di
Paolo Salom
Tutto è ricominciato quando la neo-premier Takaichi ha ipotizzato un aiuto militare a Taiwan. Pechino ordina di «evitare» viaggi nel Sol Levante e poi manda la Guardia costiera a «pattugliare» le isole contese Senkaku-Diaoyu
Nella tradizione shintoista, quando le forze della Natura sono disturbate, i kami — gli spiriti che stanno in tutte le cose, animate o inanimate — si destano e manifestano la loro furia. Come? Per esempio con un’eruzione: lava, cenere e lapilli. Ed è così che, in Giappone, qualcuno sta interpretando il risveglio del vulcano Sakurajima (la montagna «dell’isola dei fiori di ciliegio»), ieri, come un segno del fastidio per la lite che non accenna a spegnersi tra Cina e il Sol Levante.
Sono settimane, infatti, che i due Paesi si rinfacciano accuse e insulti — persino minacce fisiche — dopo la (sfortunata) uscita della neo premier di Tokyo, Sanae Takaichi, che ha avuto la sventura di citare la possibile invasione di Taiwan da parte dell’esercito di Pechino come ragione per «mobilitare le forze di autodifesa».
Non l’avesse mai fatto: la prima risposta è arrivata dal console generale cinese a Osaka, che ha minacciato — senza curarsi degli obblighi diplomatici — di «tagliare il collo» di chi osasse muoversi per l’«isola ribelle». Poi sono arrivate le convocazioni dei rispettivi ambasciatori, a Tokyo e a Pechino, con reprimende reciproche.
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Infine, le ritorsioni. La Repubblica Popolare ha prima «sconsigliato» di fare viaggi di piacere nel Paese rivale. Quindi ha diffuso «un avviso» sollecitando gli studenti cinesi che si trovano in Giappone o che pensano di trasferirsi lì per motivi di studio a valutare «con attenzione i rischi», ad «adottare le necessarie precauzioni e a pianificare con prudenza gli studi». Secondo i «consigli» arrivati dal ministero dell’Istruzione di Pechino e rilanciati dai media ufficiali del Dragone, «sono aumentati i rischi per la sicurezza degli studenti cinesi in Giappone».
Come se non bastasse, ad aumentare le tensioni è arrivato l’annuncio che la Guardia costiera della Cina ha «ripreso» a pattugliare le acque delle isole Senkaku, amministrate dal Giappone ma rivendicate dalla Repubblica Popolare, che le chiama isole Diaoyu. E, guarda caso, si trovano più o meno a metà strada tra Okinawa e Taiwan.
La Guardia costiera del gigante asiatico ha confermato che sue unità hanno effettuato un «pattugliamento nelle acque territoriali delle isole Diaoyu», un’operazione «nel rispetto della legge» — riferiscono i media ufficiali — e decisa a «tutela dei diritti» della Cina.
Insomma, a 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, la rivalità tra i due grandi Paesi dell’Estremo Oriente sembra essere di nuovo all’ordine del giorno. Certo, per i cittadini del Celeste Impero — aggredito a partire dal 1937 dalle truppe del Tenno — la memoria delle atrocità commesse nel corso dell’invasione giapponese sono difficili da dimenticare, anche perché l’ex nemico ha fatto ben poco per farsi perdonare: ancora oggi — e la premier Takaichi è sulla stessa lunghezza d’onda — diversi leader politici nipponici hanno fatto visite regolari al Santuario di Yasukuni, a Tokyo, dove sono venerate le anime dei soldati giapponesi, compresi i non pochi criminali di guerra.
D’altro canto, se il tempo non è in grado di sanare le ferite del passato, anche i cittadini dell’arcipelago potrebbero ricordare le due tentate invasioni provenienti dalla Cina (allora governata dai mongoli per la verità) che nel Tredicesimo secolo fallirono soltanto — dice la leggenda — grazie a provvidenziali tifoni che devastarono le flotte, da cui il termine «kamikaze», vento divino.
Insomma, la Natura è sempre coinvolta. Speriamo che questa volta non si scateni un altro tsunami.
16 novembre 2025 ( modifica il 16 novembre 2025 | 23:30)
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