di
Federico Fubini

I Ventisette sono a caccia di una soluzione su asset e flotta russi. L’Fmi potrebbe sbloccare un prestito all’Ucraina da 8 miliardi fino al 2029

L’ Ucraina oggi dispone di cassa per continuare a finanziare l’esercito e le altre funzioni vitali dello Stato per altri quattro mesi, non di più. Per questo l’ultima ipotesi allo studio a Bruxelles prevede una soluzione ingegnosa: l’Unione europea emetterebbe debito per un prestito a Kiev garantito, in ultima istanza, dalle riserve russe congelate per almeno 140 miliardi di euro.

I governi freddi o ostili all’uso diretto dei beni di Mosca a favore dell’Ucraina — Ungheria, Slovacchia, Belgio, ma anche Italia e Francia — allora potrebbero superare i loro dubbi, forse. E anche il Fondo monetario internazionale, con queste rassicurazioni, potrebbe sbloccare un prestito all’Ucraina da otto miliardi di dollari fino al 2029.



















































Ma qualunque sia l’ultima prova di virtuosismo burocratico, di sicuro da sola non basta più. Perché il dilemma di fronte al quale si trova l’Europa per la prima volta dall’avvio dell’aggressione totale da parte di Vladimir Putin è più ampio. I governi europei devono scegliere tra due scenari entrambi poco attraenti: assumersi più rischi per sostenere l’Ucraina contro la Russia; oppure accettare il rischio che la Russia guadagni nei prossimi anni il controllo politico e militare dell’Ucraina e inizi a premere anche di più per destabilizzare l’Unione europea.

Se questo secondo scenario prendesse forma, Mosca arriverebbe a gestire un esercito potenzialmente da almeno due milioni di effettivi e addestrato alle tecniche più moderne di aggressione ibrida e aperta. La sola minaccia basterebbe a paralizzare o far fuggire gli investimenti e far impennare i tassi d’interessi su tutta la fascia orientale dell’Unione europea e iniettare un’incertezza senza precedenti sul futuro dell’intero insieme, delle istituzioni di Bruxelles e dell’euro.

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Anche perché per la prima volta Italia, Germania, Francia e gli altri governi dell’area si trovano ora in una situazione speciale in questa guerra. Per anni si erano mossi al riparo del sostegno dell’America di Joe Biden all’Ucraina (per almeno 120 miliardi di euro); poi al riparo dell’idea che Donald Trump avrebbe portato una tregua, al punto che il solo vero piano europeo — gli stivali sul terreno dei «volenterosi» di Emmanuel Macron — si basava su di essa.

Oggi questi presupposti non ci sono più. Trump ha interrotto quasi del tutto l’aiuto americano all’Ucraina e, per ora, anche l’impegno per una tregua. Per la prima volta da quattro anni la responsabilità di puntellare l’Ucraina è solo sulle spalle degli europei. E i costi sono noti: circa cento miliardi di euro l’anno per la gestione militare e civile, di cui una decina spetterebbero all’Italia se si decidesse di non ricorrere alle riserve russe.

Su questo sfondo, alcuni dei governi europei si stanno muovendo come se non capissero la posta in gioco. L’Italia esita, per frizioni nella maggioranza e forse perché teme sequestri di conti e impianti di gruppi italiani in Russia qualora si mettesse mano alle riserve di Mosca. Parigi condiziona lo sblocco dei fondi congelati all’acquisto di armi francesi come gli obici Caesar (l’Ucraina trova più efficienti i propri Bohdana, che costano la metà) e teme ritorsioni di Putin con il sequestro delle quote multimiliardarie della francese TotalEnergies nelle russe Novatek e Yamal LNG. Germania, nordici e Polonia sono più lucidi, ma nel complesso gli europei trattano la questione ucraina come fosse un negoziato ordinario. Non una scelta drammatica e urgente. Così non fanno niente neppure per limitare l’uscita delle petroliere russe dal Baltico, il 60% dell’export di greggio per Mosca.

La campagna militare del Cremlino non è inarrestabile. In Russia si sta registrando un netto aumento dei default in banca, mentre l’economia è ferma, l’inflazione corre e gli effettivi da gettare nella fornace del fronte iniziano a scarseggiare. Dare fondi a Kiev per due anni — verificandone l’uso — manderebbe a Putin un messaggio: a un certo punto, dovrà scegliere tra continuare la guerra e difendere la stabilità del suo regime. Sempre che l’Europa si dimostri disposta a capirlo.

17 novembre 2025 ( modifica il 17 novembre 2025 | 08:16)