Reykjavik, 15 novembre 2025 – L’Islanda alza il livello dell’allerta e compie un gesto senza precedenti: inserisce il possibile collasso della grande circolazione oceanica atlantica nella lista dei rischi per la sicurezza nazionale. Un’espressione forte, quasi eccessiva a prima vista, ma che per Reykjavik fotografa il punto a cui è arrivata la scienza: il sistema di correnti che addolcisce il clima dell’isola e dell’Europa nordoccidentale non è più considerato un elemento stabile. E il suo indebolimento, ormai documentato da anni, desta timori che non possono più essere liquidati come catastrofismo.
Come ricorda la Cnn, il cuore della questione è il Capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (Amoc), la gigantesca ‘noria’ di acqua calda e fredda che trasporta energia dal Sud del pianeta verso il Nord. Una sorta di nastro trasportatore: la corrente calda risale dall’Atlantico meridionale, si raffredda nelle latitudini polari, sprofonda e ritorna verso sud. Il sistema che tiene l’Islanda molto meno gelida di quanto la sua posizione geografica suggerirebbe.
Il problema è che questa macchina potrebbe incepparsi. Le temperature globali più alte e l’afflusso anomalo di acqua dolce dai ghiacci artici in scioglimento stanno alterando il delicato equilibrio di densità e salinità da cui dipende la forza della circolazione. Diversi studi indicano un rallentamento in corso e alcuni modelli suggeriscono che la rottura del sistema potrebbe verificarsi già entro questo secolo. La scienza non ha ancora una data certa, ma il semplice ‘potrebbe accadere’ è sufficiente a riscrivere le priorità di un Paese che vive sospeso tra fuoco e ghiaccio.
Per il ministro dell’Ambiente e dell’Energia, Jóhann Páll Jóhannsson, la posta in gioco è evidente. Il governo, ha spiegato, ritiene che “il nostro clima, la nostra economia e la nostra sicurezza siano profondamente legati alla stabilità delle correnti oceaniche che ci circondano”. Un eventuale collasso dell’Amoc, ha aggiunto, rappresenterebbe “una minaccia esistenziale”. Non solo perché l’Islanda rischierebbe un raffreddamento regionale drastico, come conferma il climatologo tedesco Stefan Rahmstorf, ma perché ghiaccio e tempeste metterebbero in ginocchio infrastrutture, trasporti e un settore strategico come la pesca.
Non sorprende quindi che, dopo le ricerche pubblicate ad agosto che hanno sollevato “serie preoccupazioni” sulla stabilità futura dell’Amoc, la decisione sia stata quella di elevare l’allarme al livello più alto. A settembre il Consiglio di sicurezza nazionale ha catalogato il rischio come tema di difesa interna. Un primo storico riconoscimento che il clima non è più solo un capitolo scientifico, ma un dossier geopolitico.
Rahmstorf parla di scelta “coraggiosa”, e invita altri Paesi a fare lo stesso. Perché un mondo con l’Amoc ferma significherebbe raccolti distrutti, inondazioni estreme, monsoni stravolti, mare che sale sulle coste di Europa e Stati Uniti. E, come ammette Jóhannsson, “il clima potrebbe cambiare così drasticamente da rendere impossibile qualsiasi forma di adattamento”. In altre parole: una questione di sopravvivenza nazionale.