La comunista Jeannette Jara arriva prima con un misero 27 per cento nelle presidenziali cilene. Al ballottaggio l’estremista José Antonio Kast che con il suo 24 per cento può già contare sui voti degli altri candidati di destra, in una partita già chiusa. Nel programma punta tutto su sicurezza, crescita economica, taglio dello Stato sociale e lotta all’immigrazione
In Cile il 14 dicembre si andrà al ballottaggio e – con ogni probabilità – vincerà José Antonio Kast. Sconfitto quattro anni fa da Gabriel Boric sull’onda delle manifestazioni studentesche, potrà contare sul nazi-mileista Johannes Kaiser (14 per cento) e la conservatrice Evelyn Matthei, ferma al 12,5 per cento.
Entrambi, già alla chiusura dei seggi, si sono presentati in soccorso del vincitore in pectore. Orientato a destra è anche il voto del terzo classificato, il populista Franco Parisi, che ha sfiorato il 20 per cento e agli elettori del quale la comunista Jeannette Jara dovrà parlare da una posizione di estrema debolezza. Figlia della classe popolare cilena, aveva sconfitto la democristiana Carolina Tohá nelle primarie. Non ha sfondato il tetto di cristallo. Alle cattive notizie per lei si aggiunge che le destre hanno ottenuto la maggioranza nelle due camere.
José Antonio Kast verso la Moneda
José Antonio Kast, classe 1966, avvocato, è figlio di un immigrato tedesco iscrittosi diciottenne al partito nazista nel 1942. Fattosi notare per aver affermato che «Pinochet avrebbe votato per me», ha fatto carriera nelle file della tradizionale destra post-pinochetista, per poi saltare ancor più a destra nel 2019 fondando il Partito Repubblicano. Così ha scardinato il meccanismo delle primarie delle destre, per giungere poi al ballottaggio perso contro Boric.
All’epoca considerato un simil-Bolsonaro, in questa campagna elettorale ha affermato che «le nostre idee hanno già vinto negli Usa, in Italia e in Argentina (con Trump, Meloni e Milei, ndr) e presto trionferanno anche in Cile». La notte di domenica 16, ha subito incassato l’appoggio di Kaiser, che ha imbracciato la motosega in sua vece, permettendogli di apparire istituzionale, e quello di Matthei, e ha dichiarato che il ballottaggio «sarà un plebiscito tra due modelli di società».
Conservatore estremo su tutti i temi etici a partire dall’aborto, Kast ha promesso un governo di emergenza per il Cile con priorità incentrate sulla sicurezza, la crescita economica, il taglio dello Stato sociale e la lotta all’immigrazione irregolare. Almeno, al contrario degli esuberanti Trump e Milei, è un signore elegante, mai uscito dalle “comunas” bene di Santiago, che, nell’Italia degli anni Settanta, si sarebbe definito un “fascista in doppio petto”.
Ascesa e declino della generazione pinguina
Le formule di centro-sinistra, nell’estremo occidente che è l’America Latina, come al dunque anche in Europa, appaiono da decenni incapaci di modificare l’esistente neoliberale.
Dai liceali del 2006 agli universitari del 2019, se quattro anni fa il centro-sinistra cileno vinse con una nuova generazione che prometteva scuola, salute, pensioni, clima, integrazione delle minoranze, al dunque ha realizzato una poetica «rivoluzione delle piccole cose», per stare ad Arundhati Roy.
Chi ha seguito in questi anni i canali social della ministra portavoce Camila Vallejo, ha visto annunciare ogni giorno infinite «piccole cose» che, al dunque, sono sembrate “poca cosa” per un’opinione pubblica bombardata in modo ossessivo dai tre messaggi delle destre: sicurezza, immigrazione e motosega contro lo stato sociale.
Gabriel Boric, classe 1986, fu portato alla Moneda dalle grandi proteste studentesche di una generazione nata già dopo il ritorno della democrazia. Ha fatto molto, senza mai uscire dal libretto del “chilito” che, in pace e democrazia, dimostra la sua civiltà senza toccare (come già Aylwin, Frei, Lagos e i due mandati di Michelle Bachelet) l’impalcatura neoliberale imposta nelle camere di tortura, in una società orgogliosa di sé stessa e della propria modernità conservatrice.
Del resto, l’essenza trasformatrice del governo Boric era già azzoppata dopo pochi mesi.
Ricordiamone i passaggi principali: entra in carica a marzo 2022 sull’onda dell’elezione di un’Assemblea costituente spostata a sinistra ben più della società, che doveva riscrivere la Costituzione ereditata dalla dittatura. La Costituente produsse un magnifico libro dei sogni per la sinistra postmoderna, buono per un’isola che non c’è che, di certo, non è il «Chile actual», del celebre saggio di Tomás Moulian. Già a settembre di quell’anno il testo fu bocciato con un sonoro 62% di “No”.
Anche se nel dicembre del 2023 fu rifiutato in un ulteriore referendum un secondo progetto di destra – conclamando l’irriformabilità del testo di Pinochet – la spinta trasformatrice del governo Boric era già finita. È rimasta la «rivoluzione delle piccole cose», piena di dignità, ma che nel mondo attuale non basta a vincere le elezioni.
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