Tingere i capelli è prassi diffusissima, soprattutto nelle società occidentali, e non lo fanno esclusivamente le donne. È sempre più nutrita, infatti, la platea maschile che ricorre a sistemi di colorazione per coprire l’effetto “sale e pepe”. Molto si è detto circa gli effetti sulla salute, ma qual è la posizione della comunità scientifica in merito? Quali sono i rischi realmente dimostrati? Esistono soluzioni per contenere i danni, tutelando, per esempio, chioma e pelle? Le risposte della comunità scientifica sono più sfumate delle semplificazioni diffuse sui social: non esistono prove assolute che le tinture moderne aumentino il rischio di tumori, ma non significa che tingere i capelli sia un gesto totalmente innocuo. Come accade per molti cosmetici e per molte abitudini, la differenza la fanno la frequenza, la qualità dei prodotti, l’ambiente di applicazione e la sensibilità individuale.
A riportare il tema all’attenzione dell’opinione pubblica fu, nel 2017, la metanalisi del chirurgo Kefah Mokbel, commentata, successivamente, da AIRC. Quell’analisi aveva individuato un potenziale aumento del rischio di tumore al seno tra chi si tingeva molto spesso, ma con un limite importante: molti studi considerati esaminavano tinture formulate prima degli anni ’80, quando la regolamentazione era scarsa e alcune sostanze note per la loro tossicità erano ancora ampiamente utilizzate. AIRC ha spiegato che quel tipo di risultato va letto con prudenza: un aumento relativo del rischio non significa un rischio elevato in senso assoluto, e soprattutto non implica un rapporto di causa ed effetto. Le conclusioni erano più un invito alla moderazione che un allarme sanitario.
Un lavoro successivo, il grande Sister Study, condotto negli Stati Uniti su quasi 50.000 donne, ha osservato un aumento modesto del rischio di cancro al seno tra chi utilizzava tinture permanenti, in particolare tra le donne afroamericane. Anche in questo caso, però, i ricercatori hanno sottolineato limiti significativi: la popolazione studiata era già più predisposta alla malattia, la composizione delle tinture non è stata registrata, e soprattutto negli USA sono ancora consentite sostanze vietate da tempo in Europa. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) considera il lavoro dei parrucchieri “probabilmente cancerogeno”, ma questo riguarda l’esposizione quotidiana e professionale, non l’uso personale. La sintesi degli esperti è molto chiara: non ci sono prove forti di un pericolo concreto, ma ci sono abbastanza elementi per consigliare di non eccedere, specialmente con tinture permanenti e decolorazioni.
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Quando si parla di pelle, cute e capelli il discorso cambia. Gli specialisti dell’Istituto Veronesi e del Centro Medico Santagostino concordano sul fatto che le tinture attuali siano senza dubbio più sicure del passato — la formaldeide nei liscianti è oggi quasi del tutto vietata, e la parafenilendiamina (PPD) è fortemente regolamentata — ma restano pur sempre prodotti che agiscono aprendo la cuticola del capello e interagendo con la pelle. Il capello, dopo trattamenti ripetuti, può diventare più secco e fragile. La cuticola perde compattezza, compaiono doppie punte, e il fusto risulta meno elastico. Non è un pericolo per la salute, certo, ma un segnale biologico chiaro che il trattamento è aggressivo.
Il cuoio capelluto, poi, è un’area delicata: l’ammoniaca, l’etanolammina e alcune molecole coloranti possono irritarlo o provocare dermatiti da contatto, soprattutto nelle persone sensibili o allergiche. Le reazioni alla PPD, pur non essendo frequenti, esistono e possono esordire con rossore, prurito o gonfiore. C’è anche un aspetto spesso trascurato: le vie respiratorie. L’ammoniaca è una sostanza molto volatile, e chi applica la tinta in ambienti poco arieggiati può avvertire bruciore agli occhi, naso che cola o tosse. È raro che l’esposizione saltuaria provochi problemi persistenti, ma in soggetti asmatici o molto sensibili può rappresentare un fastidio significativo. Insomma: non siamo di fronte a rischi drammatici, ma a effetti reali, che vanno conosciuti.
La scienza è concorde su un punto: la sicurezza della tinta dipende in gran parte da come la si usa. Il primo passo è scegliere prodotti regolamentati e di provenienza certa. Le normative europee impongono limiti severi alle sostanze più irritanti o sospette, per cui acquistare tinture in negozi affidabili o saloni professionali riduce notevolmente i rischi. Un altro aspetto fondamentale è la frequenza: tingere una volta ogni mese circa è considerato un intervallo ragionevole; farlo più spesso espone la cute e la fibra capillare a uno stress eccessivo. Alternare tinture permanenti con colorazioni semipermanenti o vegetali, quando possibile, aiuta a ridurre l’impatto chimico.

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Ventilare bene l’ambiente è una regola semplice ma spesso dimenticata. Le principali irritazioni respiratorie non derivano dalla tinta in sé, ma dal luogo in cui viene applicata: una stanza poco arieggiata concentra ammoniaca e vapori, che possono dare fastidio anche a chi non è particolarmente sensibile.
Molti dermatologi ricordano l’utilità di applicare un velo di olio protettivo lungo l’attaccatura dei capelli, sulle orecchie e sulle zone della pelle più esposte. Un olio vegetale leggero o un prodotto apposito forma una sorta di barriera che impedisce alla tinta di aderire eccessivamente alla pelle, riducendo il rischio di irritazioni e facilitando la rimozione dei residui. È un accorgimento semplice ma molto efficace.
E poi c’è l’ascolto del proprio corpo: se dopo una tinta compaiono bruciore, prurito o arrossamenti persistenti, vale la pena sospendere e parlarne con un dermatologo. Le allergie da contatto possono emergere anche dopo anni di utilizzo senza problemi.
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Per chi sta affrontando una chemioterapia o l’ha terminata da poco, la questione delle tinture assume una dimensione diversa. La cute, durante le terapie, diventa più sensibile, e il nuovo capello che ricresce può essere più fragile del solito. Dermatologi e oncologi, in genere, consigliano di evitare tinture permanenti e decolorazioni durante la terapia e per alcuni mesi dopo la ricrescita dei capelli. Questo non significa rinunciare del tutto al colore: molte persone trovano nell’henné o nelle colorazioni vegetali un’alternativa più delicata. Altre optano per tinture semipermanenti senza ammoniaca, purché applicate con cautela e su consiglio del proprio medico. L’obiettivo non è vietare, ma evitare ulteriori stress a una cute già provata.

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Anche durante la gravidanza il discorso non è tanto di rischio grave quanto di buon senso. Le ricerche non hanno dimostrato effetti dannosi delle tinture per il feto, ma molti ginecologi suggeriscono comunque alcune precauzioni: evitare trattamenti nelle prime settimane, scegliere prodotti meno aggressivi (preferibilmente senza ammoniaca) e assicurarsi che l’ambiente sia ben ventilato. Le tinture semipermanenti o vegetali sono spesso la scelta più equilibrata, soprattutto per chi preferisce evitare esposizioni chimiche non necessarie in un periodo delicato.
Tingere i capelli non è un gesto da demonizzare né un’abitudine innocua da ripetere senza pensarci. È un trattamento chimico, e come tale va gestito con attenzione, scegliendo prodotti affidabili, rispettando i tempi e ascoltando le reazioni della propria pelle. Le prove scientifiche non giustificano allarmismi, ma ci ricordano che moderazione e buon senso sono sempre le strade più sicure. E, soprattutto, che ogni corpo è diverso: ciò che per qualcuno è solo un lieve fastidio, per altri può essere una reazione irritativa importante.
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