Doveva essere la presentazione di un libro che racconta, ormai da 18 anni, la bicicletta da corsa. È diventata un momento di riflessione sull’essenza della bicicletta che si trasforma nella sua esteriorità ma rimane sempre uguale per concetto ed emozioni. L’ultima versione del volume è cambiata profondamente, sia nell’estetica che nei contenuti. Il fine è sempre far conoscere la bicicletta. Il modo, stavolta, è più raccontato.
Il tocco in più, nella presentazione, ce l’ha messo Gino Cervi, il meccanico dei libri, che mi ha aiutato nella presentazione dell’ultimo La Bicicletta da Corsa, Hoepli 2025. Con lui diverse avventure di parole nel ciclismo a chiacchierare, anche con il pubblico della bicicletta da corsa che è e che sarà.

presentazione bookcityUn momento della presentazione

La bicicletta è uno degli oggetti più strani del mondo moderno. Non perché sia complicata – la complicazione è cosa moderna – ma perché resiste. Resiste alle mode, alle rivoluzioni, ai materiali che si alternano come le stagioni, agli standard che a volte durano meno di un ciclo di lavaggio.
Resiste senza ostinazione, come se sapesse che non c’è nulla da inventare, ma solo da comprendere.

È un paradosso che emerge chiarissimo ogni volta che qualcuno prova a raccontarla. E durante la presentazione de La Bicicletta da Corsa, questo paradosso è diventato quasi tangibile: da una parte la bici è un oggetto che negli ultimi lustri è cambiato più di quanto avesse fatto nei precedenti cinquant’anni; dall’altra è rimasta, forse più che mai, identica alla sua essenza originaria.

Non importa quanto si siano sforzati progettisti e ingegneri: la forma resta quella, e anche l’UCI ci ha messo lo zampino. Due ruote, due triangoli, una linea spezzata che collega sella, pedali e manubrio.

E allora, mentre parliamo di fibra di carbonio, tubazioni, integrazioni, diametri, rake, offset, fibre, layup e algoritmi, ci si accorge che il vero tema non è la bicicletta.
Il vero tema siamo noi.

Un libro che non spiega “come si monta un cambio”, ma come si interpreta un mondo che corre troppo veloce

Chi si aspettava un manuale tecnico classico resterà sorpreso. L’intento non è insegnare una regolazione o elencare i componenti: ormai sono cose che vanno talmente veloci da non poter essere intrappolate in un libro che ha altri tempi e rischierebbe di uscire irrimediabilmente già superato, anche il compito del libro è cambiato. Per la velocità, oggi, c’è internet, dalle riviste online agli aggiornamenti tecnici delle aziende. La carta stampata si lascia sfogliare più lentamente.

Il libro, piuttosto, fa un’altra cosa: fa ordine.

In un universo in cui ogni anno cambia un dettaglio diverso il ciclista ha bisogno di punti fermi.
Ha bisogno di sapere cosa è essenziale e cosa è effimero, cosa è evoluzione e cosa è soltanto rumore. Poi a lui la scelta.

È come tornare a scuola, ma senza la lavagna: qui la didattica è la chiarezza.
Non ti spiega tutto, ti spiega ciò che serve per capire tutto il resto. Ecco il senso de “La Bicicletta da Corsa”. Di fronte all’infinità di dati e novità, un buon compendio serve a stabilire che cosa resta.
E non è poco, in un settore dove essere “aggiornati” è diventato un lavoro a tempo pieno.

La bici moderna è un oggetto silenzioso, ma anche estremamente nervoso

La bicicletta di oggi ha tolto un’infinità di rumori: non ci sono più cavi penzolanti, non ci sono vibrazioni casuali, non ci sono più freni che raschiano il cerchio. Tutto è integrato, pulito, nascosto.

Eppure, nel silenzio che produce, ogni minimo difetto diventa enorme. Un cambio regolato male lo senti subito. Una regolazione fatta in fretta? La paghi alla prima salita quando tutto deve essre in ordine perché c’è già la fatica da tenere bada.
Una pressione gomme sbagliata? È come pedalare su un’altra bici.

Le tolleranze sono così precise che la bici moderna sembra dire: se vuoi il mio meglio, devi darmi il tuo.
E questa richiesta di precisione è diventata la nuova normalità per chiunque salga in bici con un minimo di ambizione tecnica.

Ma è un nervosismo che non intimorisce: al contrario, coinvolge.
Perché costringe a un rapporto più intimo con la macchina, più rispettoso, più consapevole.
La bici tecnologica non si limita a funzionare: chiede di capirla.

