di
Marta Serafini
Favorevoli al piano di Trump i Paesi arabi e l’Anp. Mosca e Pechino si astengono. Ma Netanyahu è contrario
DALLA NOSTRA INVIATA
GERUSALEMME – Passa la risoluzione Usa che approva il piano di pace di Donald Trump per Gaza ma soprattutto autorizza una forza internazionale di stabilizzazione dell’enclave e il disarmo di Hamas. E se da questo voto dipende l’avvio della fase due del piano, quella più difficile dopo la tregua, lo scambio dei prigionieri e il parziale ritiro dell’Idf dalla Striscia, nei giorni scorsi il Cremlino ha presentato una bozza alternativa che non menziona la smilitarizzazione di Gaza, si oppone alla permanenza di Israele oltre la «yellow line» e non cita il Board of Peace per l’amministrazione transitoria dell’enclave (presieduto dallo stesso Trump).
Il testo Usa, modificato più volte durante i delicati negoziati tra i quindici, ha ottenuto 13 voti. A favore oltre ai Paesi arabo-musulmani più importanti, anche l’Autorità Palestinese. Confermate le indiscrezioni dell’ultimo ora che davano la risoluzione approvata con la maggioranza dei voti grazie all’astensione di Russia e Cina che hanno ammorbidito le loro posizioni in cambio di concessioni sul testo. E forse — l’ipotesi dei giornali Usa nei giorni scorsi — anche a fronte di scambi su altri tavoli, dall’Ucraina al Venezuela.
Mentre l’ambasciatore Usa all’Onu Mike Waltz definisce la risoluzione «storica», critiche sono arrivate da Hamas. Già prima del voto un gruppo ombrello di fazioni palestinesi l’ha definita «un passo pericoloso verso l’imposizione di una tutela straniera sul territorio» che «serve gli interessi israeliani» e si è opposta a qualsiasi clausola sul disarmo delle milizie.
Dal canto suo il premier Benjamin Netanyahu, pressato dai ministri di destra del suo governo, ha ribadito che Israele resta contrario a uno Stato palestinese e ha promesso di smilitarizzare Gaza «con le buone o con le cattive», mentre il ministro della Sicurezza Ben Gvir di estrema destra ha chiesto l’arresto del presidente dell’Anp Abu Mazen. Inoltre — ha fatto trapelare l’emittente pubblica Kan — i negoziati con Damasco per un accordo di sicurezza e il ritiro delle forze israeliane dopo la caduta di Bashar Al Assad, tassello del piano di Trump per il Medio Oriente, «sono ad oggi a un punto morto». Un messaggio a Trump che di recente ha ricevuto il leader siriano Al Sharaa. Gi occhi restano puntati sulla Casa Bianca dove è atteso oggi il principe saudita Mohmmed Bin Salman. Ieri sera Trump ha ribadito l’intenzione di vendere gli F-35 a Riad, nonostante la contrarietà di Bibi che vorrebbe vincolare la transazione all’adesione del Regno agli Accordi di Abramo. D’altro canto Israele fa i conti con le proteste contro l’evacuazione dell’avamposto illegale di Tzur Misgavi, in Cisgiordania, dove agenti israeliani sono rimasti feriti in scontri con i coloni. Una crisi sempre più violenta, che — a detta dello stesso segretario Usa Marco Rubio — inficia il piano di pace per Gaza.
17 novembre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA