di
Pierpaolo Lio
Le intercettazioni in Questura dei cinque arrestati per il pestaggio in corso Como ripreso da una telecamera: «La prossima volta ci bardiamo»
«Il 7 non l’hanno scoperto ancora». Il commento beffardo spunta sotto una clip di TikTok di Silvia Sardone. È un video in cui la pasionaria leghista — consigliere comunale ed eurodeputata — nell’aula di Palazzo Marino si scaglia contro la giunta per «i sei accoltellamenti avvenuti in una sola serata». Parla della notte tra il 25 e 26 ottobre. Tra le centinaia di commenti appare la frase di sfida lasciata dal 17enne G.M., anche se «il 7», ovvero il settimo caso a cui si riferisce, e a cui lui stesso ha partecipato, è di un paio di settimane prima.
Gli investigatori del commissariato Garibaldi Venezia, guidato da Angelo De Simone, lo scoprono intercettando i cinque accusati nella sala d’attesa della questura. I ragazzi stanno aspettando il loro turno per firmare il verbale d’identificazione e le scartoffie del caso. E nel frattempo chiacchierano. «Hai visto? Sai il video su TikTok della Sardone? Io le ho scritto: il settimo non l’hanno ancora scoperto. Te l’ho pure mandato».
Sanno della gravità dell’accusa. E della gravità delle condizioni della loro vittima. Ma comunque scherzano. Si scambiano battute. E si coprono il volto con le T-shirt per nascondere le risate. «Fra, la prossima volta ci bardiamo», dicono mimando il gesto di incappucciarsi. G.M., poi, azzarda l’idea di documentare tutta quella giornata per vantarsene sui social. «Eh raga, però io voglio mettere la storia». Come fanno i gangster. O alcuni trapper e influencer campioni di like.
La faccenda sembra non preoccuparli. O almeno non più di tanto. La ricostruiscono chiacchierando tra loro. «Bro’, io ho fatto così», dice il 18enne Alessandro C., mimando le coltellate. G.M. gli risponde: «Min…a, l’ho scassato». E quando parlano delle telecamere che hanno ripreso l’aggressione, aggiungono: «Io anche voglio vedere il video, voglio vedere se ho picchiato forte». «Ci inc…no», è il commento finale, con tanto di classifica di chi di loro è messo peggio per le responsabilità: «L’ordine è: C., io…», e via a scalare.
Insieme provano allora a concordare una versione. Che — ovvio — trasformi tutto in una reazione difensiva del gruppo. «Diciamo che io sono andato là ed eravamo tutti molto ubriachi (…) lui mi è venuto addosso e l’ho spinto e ho visto che ha messo la mano in tasca. Stava tirando fuori qualcosa». La cosa non convince tutti. E.Z., anche lui 17enne, prova a spiegare: «Magari quel cog…ne è ancora in coma, domani schiatta e ti danno omicidio». «Ma speriamo bro’, almeno non parla. Te non hai capito, io gli stacco tutti i cavi», la risposta. Anche se, poco dopo, il terzo 17enne, M.M., suggerisce invece di provare a intenerire gli inquirenti, «almeno i giudici…». L’idea è: «Andiamo» a trovare il ragazzo ferito, «gli diciamo “ci dispiace, siamo pentiti”… ma a me in realtà non me ne frega». E se tutto dovesse andare male, e finissero a processo? «Eh, vabbé, che ca..o ce ne frega, andiamo nei paesi dove non c’è questa roba».
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19 novembre 2025 ( modifica il 19 novembre 2025 | 09:16)
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