Ogni anno, da ormai 17 anni, l’associazione Iosempredonna di Chianciano Terme indice uno dei concorsi letterari sul tema del tumore al seno più importanti e riconosciuti tra le comunità di pazienti: Donna Sopra le Righe. In questo lungo tempo ha raccolto centinaia di racconti e poesie: un corpus che rappresenta una testimonianza unica della malattia narrata dalle “protagoniste” (a volte da chi sta loro accanto) e che offre uno spaccato di come la narrazione evolva nel tempo.

Tantissime le opere pervenute anche per l’edizione 2025, la cui premiazione si terrà il 20 settembre con la presentazione dei brani vincitori interpretati da attrici e attori, come da tradizione, all’interno della Sala Federico Fellini.

Tra i premi speciali conferiti, vi è quello intitolato ad Andrea Camilleri, che è stato ispiratore e presidente emerito del concorso, e quello per il testo più ironico. In questa ultima newsletter di Oncodonna prima della pausa estiva, vi presentiamo il racconto lungo vincitore del Premio Ironia 2024. Si ringraziano Iosempredonna e l’autrice (il testo è stato editato e leggermente modificato. Tutti i testi di ogni edizione, nella loro versione integrale, sono pubblicati in un’antologia. E’ possibile acquistarla contattando l’associazione).

La newsletter di Oncodonna

29 Novembre 2024

La newsletter di Oncodonna

Il mio tumore e altre sfighe

di Marta De Sandre

Vincitore “Premio Ironia”, XVI Concorso Donna Sopra le Righe

?Devo assolutamente tagliare i capelli. L’ultima volta era per la laurea di mia figlia dunque sono passati otto mesi e sembro una selvaggia. Prendo appuntamento per martedì, bella decisa anche se piuttosto di passare un’ora in un ambiente pieno di specchi e chiacchiere preferirei andare dal dentista. Senza anestesia. Suona il telefono mentre sto impastando la pizza: è un numero di Belluno, meglio rispondere anche se a Belluno non conosco nessuno a parte l’Agenzia delle Entrate. Ecco, sarà l’Agenzia delle Entrate, giornata rovinata. Invece è la radiologia dell’ospedale di Belluno, la mammografia di screening che ho fatto a *** due settimane prima mostra qualcosa di anomalo. Mi danno appuntamento per martedì, addio parrucchiere.

Sarà qualcosa di grave? Ma no, forse non riescono a vedere bene, il Signor Google dice che spesso questi richiami si risolvono in un nulla. A *** avranno uno strumento obsoleto, di quell’ospedale non è rimasto più nulla, mi dà l’impressione che dagli altri ospedali mandino lì gli strumenti vecchi quando li sostituiscono, come si fa con le vecchie pentole che si portano nella seconda casa.

Ricordo mio padre, seduto sul mio divano, che mi diceva che durante la gastroscopia avevano prelevato del materiale per effettuare la biopsia. Erano passati pochi mesi dalla morte di Alberto ed io gli ho detto “dai papà, non può essere nulla di grave, i fulmini non colpiscono mai la stessa casa due volte”. Un anno dopo è morto di tumore allo stomaco. Dunque la mia casa è stata colpita da due fulmini, già statisticamente sono come il poveraccio di Trilussa rimasto senza pollo, il terzo fulmine rasenta l’impossibile.

Il Signor Google dice di evitare i deodoranti prima della mammografia perché molti hanno delle particelle di talco che possono dare fastidio nella lettura della lastra. A me pare una cavolata di dimensioni colossali, ma siccome il mio lavoro è prestare libri e del resto so poco o niente, faccio la doccia, evito il deodorante e parto. Chiamo Fabio e gli dico che se non è nulla di grave mi fermo a comprare la TV nuova.

Tra l’agitazione e il riscaldamento della macchina arrivo in radiologia che puzzo come un’aula di seconda media dopo l’ora di ginnastica. Non so decidere se è più imbarazzante scusarmi per la puzza o fare finta di nulla, sto zitta e mi faccio schiacciare la tetta destra, poi l’ecografia e finalmente posso rimettermi la maglia e smorzare l’odore.

C’è un nodulo e non è una particella di talco, mi fanno l’ago aspirato e mi dicono che mi richiameranno per consegnarmi il referto. “ma non sembra nulla di buono”, mi dice e io la ringrazio. Del resto avrebbe potuto dire “vediamo il referto” senza sbilanciarsi e io avrei pensato “non mi prendere per il culo, di mestiere guardi i tumori, sarebbe come se un allevatore avesse bisogno dell’esame del Dna per distinguere una gallina da un tacchino”.

La storia di Maria Rosaria, con il “seno di poi”

09 Agosto 2024

La storia di Maria Rosaria, con il “seno di poi”

Parto con un sacchetto di ghiaccio sulla tetta, è una giornata grigia e penso che dovrei piangere o, in alternativa, fermarmi a comprare la TV. Scarto entrambe le alternative, non mi viene da piangere e non ho nessuna intenzione di presentarmi dall’omino che vende TV con un sacchetto di ghiaccio sulla tetta. Non so che fare in quest’ora che mi separa da casa per cui non resta che il vecchio esercizio dei sensi di colpa, più o meno immotivati, quelli che secondo la mia psicologa dovrei evitare ma mica ce l’ha lei il tumore.

Senso di colpa nr. 1: dovrò parlare di questa cosa ai ragazzi e loro non meritano questo ulteriore peso dopo aver perso il padre da piccoli, non meritano che si pronunci la parola tumore dopo aver visto il nonno trascinarsi verso la morte sempre più sofferente, sempre più magro, sempre più calvo.

Senso di colpa nr. 2: dovrò parlare di questa cosa con mia madre, ma come faccio a dirle “non so se riesco a sopravviverti?”

Senso di colpa nr. 3: scusa Fabio se non ho comprato la TV. Scherzo. Scusa Fabio se il nostro rapporto ora sarà diverso, se ti toglierò la libertà di dire, un giorno qualsiasi “Marta me ne vado”. So che ti tolgo questa libertà perché ti conosco e non lo faresti mai, non perché sarebbe socialmente inaccettabile ma perché la tua etica non te lo permetterebbe. Mi accompagneresti, più o meno volentieri, fino alla guarigione o alla morte prima di riporre le tue cose in qualche zaino (niente sacchi neri, ce lo siamo promesso) e chiudere la porta.

Passa una settimana tranquilla, circondata dalle persone che ho scelto, dopo l’epurazione che è seguita alla morte di Alberto, confermando il buon lavoro fatto allora. Alla consegna del referto arrivo più incazzata che nervosa, deve essere la famosa fase nr. 2 dell’elaborazione del lutto. Lo so che ho saltato la fase nr. 1 ma io i miei lutti li ho sempre elaborati a random, sarà per questo che sono un po’ disagiata.

“Ragazza con voce”, un racconto-testimonianza sul tumore al seno

Pinuccia Musumeci

07 Giugno 2024

“Ragazza con voce”, un racconto-testimonianza sul tumore al seno

Mi presentano il referto dicendo “è un tumore piuttosto aggressivo, servirà un intervento chirurgico e poi radioterapia e chemioterapia. Ora la facciamo parlare con il chirurgo” e aggiunge “a me tocca dare le cattive notizie”. Resto inebetita con la mia fase nr. 2. Ma l’hai letto il manualetto “come comunicare le cattive notizie” o l’hai usato per incartare il pesce? Intanto, che le cattive notizie siano due o duecento si danno sempre una alla volta. Come quando è morto Alberto: “c’è stata una frana sul Monte Pelmo e Alberto risulta disperso” non “c’è stata una frana sul Monte Pelmo, Alberto è disperso, sicuramente morto e altrettanto sicuramente non si troveranno mai i resti”. Per cui prova a riformulare “hai un tumore piuttosto aggressivo, intanto parlerai con il chirurgo, poi vedrete il da farsi”. E poi, cara, davvero con quel finale vuoi essere il mio senso di colpa nr. 4? Guarda, solo perché sono in fase nr. 2 non cedo al senso di colpa: se non volevi comunicare brutte notizie dovevi fare il verduraio, che la peggior notizia che ha mai comunicato è che i carciofi sono marciti. Ringrazio, farfuglio qualcosa sul senso di colpa nr. 1 e aspetto il chirurgo.

