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Domenica in Cile si vota per il primo turno delle elezioni presidenziali: dei quattro candidati con più possibilità di arrivare al ballottaggio, tre sono di destra o di estrema destra. In campagna elettorale si è parlato quasi solamente di criminalità, con immigrazione ed economia come temi secondari: le questioni sociali e il superamento delle diseguaglianze, che avevano portato Gabriel Boric e la sinistra a vincere nel 2021, sono scomparsi dal dibattito. La Costituzione impedisce a Boric di ricandidarsi, ma la sua popolarità è comunque bassa. Jeannette Jara del Partito Comunista, candidata dell’attuale governo e della sinistra, dovrebbe vincere questo primo turno, ma poi sarà inevitabilmente sfavorita contro qualsiasi candidato della destra arrivi al ballottaggio.
Evelyn Matthei, della destra tradizionale (“Chile Vamos”), José Antonio Kast, della destra radicale del Partito Repubblicano, e Johannes Kaiser, ancora più a destra con il Partito Nazionale Libertario, raccoglieranno insieme almeno il 50 per cento dei voti. I sondaggi non li danno lontanissimi, con Kast al momento favorito: al secondo turno dovrebbero accordarsi per far vincere il candidato più votato.
Si vota anche per rinnovare tutta la Camera (155 deputati) e metà del Senato (25 senatori): i sondaggi indicano che la destra potrebbe ottenere la maggioranza in entrambi i rami del parlamento.
Sono però elezioni con un certo margine di incertezza e imprevedibilità, perché sono le prime presidenziali con voto obbligatorio. Dal 2022 per legge i cileni sono tenuti ad andare a votare, e chi non lo fa può essere punito con una multa fra i 30 e i 100 euro. Quando Boric fu eletto votarono 7 milioni di persone, stavolta gli elettori dovrebbero essere circa 15 milioni (su una popolazione totale di circa 20 milioni). Non è chiaro quale candidato sarà favorito da questo ampliamento del numero dei votanti: molti sondaggi dicono che una consistente parte di cittadini non è interessata alla politica.

Un soldato all’ex stazione ferroviaria di Mapocho, nella capitale Santiago, usata come seggio elettorale (AP Photo/Esteban Felix)
Il clima e il dibattito politico in Cile sono cambiati da alcuni anni: se le questioni sociali e le domande di una maggiore equità avevano portato nel 2019 a enormi proteste di piazza, oggi l’opinione pubblica converge su una richiesta di maggiore sicurezza. La comparsa di gruppi criminali transnazionali (soprattutto il venezuelano Tren de Aragua) ha portato nel paese un genere di criminalità e di violenza a cui i cileni non erano abituati, suscitando un diffuso allarme.
Nel 2024 ci sono stati 6 omicidi ogni 100mila abitanti: è un dato doppio rispetto a 10 anni fa e simile a quello degli Stati Uniti, ma comunque in calo rispetto ai massimi del 2022 e molto più basso di quelli di Ecuador (38 ogni 100mila) o di Brasile e Messico (fra i 20 e i 25). Il Cile resta un paese più sicuro rispetto alla media del Sudamerica, ma la percezione della criminalità è più alta che altrove: secondo un sondaggio Ipsos i cileni sono più “preoccupati” per la loro sicurezza che i messicani o i colombiani.
Questo ha favorito risposte radicali come quelle della destra più estrema, e ha coinvolto nell’allarme anche la questione dell’immigrazione. Il Cile è diventato di recente una destinazione di immigrazione, soprattutto per i molti venezuelani in fuga dal regime di Nicolás Maduro e dall’enorme crisi economica del paese. Chiusura delle frontiere e politiche di espulsioni di massa sono alcune delle soluzioni proposte dalle destre, come negli Stati Uniti e in Europa. Tra gli elettori che votano domenica ci sono anche 800mila immigrati che risiedono nel paese da almeno cinque anni.
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I tre candidati della destra hanno centrato la loro campagna su una visione cupa e catastrofica della situazione attuale del Cile, che Jara ha provato a smontare con messaggi di fiducia e promuovendo alcune delle misure economiche approvate dal governo, come la riduzione dell’orario lavorativo settimanale e la riforma delle pensioni, che tra le altre cose ha aumentato la quota pagata dai datori del lavoro (in Cile il sistema previdenziale è perlopiù privato). Fino allo scorso aprile Jara era ministra del Lavoro. Si è dimessa per candidarsi alle primarie del centrosinistra, che ha vinto con il 60 per cento dei voti contro Carolina Tohá, ministra dell’Interno nello stesso governo e Socialista Democratica.

Al centro Jeannette Jara, candidata della sinistra, a Valparaiso il 13 novembre 2025 (AP Photo/Esteban Felix)
Jara ha saputo mostrarsi come molto vicina alla popolazione e lontana dalle élite. Allo stesso tempo è un’esponente del Partito Comunista, cosa che rimane un problema per una parte consistente dell’elettorato in Cile. Il suo programma è piuttosto moderato e lei si è rimangiata alcuni dei progetti più radicali, come la nazionalizzazione dell’industria del rame. Potrebbe anche abbandonare il partito dopo il primo turno, per presentarsi come candidata “di tutti” e provare a convincere gli elettori più moderati.
Essendo l’unica con qualche possibilità di vincere a sinistra (in totale i candidati alla presidenza sono otto) Jara dovrebbe ottenere fra il 25 e il 30 per cento dei voti, abbastanza per passare il primo turno.
Kast è il favorito per sfidarla al ballottaggio: è al terzo tentativo di diventare presidente, e nel 2021 fu battuto al secondo turno da Boric. È un ultraconservatore con nostalgie per la dittatura di Augusto Pinochet, e le sue proposte sono contenute nel Plan Implacable (piano implacabile). Per la criminalità si ispira al presidente di El Salvador Nayib Bukele, noto per il suo approccio molto duro contro le gang e il ricorso a incarcerazioni di massa: anche Kast propone di costruire nuove carceri di massima sicurezza, vuole rendere più ampi i campi d’azione della polizia e i limiti della legittima difesa, e dice di voler finanziare con 300 milioni di dollari 2mila voli per rimpatriare tutti gli immigrati senza permesso di soggiorno. In economia sostiene un modello liberista: tagli alle tasse e alla spesa pubblica, con l’iniziativa privata al centro di tutto.

Johannes Kaiser e José Antonio Kast durante il dibattito televisivo del 10 novembre 2025 (AP Photo/Esteban Felix)
Kast ha nove figli e in passato ha espresso opinioni radicali contro l’aborto e contro i matrimoni omosessuali. In queste elezioni ha abbandonato le cosiddette “battaglie culturali”, che sono invece state centrali per la campagna del candidato ancora più estremista Johannes Kaiser, 49enne diventato noto una decina di anni fa per i suoi video su YouTube. È un cristiano evangelico, è apertamente revisionista sulla dittatura militare, ha proposto di liberare chi è stato condannato per i crimini della dittatura, vuole reintrodurre la pena di morte (eliminata nel 2001), nega il cambiamento climatico e tutte le rivendicazioni delle minoranze. In economia è ultraliberista. I sondaggi lo indicano a pochi punti percentuali da Kast: se dovesse andare lui al ballottaggio potrebbe faticare di più a prendere i voti dei moderati.
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Evelyn Matthei a Santiago del Cile, il 6 novembre 2025 (AP Photo/Esteban Felix)
In questo sovraffollamento a destra è rimasta un po’ schiacciata Evelyn Matthei, 72 anni, ministra nel governo con il presidente Sebastián Piñera dal 2011 al 2013 e ex sindaca di Providencia, uno dei comuni più ricchi dell’area metropolitana di Santiago. Fino a qualche mese fa era considerata la favorita, poi la sua campagna è stata piuttosto contraddittoria: da una parte ha cercato di proporsi come alternativa moderata e di centro, dall’altra ha radicalizzato il suo messaggio quando è stata sorpassata a destra da Kast e Kaiser. Ad aprile ha giustificato il colpo di stato di Pinochet del 1973, dicendo che non c’era alternativa, e le seguenti violenze del regime («era inevitabile che ci fossero morti, eravamo in una guerra civile»). Nei giorni finali della campagna ha detto che la sua proposta per la criminalità era «carcere o cimitero».
Altri quattro candidati presidenti non hanno reali possibilità di arrivare al ballottaggio: il più popolare è Franco Parisi, un economista che guida un partito populista che i sondaggi indicano sotto al 10 per cento.
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