUSICA ASCOLTATE?
– Emanuele: Beh, io prediligo il death/thrash metal old-school, ma devo ammettere che ho gusti molto vari: posso passare da ascoltare i Morbid Angel ai Jethro Tull o a Nick Cave in un attimo! Dipende molto dall’umore…
– Elisa: Sono cresciuta musicalmente con il grunge prima e il nu metal poi, e di quei periodi mi è rimasta una collezione completa di album dei Pearl Jam che rientrano sicuramente nella lista dei miei gruppi preferiti, assieme ai System of a Down, gruppo che ho più ascoltato in vita, e anche tuttora.
Ho una passione smisurata per i Deftones, soprattutto per i loro ultimi album, quando il loro genere si è evoluto in qualcosa di più sperimentale e ricercato. Il mio battesimo verso un genere più estremo sono stati i Nevermore e, oltre ovviamente al doom, ascolto tantissimo black metal, due nomi su tutti Marduk e Funeral Mist, anche se da un po’ di tempo più che i gruppi molto conosciuti prediligo ascoltare le nostre realtà più piccole, quelle band che magari si esibiscono nei festival metal qua attorno.
– Matteo: Sono nato musicalmente con tutto il rock, hard rock ed heavy metal dagli anni ‘60 agli ‘80 (Pink Floyd, Deep Purple, Black Sabbath, Iron Maiden, ecc.). Questo è il genere che mi ha spinto a prendere in mano una chitarra elettrica, ed è il porto sicuro a cui ritorno regolarmente.
Ho poi sviluppato una passione per il power e symphonic metal. Tra tutti cito due gruppi: Nightwish ed Epica. Questi ultimi in particolare sono il gruppo che ad oggi ascolto con più interesse in assoluto.
Negli ultimi anni, inoltre, mi sono interessato alle colonne sonore, ascoltando compositori come Hans Zimmer e Danny Elfman. Da qui è scoccata la scintilla per iniziare a studiare il pianoforte, l’utilizzo delle tastiere e l’arrangiamento orchestrale.

LA SCENA ITALIANA CHE GRAVITA INTORNO AL DEATH/DOOM METAL ED AL GOTHIC METAL, IN QUESTI ANNI, SEMBRA PARTICOLARMENTE RICCA DI NUOVE E VECCHIE REALTA’. C’E’ QUALCHE BAND PER LA QUALE SENTITE UNA CERTA AFFINITA’?
– Omar: Per quanto mi riguarda, a livello di band attuali mi piacciono molto i Messa, che conosciamo da diverso tempo in quanto amici e conterranei, visto che sono della nostra zona.
Volendo citare altre band italiane, potrei dire sicuramente i Novembre, che hanno fatto la storia del genere in Italia, e personalmente adoro i Room With A View, band che è stata fra le prime nel genere in Italia, anche loro ispirandosi al sound dei primi dischi dei Katatonia, ma in chiave molto personale.

QUALI SONO LE VOSTRE ASPETTATIVE RIGUARDO LA PUBBLICAZIONE DEL DISCO?
– Fabio: Abbiamo avuto già un buon riscontro e le nostre aspettative sono quelle di farci conoscere, ascoltare e portare sui palchi la nostra musica. Come detto non siamo nuovi nel mondo dell’underground e siamo consapevoli delle difficoltà che ci sono nel farlo.
L’Italia ha moltissime band di valore che non riescono ad emergere, sia per la mancanza di spazi sia per un pubblico che preferisce i grandi eventi nelle arene: è come se fosse venuta meno la curiosità di sentire cose diverse.

AVETE INTENZIONE DI SUONARE DAL VIVO?
– Omar: Abbiamo già fatto un primo live per il release party del nostro disco in un locale della nostra zona, per l’autunno e per l’anno prossimo abbiamo già alcuni eventi in programma, tra i quali il Church of Crow Doom Festival a Pinerolo, dove condivideremo il palco con band del calibro di Funeral, Esoteric, Aeonian Sorrow e Sad Symphony, e siamo veramente onorati e allo stesso tempo emozionati di poter portare la nostra musica in quello che attualmente è il festival più importante in Italia per il genere che proponiamo.