Mentre aspetto mi viene un dubbio: e se il manualetto “come comunicare le cattive notizie” l’avesse letto davvero e le notizie brutte fossero molte di più, per cui intervento/radio/chemio fosse stato considerato il minimo sindacale? Adesso mi diranno che devono asportarmi un seno, anzi per sicurezza entrambi e vuoi non vedere come stanno i polmoni, che con quanto fumo pare impossibile non ci sia un tumore anche lì?

Ho sempre goduto di ottima salute per cui con i medici ho avuto poco a che fare ad eccezione degli ortopedici: ernia, frattura alla caviglia, stiramento dei legamenti e alcune fratture dei miei figli. Diciamo, gli ortopedici si assomigliano un po’ tutti: boriosi, altezzosi, zero comunicativi e profondamente antipatici. Speriamo che qui siano di un’altra specie.

La storia di Tai che ha deciso di non ricostruire il seno dopo il tumore

Tiziana Moriconi

21 Ottobre 2022

La storia di Tai che ha deciso di non ricostruire il seno dopo il tumore

La fase nr. 2 è passata, ora sono preoccupata e vorrei scappare in preda alla “negazione” che è la fase nr. 1. Ecco, lo dicevo che elaboro tutto male. Entro nell’ambulatorio e trovo una ragazza carinissima e sorridente. Prendendosi tutto il tempo e con modi gentili mi spiega le caratteristiche del mio tumore. Ci sono cose buone e cose cattive, me le spiega usando degli esempi ed io, che fino al giorno prima credevo che esistessero solo due tipi di tumore (maligno e benigno) inizio ad entrare in un mondo fatto di tante specifiche. Capisco che è ormono-responsivo e questo è un bene. Non è chiaro se sia Her2 positivo o negativo, questo lo sapremo con la biopsia definitiva. Dovesse essere Her2 positivo indicherebbe un tipo di tumore più “cattivo” ma che risponde bene a un certo farmaco.

Parliamo dell’intervento, mi spiega cosa è una quadrantectomia, cosa è un linfonodo sentinella e io incredibilmente capisco tutto. Mi dice “l’intervento sarà fissato entro 4 settimane”. Eccola, lei ha letto il manualetto “come comunicare le cattive notizie”. Quattro settimane sono un mese, ma se dici un mese sembra un periodo di tempo più lungo e quando hai un tumore che ti cresce dentro vorresti che te lo strappassero con la forbicina delle unghie domani mattina. Bene, aspetterò queste quattro settimane, insomma questo mese. Esco tranquilla, parlando con lei mi sono sentita in comfort zone, ho sentito di potermi fidare, ho sentito che la mia salute le stava a cuore e sono certa che farà del suo meglio per farmi guarire.

Ed inizia il mio mese con il tumore. Non mi sento malata, non sto combattendo un virus o un batterio, c’è semplicemente un’altra Marta che sta crescendo dentro di me. Quelle cellule che si stanno moltiplicando hanno il mio Dna, sono io, una parte di me impazzita che sta cercando di uccidermi. Mi sento come una schizofrenica con la differenza che non ho creato io una doppia personalità, quelle cellule sono l’altra me stessa e mentre parlo, rido, faccio la spesa, lavoro e porto avanti le mie giornate, si moltiplicano e cercano di invadere la Marta sana. Ce n’è abbastanza da diventare pazzi.

Non ho mai toccato il mio tumore anche se sapevo dove era, anche se sapevo che l’avrei sentito al tatto e anche bene. Non è stata una fase di negazione e non ne avevo paura, semplicemente lo odiavo e non volevo averci nulla a che fare. Durante questo mese devo affrontare i miei figli e mia madre e non ho nemmeno una copia del manualetto “come comunicare le brutte notizie”. Ho sempre giustificato la mia scarsissima capacità di “tenermi un cece in bocca” con il fatto di aver già dovuto pronunciare le parole più dure, difficili e dolorose della mia vita. Quando riesci a guardare in faccia i tuoi figli, due bambini spensierati e allegri, e dire loro che il padre è morto privandoli in un secondo di spensieratezza ed allegria, interrompendo la loro infanzia anzitempo, quali altre parole possono più farti paura? Praticamente nulla, tranne “ragazzi, ho un tumore”.

