Era ora. C’è voluto qualche anno ma alla fine anche la stagione della trap è finita. Addio rolex e pistole; addio estetica finta gangsta e parodie di Scarface; addio a sesso, soldi e cilindrate.

A scrivere l’epitaffio sulla scena, ci hanno pensato due ultracinquantenni: Neffa e Caprezza.

Il primo dando alle stampe il doppio Canerandagio, che segna il ritorno al rap degli esordi; il secondo con la pubblicazione di Orbit Orbit, disco maturo dalle rime mai così profonde.

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Neffa, il guaglione che oggi tutti chiamano maestro, è stato uno dei precursori del genere in Italia, fin da quando incideva con i Sangue Misto.

Dopo una serie di incursioni nel funky-pop, con Canerandagio, alla soglia degli sessanta, si è rimesso a scrivere barre come faceva un tempo. Nel progetto ha coinvolto anche alcuni dei grandi nomi emersi dalle ceneri del rap anni 90 (Fibra, Guè, Frah Quintale, Salmo e tanti altri). L’effetto déjà vu c’è, voluto e godibile. L’album, però, non è un mero remake del passato, mescola voci e stili, risultando allo stesso tempo adulto e contemporaneo, invece che vecchio e nostalgico (come spesso capita quando gli artisti rispolverano le proprie origini).

Il manifesto d’intenti del disco è tutto nel primo pezzo, “Littlefunkyintro”:

Sono passati trent’anni e passa e ancora in massa puoi sentire che mi copiano.

Sono senile, ma se serve stile ancora te ne caccio.

Non so che dire, ma mi chiamano “maestro”, un po’ per dire che mi sono fatto vecchio.

E mi fa ridere che dicono che quando rappo sembra di stare nei novanta.

Canerandagio è un disco di hip hop puro , pieno di feat che però non ne snaturano il senso: non è una raccolta di singoli, è un lavoro compatto, nonostante le 20 tracce. Qualche rima gangsta pure c’è, nel complesso, però, è un album intimo e introspettivo sulla società e i rapporti umani.

E molto intima e personale è anche l’ultima produzione di Michele Salvemini, in arte Caparezza. Orbit, che è anche un fumetto, risente dei problemi di salute del musicista, che soffre di acufene e ipoacusia (perdita dell’udito). Racconta della rabbia verso la malattia e verso la stessa musica, causa alla base della patologia di cui soffre.

Dopo Exuvia, il penultimo album, Caparezza aveva pensato di ritirarsi dalle scene per dedicarsi alla sua passione, il fumetto. Proprio questa passione gli ha fatto tornare il desiderio di scrivere pezzi nuovi.

A raccontarlo è lui stesso, in “Comic book saved my life”:

È il giorno di Exuvia, faccio l’audiometria.

La mia speranza brucia come il carro di Elia.

Il responso è che sto diventando sordo.

Sono a Roma per il “media day” ma vorrei scappare via.

Le mie interviste nei giorni più tristi, peccato.

Rispondo calmo a tutti i giornalisti, teatro.

Non bastavano i dannati fischi, si fottano i dischi

Non voglio dimenticare le voci che amo!

Il disco è pieno di brani intensi, che sfiorano la letteratura, da Pathosfera al singolo Io sono il viaggio. A 52 anni Caparezza si sente vecchio, fuori tempo, “come la musica elettronica”, e lo canta:

Amo il crepuscolo, amo le frustate che dà la vecchiaia, smagliature sulla pelle, solchi sulla faccia.

Sono sempre più a mio agio dentro al cimitero, così tanta umanità, così poca ferocia.

Per festeggiare il suo ritorno al rap, Neffa ha tenuto un concerto a Milano, il 5 novembre scorso. Lo show non poteva che concludersi con Aspettando il sole, brano simbolo degli anni 90, per la prima volta interpretato dal vivo con Giuliano Palma. Caparezza, invece, sarà in tour l’anno prossimo per tutta l’estate, con uno spettacolo che si annuncia “spaziale”.

Sarà una casualità, sarà che la scena trap aveva ormai fatto il suo tempo, come accade, prima o poi, ad ogni fenomeno; fatto sta che il ritorno di due maestri dell’hip hop come Neffa e Caparezza ha il sapore della rivincita, del vecchio che torna in cattedra, rendendo evidente il divario tra chi si traveste da duro per scalare le classifiche e chi fa musica perché ha realmente qualcosa da dire.

E dimostra anche un’altra cosa: che non serve fare un singolo al mese, occupare la scena, farsi spremere dalle major; il pubblico riconosce gli artisti, non li abbandona, non li dimentica. E quando tornano, anche dopo anni, li applaude.

Daily Cogito analizza l’ultimo disco di Caparezza, ORBIT ORBIT, un vero viaggio tra letteratura, musica e introspezione: una vera meraviglia!