«Ho 32 anni, ma faccio ruoli di donne non del tutto compiute perché mi sento ancora ragazza». Pilar Fogliati, attrice e presto regista, si racconta in occasione del suo prossimo film in uscita, “Breve storia d’amore” di Federica Rampoldi, analizzando temi come il tradimento – al centro della pellicola –, la salute mentale – che le sta molto a cuore – e i primissimi ruoli da attrice, ai tempi della gavetta, quando si diceva «se entro due anni non divento attrice, apro una gelateria», come racconta in un’intervista a “La Repubblica“.
Il tradimento
Il tradimento è uno dei temi polarizzanti per eccellenza. Fa infiammare, indignare, «tocca e innervosisce tutti», dice Fogliati, ma l’attrice non si lascia trascinare: «Non demonizzo chi tradisce, né santifico chi non lo fa». Riflette sul ruolo del cinema e di come possa aiutare ad andare oltre il giudizio, a cercare di capire cosa passa nella mente del traditore. «Chi è felice tradisce? È sempre colpa dell’altro?».
Parla anche per esperienza personale. Fogliati ci è passata con un’amica, racconta. Fu «bruttissimo», anche se il tempo le ha donato una nuova prospettiva: «È anche un problema suo». A livello generazionale, spiega, è cambiato l’approccio al tradimento. Se prima il matrimonio era quasi un contratto, il tradimento maschile «era quasi previsto» e subito dalle donne, oggi molte cose sono cambiate: quando una donna lavora, sposarsi non è più un obbligo. E unito a una maggiore attenzione al benessere individuale e all’io, «le dinamiche cambiano».
L’adolescenza, la gavetta
Fogliati torna indietro nel tempo, a quando era ancora “Pilly baby”, una bambina sognatrice, che passava ora a cercare quadrifogli. Quella parte, dice, «c’è ancora tutta». Da adolescente era una ribelle, si autodefinisce una «Giulietta» quando, innamorata, spariva per giorni facendo spaventare i suoi.
Ma la parte più ingenua di quando era ragazzina, quella che si voleva meno bene, racconta, sta andando via.
Fa un altro tuffo nel passato, a quando era agli albori della sua carriera da attrice, appena uscita dall’Accademia Nazionale Silvio D’Amico e piombata nella precarietà del mestiere e si diceva: «Se entro due anni non divento attrice, apro una gelateria». Una sensazione, dice, che può tornare anche nei periodi buoni. La svolta è arrivata dopo un video comico andato viralissimo, in cui imitava i dialetti dei quartieri romani.
Prima, principalmente «particine» nelle serie tv, che Fogliati definisce «lo svezzamento al mestiere». Da Don Matteo a Che Dio ci aiuti, in cui, racconta, una volta in cui provò a nascondere al resto del set uno slogamento alla caviglia: temeva che non l’avrebbero più richiamata. «All’inizio ti senti così fortunata che andresti al lavoro anche senza un braccio», dice.
La salute mentale
Un tema che le sta molto a cuore è quello della salute mentale giovanile. Ascolta i racconti di sua sorella, di diciotto anni, e delle sue amiche, e ne rimane molto colpita: «Mi distrugge sentire di ragazze e ragazzi che stanno male per la scuola, per la pressione, per l’idea di fallire». Ed è molto felice per gli adolescenti che scendono nelle piazze a manifestare: «Un segnale sano di partecipazione».
Per questo, le storie che le interessano, che vuole raccontare, sono quelle «di chi non è “speciale”, di chi non ce la fa», per dare loro dignità. Proprio come il suo prossimo progetto da regista, una commedia con «cose amare dentro» (il genere che sente più suo), una storia incentrata su giovani che non sono più adolescenti, ma neanche donne.
I dettagli che la ispirano, che «ruba», come modi di parlare, goffagini, ambizioni, li prende ovunque. Dai provini di X Factor, di cui è appassionata, («vedere qualcuno che si mette lì, con un sogno e tutte le sue incertezze, mi emoziona»), alle persone, comunissime, che segue su Instagram. Anche se le sue grande ispiratrici rimangono sono quelle ragazze che muovono i primi passi, «al primo approccio con il sogno».
Ultimo aggiornamento: martedì 18 novembre 2025, 11:23
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