Hanno ricominciato a sfornare il pane dall’inizio di novembre le panetterie di Gaza City, e già prima dell’entrata in vigore del cessate il fuoco, sin dal 4 ottobre, avevano riaperto alcuni forni del sud. Procurarsi il pane nella Striscia non è più un’impresa in cui si rischia di perdere la vita. «È più semplice di prima», «non ci sono più lunghe code», riferiscono due famiglie di sfollati, da due diverse località. I panifici rimasti in piedi, sostenuti dalle Nazioni Unite e dai loro partner locali, provano a tornare alla normalità, in uno sforzo che vede nuove riaperture ogni giorno.

«La quantità di pane però non è sufficiente per tutti, soprattutto per la mancanza di macchinari di produzione. Israele non consente l’ingresso dei pezzi di ricambio per aggiustare quelli in parte funzionanti, né di nuove line automatizzate», spiega ad Avvenire Abdel Nasser Al-Ajrami, presidente dell’Associazione dei proprietari di panifici di Gaza. Prima del 7 ottobre, nella Striscia esistevano settanta forni automatizzati per alti volumi di produzione. «Durante la guerra ne abbiamo persi trentacinque, la metà» prosegue. E «quelli rimasti operano in collaborazione con il World Food Programme dell’Onu (Wfp/Pam) che fa entrare gli ingredienti necessari dai valichi israeliani, cioè farina, zucchero, sale e lievito, più il gasolio. Ma la quantità di pane prodotta copre, forse, circa il 70 per cento della popolazione».

Secondo le ultime informazioni diffuse dall’agenzia Ocha dell’Onu il 12 novembre, vengono distribuiti 160.000 pacchetti da due chili di pane al giorno, confezionati da diciannove panifici supportati dal Wfp. «Ogni sacchetto è sufficiente per sei persone» spiega il presidente dell’associazione, che fornisce un’anticipazione sulla riattivazione di altri forni, dando l’idea del lavoro a pieno ritmo in corso: «Il totale di panifici che operano con il Pam arriverà a una trentina. Nei prossimi giorni ne saranno aperti altri tre ad al-Mawasi». In questi due anni di guerra la produzione ha subito prolungate interruzioni. Nel 2023, i panifici erano rimasti chiusi a novembre e dicembre. Nel 2024 l’Onu ne aveva riaperti diversi. «Avevano continuato a operare fino alla serrata del primo aprile di quest’anno (a seguito del blocco totale israeliano degli aiuti da marzo, ndr)», prosegue Al-Ajrami. Il pane prodotto attualmente è reso disponibile gratis in oltre quattrocento punti di distribuzione, tra cui cinquanta rifugi Unrwa e nelle cucine comunitarie, mentre una settantina di rivenditori lo vende a prezzo agevolato, 3 shekel per sacchetto (meno di un euro), fa sapere l’Ocha.

Da alcuni sfollati ci viene riferito, però, che i prezzi «variano da un panificio all’altro», e al «mercato, costa da 7 shekel». Una donna aggiunge di non essere informata del fatto che qualcuno lo riceva gratis. Al momento, «la farina entra dai valichi di Karem Abu Salem (Kerem Shalom, ndr) a sud e di Kissufim nel centro», spiega Abdel Nasser Al-Ajrami. Sono infatti trascorsi due mesi dall’ultimo convoglio entrato dal valico di Zikim, punto di accesso al nord, chiuso il 12 settembre. L’Onu denuncia che all’inizio della tregua, il 10 ottobre, le autorità israeliane hanno respinto 23 richieste per far entrare a Gaza quasi 4mila pedane di forniture essenziali. All’interno di Gaza, il ritiro dei sacchi di farina come di altre merci in entrata, rimane limitato al Corridoio Filadelfia «stretto e congestionato» e alla Al-Rasheed Road, «esponendo i convogli a maggiori rischi di intercettazione, quando i camion carichi sono costretti a fermarsi in aree affollate», sottolinea Ocha. E in effetti, conferma Abdel Nasser Al-Ajrami, gli approvvigionamenti per i panifici, come altri aiuti, restano «soggetti a furti da parte di bande di ladri fuorilegge, che non hanno alcun legame con Hamas. Rubano per rivendere sul mercato a prezzi alti».

Tra furti e difficoltà di accesso delle forniture, «le scorte di farina restano insufficienti, vanno aumentate. Invitiamo la comunità internazionale – conclude il presidente dei panificatori – a intervenire presso la parte israeliana anche per accelerare l’ingresso di componenti di ricambio per i forni e di macchinari nuovi. Solo così potremmo soddisfare le necessità di tutti».