
voto
8.5
- Band:
MAUSOLEUM GATE - Durata: 00:37:46
- Disponibile dal: 14/11/2025
- Etichetta:
- Cruz Del Sur Music
Otto anni di silenzio non hanno intaccato la capacità dei Mausoleum Gate di creare musica dal respiro arcano e fuori dal tempo: con “Space, Rituals And Magick”, la band finlandese riemerge dal proprio letargo come se nulla fosse accaduto, riaffermando una visione musicale che unisce la teatralità dei Settanta all’epica nascente dell’era NWOBHM, con un tocco mistico e occulto, evocato già dal nome della band, che non ha eguali nell’intera scena underground nordeuropea (e non solo).
Questo loro terzo album segna tuttavia un punto di svolta: l’ingresso di Jarno Saarinen alla voce, Jari Kourunen alla chitarra e Jarno Koskell al basso ha rinnovato profondamente l’alchimia interna, conferendo al suono una dimensione più corale e aperta alle interazioni fra i musicisti, che pone l’accento sul calore dell’hammond e sulle sensazioni più ‘valvolari’ pur mantenendo intatta la cifra stilistica definita, a partire dal 2008, da Count LaFey e Wicked Ischanius.
Quest’ultimo, migrato dal basso alle tastiere già nel 2014, è oggi la spina dorsale atmosferica del progetto: le sue trame d’organo, mellotron e sintetizzatore conferiscono una forma del tutto nuova a un lavoro che suona più analogico e vivo che mai.
La produzione, calda e naturale, amplifica il senso di continuità con i decenni d’oro dell’hard rock degli anni Settanta e l’heavy metal che da esso tra origine. Il suono, ricco ma mai artificioso, restituisce l’impressione di una band catturata nel pieno del proprio fluire creativo, con un approccio più da palcoscenico che da studio di registrazione, e i riferimenti appaiono chiari sin dalle prime note: Demon, Uriah Heep, Saracen e i conterranei Sarcofagus, oltre ad altre influenze che risultano, infine, nient’altro che degli ingredienti ben mescolati dalle mani magiche e dall’enorme personalità dei finlandesi.
“Vision Divine” apre l’album con toni liturgici, fondendo organo e chitarra in una progressione solenne – dai cori sorprendentemente quasi Oi! – che prepara il terreno al primo vertice melodico del disco, “Lucifer Shrine”, brano che combina riff serrati ad un sapiente uso delle tastiere in chiave psichedelica. Jarno Saarinen si impone subito come interprete ideale per questo tipo di scrittura: la sua voce, espressiva e drammatica, possiede un timbro che richiama tanto Dan Fondelius dei Count Raven quanto Brendan Radigan dei Magic Circle. La sua verve teatrale, tuttavia, fa emergere il nome dei Saracen, leggende dell’underground NWOBHM britannico di inizio anni Ottanta, che sembra scolpito nel suono dei Nostri.
Il modo di affrontare le melodie, che si stagliano sul muro di chitarre e tastiere, ricorda molto la band di Steve Bettney, e conferisce al nuovo materiale una componente enfatica che non appare mai sopra le righe, neanche nei quasi nove minuti di “Sacred Be Thy Throne”. In questo brano, dal sapore dell’instant classic, viene esplorata una costruzione progressiva che unisce doom, hard rock e chorus quasi radiofonici, che sfociano in una chiusura faraonica, dove hammond e chitarre si rincorrono per un outro memorabile.
È un brano manifesto, in cui il dialogo tra LaFey e Ischanius si fa più evidente: la chitarra plasma le strutture, le tastiere ne ampliano la portata fino a sfiorare territori cosmici e psichedelici. Più immediata e diretta, “Shine The Night” introduce elementi AOR che riportano alla mente i primi Magnum o i Demon mentre la title-track riassume l’essenza del disco con una lunga coda strumentale.
La chiusura è affidata a “Witches Circle”, che torna su coordinate più occulte e pastorali, sospesa tra le suggestioni degli Uriah Heep di “Salisbury” – ricordando, nello specifico, la leggendaria title-track del secondo album di Ken Hensley e compagni – e i Black Widow, con le percussioni ipnotiche e rituali a scandirne il ritmo, per un epilogo perfetto.
Da segnalare, inoltre, anche il lavoro grafico di Timo Raita, autore di tutte le copertine del gruppo, che prima ancora di cominciare l’ascolto permette di calarsi nelle atmosfere occulte e psichedeliche dei brani, rappresentandone l’introduzione perfetta. Per la prima volta la figura cornuta, elemento ricorrente della loro iconografia, lascia spazio a un embrione immerso in un vortice di luce cosmica: un’immagine che sembra sintetizzare l’idea di rinascita e trasformazione che attraversa l’intero disco.
“Space, Rituals and Magick”, per concludere, centra pienamente l’obiettivo di ridefinire l’identità dei Mausoleum Gate, che con questo lavoro smettono finalmente di apparire come una delle tante formazioni affascinate dal ‘revival’ dell’heavy metal più occulto, legato agli anni Settanta e ai primi vagiti della NWOBHM.
Si affermano invece come un autentico faro per una nuova generazione di musicisti riportando linfa vitale ad un filone difficilissimo da interpretare in modo convincente, a meno di non essere dei fuoriclasse, e Count LaFey e i suoi compagni lo sono senza alcun dubbio.
Evocare lo zeitgeist di un’epoca senza imitarla e trasmettere la sensazione di trovarsi di fronte a una band che crede ancora nel potere evocativo del suono come filosofia di vita e culto da alimentare, è un miracolo di questi tempi, e i Mausoleum Gate, che sono riusciti in questa impresa, hanno appena pubblicato uno dei dischi di genere più affascinanti degli ultimi anni.