E questo ci porta al cuore del ciclismo moderno: non basta pedalare.
Bisogna leggere, ascoltare, interpretare.

La gravel diventa antidoto a un mondo che non ci vuole più sulle sue strade

La gravel non è solo una moda. È un sintomo.
È la risposta spontanea a un contesto che è cambiato più in fretta della bici stessa.

Strade con più traffico, automobilisti più distratti, velocità più alte, spazi più stretti. È bastato questo per far sì che molti ciclisti si accorgessero di un’alternativa che era lì da sempre, pochi metri più in là. Le strade bianche, le forestali, le ciclabili sterrate, i sentieri ampi, le vie dimenticate.
E all’improvviso la bicicletta ha ritrovato un suo modo di respirare.

La gravel ha permesso alla gente di tornare a guardare il paesaggio invece che gli specchietti retrovisori.
Ha riportato il ciclismo verso la lentezza, ma senza rinunciare alla performance.
È diventata la bici della libertà quotidiana. La nuova interprete della “bicicletta da corsa” come accezione naturale. Poi ognuno potrà renderla più calma o più cattiva, alla fine interpreta noi stessi. È sicuramente la bici che ha interpretato meglio l’epoca in cui viviamo.

Il vintage non è andare indietro: è un ritorno a sé stessi

Poi c’è l’universo del vintage, che non smette di crescere.
Non è fatto solo di acciaio lucido e cromature: è fatto di gesti. Soprattutto storie.
Chi pedala una bici d’epoca non cerca la prestazione, cerca un tempo diverso, vuole raccontare. Cerca quella relazione diretta con la meccanica che oggi, con l’integrazione totale, sembra sparire sotto una pelle tecnologica e sfuggente di modelli che si susseguono come fotogrammi troppo veloci.
Cerca la sensazione di “sentire” la bici, di capirla, di dialogare con lei in un linguaggio fatto di vibrazioni e piccoli suoni che improvvisamente da “difetti” diventano “caratteristiche”.

E la cosa più interessante è che tantissimi appassionati hanno entrambe le anime nel garage: la moderna e la vintage.
Una per andare forte, l’altra per andare bene.
Due velocità diverse per lo stesso amore.

Il futuro non sarà una rivoluzione. Sarà una messa a fuoco

Chi sogna un cambio radicale resterà deluso: la bici è già nel suo stadio finale da decenni.
Ma questo non significa che il futuro sia banale. Tutt’altro.

Arriveranno materiali più intelligenti.
Arriveranno sensori nascosti.
Arriveranno componenti sempre più integrati.
Arriverà un’elettronica che non sarà mai invasiva, ma sempre più presente.
Arriverà una semplicità apparente che nasconderà una complessità profonda.

Non vedremo una nuova categoria di bici, ma vedremo bici che sapranno fare di più senza farcelo pesare una volta che le avremo.
Il ciclismo del futuro sarà più “pulito”, più intuitivo, più armonioso.
E, paradossalmente, somiglierà sempre di più al ciclismo del passato.

Alla fine, tutto torna lì: la bicicletta è un modo per conoscersi

Forse la frase più potente emersa nella discussione è la più antica: “Conosci te stesso.”
Un tempo era di chi ti insegnava ciclismo. Oggi è il misuratore di potenza con i suoi algoritmi.
Domani chissà chi sarà.

La bici misura ciò che siamo, non ciò che facciamo.
Misura la costanza, la pazienza, la capacità di soffrire, la voglia di migliorare.
Misura anche il nostro rapporto col mondo: se ci piace correre oppure osservare, se abbiamo bisogno di competizione o di silenzio, se pedalare è sfogo o contemplazione.

Pedalata dopo pedalata impariamo qualcosa di noi stessi, la bicicletta continua a fare il suo lavoro: avanzare, un giro di pedale alla volta, un tocco di vernice dopo l’altro.

È forse questo il motivo per cui, dopo centocinquant’anni, siamo ancora qui a parlarne con lo stesso entusiasmo: la bicicletta è l’unico oggetto che cambia senza cambiare mai, e nel farlo ci somiglia più di qualsiasi altra invenzione umana.

Quando saliamo in sella, la modernità può anche sparire.
Resta solo la strada, il corpo che lavora, il mondo che scorre.
E quella sensazione semplice e inimitabile di ritrovarsi, ancora una volta, al posto giusto: sulla nostra bicicletta. Qualunque essa sia. O sarà.

“La Bicicletta da Corsa”: il libro di Guido Rubino che racconta perché oggi la bici non è solo sport