Pierfrancesco Favino è “Il maestro”, un istruttore di tennis sull’orlo di una crisi di nervi a cui vengono affidate le sorti di un giovane campione (almeno così lo vede il padre). Misurata storia di formazione (ricorda “Il sorpasso”) ed elogio della sconfitta. Regia di Andea Di Stefano che dopo il noir “L’ultima notte di amore” cambia completamente superficie di gioco.

“Diamant brut”, cioè diamante grezzo. La giovanissima Liane si sente così. Vuole essere scoperta, “vista” dai social. Le piomba addosso l’occasione per farlo e allora il sogno diventa ossessione ma anche dura realtà. L’esordiente Agathe Riedinger firma un’opera disperata e lirica insieme. Per essere “La ragazza brillante” bisogna camminare sul filo dell’esibizionismo e della prostituzione morale.

“I colori del tempo” di Cédric Klapish trova nella storia di Adèle una narrazione popolare, anche comica a tratti, non priva di citazioni colte e di rimandi più alti, a sottolineare la diversa serenità dei tempi andati e lo stress di quelli recenti.

Il maestro

Cast: Pierfrancesco Favino, Tiziano Menichelli, Edwige Fenech, Giovanni Ludeno, Valentina Bellè

Pierfrancesco Favino è Raul Gatti, un ex tennista sull’orlo di una crisi di nervi che, dopo un ottavo al Foro Italico, è evaporato. All’epoca divorava la vita e il campo come faceva l’argentino Guillermo Villas con quella sua personalità brillante, la palla liftata, la spudoratezza di giocare anche dopo aver fatto l’alba in discoteca, profumando di femmine e champagne.

Ora che i riflettori si sono spenti e la terra rossa sulle scarpe è diventata solo polvere, Raul si ricicla maestro di tennis per il giovanissimo Felice (Tiziano Menichelli) che il padre vorrebbe già campione. Ma il ragazzo è un pallettaro, vince a livello regionale perché sfinisce gli avversari da fondo campo. Mai un sussulto, mai una volée a rete, mai un attacco.

«Arretrare sempre» è la parola d’ordine. L’incontro con Raul, tuta acetata d’ordinanza e polsini addosso notte e giorno (c’è un motivo …), è quasi traumatico, ma entrambi impareranno qualcosa. “Il Maestro” di Andrea Di Stefano (che cambia radicalmente superficie di gioco dopo l’acclamato noir “L’ultima notte di Amore”) è una commedia umana e umanista.

Ricorda quasi “Il sorpasso” in quella iniziazione alla vita di Felice per mano di un perdente che continua a commettere doppi falli. Ma che una cosa la insegna al suo pupillo: si può anche perdere. Raul Gatti è un personaggio più tragico che comico, incarna quell’elogio della sconfitta che il mondo di oggi non sembra voler più accettare.

Di Stefano lo carica sulle spalle di Pierfrancesco Favino, bravo a governare le montagne russe del suo personaggio.

Preziosa l’interpretazione del giovanissimo Menichelli e c’è anche un piccolo cameo di Edwige Fenech. Esilarante la sequenza in chiesa tra il maestro e il suo allievo. (Marco Contino)

Una ragazza brillante  

Cast: Malou Khebizi, Idir Azougli

Il film "Una ragazza brillante"

Il film “Una ragazza brillante”

Al suo esordio alla regia, Agathe Riedinger impasta il cinema sociale dei fratelli Dardenne, quello brutalmente onirico di “Precious” e, infine, quello ossessivo di “Reality” di Garrone. Perché la protagonista di “Diamant Brut” (tradotto dai distributori italiani con un più insipido “La ragazza brillante”) è la 19enne Liane (una convincente Malou Khebizi) che, più di ogni altra cosa, vuole essere “vista”.

In un contesto urbano e sociale squallido (quello della periferia di Frejus: ma quanto sembra lontana la Costa Azzurra!), Liane veste top striminziti che ne risaltano il seno rifatto, porta unghie lunghissime con le perline che ruba nei centri commerciali, si muove con disinvoltura tra il sacro (è una credente che prega Dio perché la aiuti a sfondare nei social) e il profano (con la sua piccola collezione di scarpe, vestiti, trucchi che tiene e pulisce come reliquie).

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Ha una madre disoccupata e una sorellina abbandonata a se stessa: per questo, la telefonata di una direttrice di casting che seleziona Liane per partecipare al provino di un famoso reality, diventa la porta d’uscita dall’anonimato e da un passato in una casa famiglia (che riaffiora quando incontra un suo vecchio amico) per approdare a una dimensione disintermediata e social, il suo personale paese dei balocchi in cui esibizionismo e prostituzione morale non sembrano così distanti.

Riedinger non racconta nulla di originale, eppure lo fa con l’incoscienza di una esordiente, trovando spesso un equilibrio tra il canto disperato di Liane e il realismo di luoghi e persone che sembra abortire in partenza qualsiasi sogno o anelito di riscatto. Finale, forse, un po’ troppo consolatorio per le basi che sino ad allora aveva costruito la regista.

Ma quella canzone (“Bisogna morire”, una passacaglia del ‘600), intonata con grazia da Liane, conserva qualcosa di struggente. Come se, davvero, la protagonista dovesse prima soccombere nel mondo reale e poi rinascere in quello social. (Marco Contino)

I colori del tempo

Cast: Suzanne Lindon, Abraham Wapler, Julia Piaton, Vincent Macaigne, Zinedine Soualem

Il film "I colori del tempo"

Il film “I colori del tempo”

L’escamotage narrativo di andare alla ricerca del proprio passato familiare attraverso un baule di ricordi, un album fotografico o un lascito testamentario, non è nuovo nel cinema, che, anzi, predilige giocare spesso tra storia e memoria.

Nel film “I colori del tempo” di Cédric Klapish non è l’apertura di un testamento a innescare il meccanismo, ma qualcosa di simile: la richiesta di un comune della Normandia di acquistare un rudere appartenuto ad Adèle, un’ava lontana di una famiglia molto numerosa, rappresentata da quattro cugini molto diversi tra loro.

Da lì la ricostruzione della storia di una giovane di belle speranze che, partendo dal paesello alla volta di Parigi, alla ricerca della madre che non ha mai conosciuto, viene investita dal fascino e dal dinamismo della Parigi fin de siècle, riuscendo a mantenere intatta la propria alterità, ma recependo l’eredità culturale e artistica, che conserverà, portandole con sé, assieme ad altre sorprese scoperte dai parenti nei diversi sopralluoghi, al rientro in Normandia.

Cédric Klapish è un regista abituato a strizzare l’occhio al grande pubblico con film di intrattenimento, da “L’appartamento spagnolo” (2002) a “La vita è una danza” (2022). Qui trova un giusto mix tra commedia e ritratto storico, in un’alternanza temporale tra le vicende della famiglia miracolata dall’eredità a quelle della giovane Adèle alla scoperta della Ville Lumière che esprime, da un lato, il senso delle proprie radici, dall’altro il ruolo dell’arte – tra pittura e fotografia – nella formazione delle generazioni di ieri e di oggi.

Bella l’ambientazione di una Parigi ai margini della Belle Époque, ricca di citazioni impressioniste, che si integra e si sovrappone alle stesse immagini dell’attualità. Ne risulta un film che predilige una narrazione popolare, anche comica a tratti, e comunque non priva di citazioni colte e di rimandi più alti, a  sottolineare la diversa serenità dei tempi andati e lo stress di quelli recenti. (Michele Gottardi)