La conturbante bellezza della periferia di Chicago.
Di questo aveva già parlato Nanni qui. Ora tocca a me e io ve lo dico subito: magari questa roba vi farà cagare. Ora vi spiego perché potrebbe farvi cagare, e se anche solo vi dovesse sfiorare l’ombra del dubbio che possa farvi cagare sappiate che sì, vi farà cagare. Non c’è alcuna possibilità (cioè immagino che una ci sia, su svariati milioni) che, se quello che fa Invader non vi piace, Invader possa farvi cambiare idea. Perché?
Perché è un horror thriller girato tutto con la camera a mano, spesso pare un classico found footage, poi non lo è ma potrebbe esserlo, con le sue Parkinsonate, i primi piani strettissimi, gli angoli sbagliati, le inquadrature sbilenche che tagliano dettagli. Non lo è narrativamente ma aderisce a quell’estetica: è come se l’operatore di ripresa fosse lo stalker della protagonista, e le stesse sempre appiccicato a una distanza che la legge considererebbe decisamente inappropriata. Se vi sono venuti i brividi a leggere queste righe, bene!, vuol dire che Invader non vi piacerà. Non provateci neanche. Non dite che non ve l’ho detto.
Se invece tutto questo ipercinetismo confusionario non vi crea problemi, almeno in linea di principio, meglio!, perché Invader è quella che la critica più blasonata ha già definito “una discreta bombetta”.
Vi sto mettendo solo inquadrature belle ampie, statiche e dritte apposta per mandarvi in confusione.
Non è un caso il diminutivo. Invader si presenta in un modo arrogantissimo prima ancora di cominciare: dura 68 minuti titoli di testa e coda inclusi, in sostanza sta a due passi dall’essere un corto o un medio o comunque non un film intero e questo perché? Perché ha tre idee in croce, le sfrutta nel modo più efficace e senza perdere un istante di tempo, poi capisce che il suo tempo è finito e se ne va. È uno dei film più essenziali, se non addirittura funzionali, che abbia visto negli ultimi anni: non c’è un momento sprecato, allungato o superfluo, ci sono a malapena raccordi tra una scena e l’altra, succede tutto molto rapidamente e soprattutto senza alcuna possibilità di ripetizione o ciurlamento nel manico.
Mickey Keating, regista e sceneggiatore, affronta questo compito con quella che Nanni ha definito “furia estrema” e perché dovrei cercare altre definizioni quando questa è già perfetta? Qualcuno lo definirebbe un film punk ma per me è più una roba tipo Reign in Blood, arriva, spacca tutto, se ne va. Lo sapevate? Ogni disco che dura più di Reign in Blood sta sprecando il vostro tempo. Pensate che bello se i film durassero tutti quanto Invader.
(ovviamente non è vero. Ci sono film che hanno bisogno del minutaggio e del respiro. E oltretutto un’ora e cinquanta di film non è troppo a meno che non abbiate una soglia dell’attenzione completamente annichilita. Lo specifico così non venite a cercarmi sotto casa per colpirmi molto forte con i Blu-ray dello Snyder’s Cut della Justice League)
SESSO E CARNAZZA
Bene. Ho detto tutto quello che volevo dire prima della SIGLA!
Invader è un film nel quale un maschio bianco molto statunitense homeinvade la casa di una tizia di chiare origini latine, probabilmente anche (gasp!) recentemente immigrata. Un bello spunto politico, no? A Keating interessa il giusto: come ci illustra il breve testo che apre il film e che vi favorisco qui sotto,

negli Stati Uniti, ogni trenta secondi qualcuno scassina una casa. Non sempre la stessa, eh! Case diverse. Il testo finisce qui: il punto è spiegarci genericamente che gli Stati Uniti non sono un Paese sicuro, e se hai una casa ci sono ottime probabilità che qualcuno prima o poi cerchi di entrarci. Niente specifiche etniche o di classe: a quelle ci pensa il film stesso, secondo il sacro principio del far vedere le cose invece che spiegarle. Invader ti dice: esistono gli scassinatori. E poi te ne fa vedere uno in azione: si chiama presumibilmente “Richard Speck” (lo dice il TG in sottofondo per spiegarci anche che è un serial killer) e la prima cosa che fa è entrare in una casa e sfasciare tutto. Ma tutto! È come ci si immagina che Jackson Pollock dipingesse i suoi quadri, ma con un grosso maglio per spaccare le cose al posto del pennello, e le cose al posto della tela.
Lo stacco sulla nostra protagonista Ana ci dice, per logica cinematografica, che il destino di lei, che deve raggiungere la casa della cugina ma è arrivata tardi con il treno e ora non ci sono più autobus, e quello di lui, l’assassino spacca cose, si intrecceranno. Invader ci fa anche un po’ sudare questo incontro: il primo atto è dedicato ad Ana e ai suoi tentativi di avere un’esperienza civile in un posto, la periferia estrema di Chicago, abitato solo da tassisti inquietanti, negozianti stronzi e per l’appunto serial killer. C’è persino un po’ di detection perché Ana non riesce in alcun modo a contattare la cugina, detection che peraltro si scontra subito con l’indifferenza e la sfiducia della gente nei confronti di una tizia che si presenta parlando spagnolo ed è quindi evidentemente IMMIGRATA ILLEGALE CHE CI RUBA IL LAVORO E LA CASA E PASSA LE MALATTIE AI NOSTRI ANIMALI. Non è un film apertamente politico, ma nel rappresentare la vita di una persona normalissima dopo le quattro di notte in periferia Invader non può fare a meno di parlare anche di quello.
L’angoscia che dà una sala d’attesa infinita.
Poi i destini appunto si intrecciano, e Invader diventa un classicissimo e crudelissimo gioco del gatto con il topo, tutto girato con la foga di quello che più sta vicino all’azione più è felice, e accompagnato da delle gran smetallate in colonna sonora. E più che delle doti da scream queen di Ana mi preme parlare a questo punto di Joe Swanberg, che interpreta l’eponimo invasore. Ce l’avete presente Joe Swanberg, no? Greta Gerwig, il mumblecore, il metacinema. Lo stesso Joe Swanberg che però recitava in You’re Next, per esempio, ma anche nel film precedente di Keating, il delizioso Offseason, del quale vi ho parlato bene io stesso! Fa il figo tutto indie ma gli piace la carnazza e la violenza, e qui tira fuori un’interpretazione che sta tra Leatherface e Norman Bates, ma completamente fuori controllo, schizzatissimo, in pratica passa metà del film a urlare e l’altra metà anche. È una prova clamorosa, un villain che genera terrore e tensione per il puro fatto di esistere, senza motivazioni, senza coscienza, senza spiegazione. Gli vorrei dare un bacio a questa faccetta da culo:

E infine, così com’è arrivato a gamba tesa, Invader saluta e se ne va. Fa tutto quello che deve fare, strizza al massimo l’idea “uomo assassino psicopazzo insegue donna vittima innocente” e quando si rende conto che tutto il sugo è nel piatto la smette lì. E io cosa posso fare se non applaudire e seguire il suo esempio?
Quote
«Una discreta bombetta»
(Stanlio Kubrick, criticablasonata.com)