E ritornano i sensi di colpa: quel tumore sono io per cui è colpa mia, in estrema sintesi.

In realtà è stato più facile del previsto: la prognosi è buona e punto tutto su quel 90% abbondante di sopravvivenza, evitando di aggiungere “a cinque anni”, che sembrano davvero pochi. Il tumore continua a crescere ma, tolto il peso di questo “segreto” che mi toglieva il sonno, mi sento più leggera e positiva. Non temo l’intervento che si risolve in una giornata e mezza senza dolore e senza problemi.

I miei figli vengono a prendermi in ospedale e, mentre li aspetto, sono concentrata su un unico obiettivo che ripeto come un mantra – non rompere su come guideranno – ricordando che mio padre, pur malato e stanco, trovava tutta l’energia dell’universo per snocciolare, come un rosario, decine di “frena, accelera, cambia marcia”. Dopo aver passato anni a portarli e prenderli dappertutto: stazioni, aeroporti, scuola, lezioni di sci, di calcio, di karate, ora ho bisogno io di loro, semplicemente per tornare a casa.

Mentre salgo in macchina, pensando a questo, mi sento malata per la prima volta e per la prima volta un peso per i miei figli. Quando hai un tumore passi il tuo tempo aspettando referti e l’attesa è costellata di mille elucubrazioni, paure, momenti positivi e altri negativi. I tuoi pensieri sono tutti lì e basta davvero poco per farti sprofondare in una disperazione e un pessimismo che non puoi permetterti. Hai davanti mesi di terapia e necessiti di tutta la tua forza.

Mi chiama la dottoressa per la consegna dell’istologico definitivo che evidenzia un tumore Hr positivo, Her2 negativo con linfonodi negativi: sono una candidata al test genomico, potrebbe non essere necessaria la chemioterapia. Non mi avevano nemmeno prospettato questa possibilità ed ora aspetto questo ulteriore referto con una speranza in più che mai avrei creduto di avere. Chemioterapia significa passare il confine tra sani e malati, chemioterapia fa paura, chemioterapia è mio padre che non teneva nemmeno i liquidi nello stomaco e vomitava qualcosa di verde, chemioterapia è perdere capelli, ciglia e sopracciglia e non riconoscerti più allo specchio e stare da schifo per giorni e giorni e poi, quando ti senti un po’ meglio, ricominciare da capo.

Esco dall’ambulatorio talmente felice di questa possibilità che non mi rendo nemmeno conto che sto lasciando il reparto di senologia senza aver espresso la mia gratitudine per quello che hanno fatto. Federica, la dottoressa carina e gentile che mi ha tolto il tumore lasciando il minimo di margine sano e rimettendo insieme quello che restava del seno fino ad un eccellente risultato estetico. Lei è quella che ha passato anni sui libri mentre gran parte di noi cazzeggiava nelle piazze […] E proprio lei, una settimana dopo, mi ha comunicato il risultato del test genomico: niente chemioterapia.

“Non morire”. Non-storia sul cancro al seno

Tiziana Moriconi

19 Gennaio 2021

“Non morire”. Non-storia sul cancro al seno

Non mi resta che fare un ciclo di radioterapia, una pillolina da prendere una volta al giorno come quando, a poco più di vent’anni, avevo deciso che le mie maternità avrebbero dovuto essere pianificate e non lasciata al caso o alla prontezza di riflessi di qualcuno. Mi restano un po’ di effetti collaterali che sopporto quasi con piacere. Mi restano i miei lunghissimi capelli, mai più tagliati da quel lontano martedì, capelli che avevo deciso di donare prima di iniziare la chemioterapia e che donerò lo stesso perché ho avuto la possibilità di poter scegliere, e poter scegliere significa essere liberi. Libera dalla malattia non lo sono ancora, ma oggi ho sul piatto almeno una coscia del pollo di Trilussa?.