Si è perso e ritrovato, Federico Cimini in arte Cimini, prima di arrivare a poter confessare che «sì, un po’ è vero, l’indie l’ho truffato». Dopo due anni passati a suonare dal vivo per mezza Italia, a quattro dall’ultimo disco e otto dal successo di La legge di Murphy, la sua canzone diventata cult nell’era dorata della scena indie pop italiana, anno di grazia 2017, il cantautore calabrese bolognese d’adozione è tornato con un nuovo album, Mondo tragico quasi magico.

Un lavoro che insieme fa da racconto personalissimo e manifesto generazionale, uscito per Garrincha 373, già presentato in concerto (dopo Roma, Milano, Bologna, il 22 novembre sarà a Lugano), che parrebbe «la perfetta seduta di autoterapia» – scherza ma non troppo Cimini – per mettere in fila tutto quanto. I passi di vita e la ricerca musicale, le svolte di carriera e gli amici persi per strada, il racconto di un mondo artistico che non c’è più e «per forza di cose è diventato altro».

Presentato a Bologna con un evento lungo una nottata che ha visto alternarsi al microfono musicisti, scrittori, stand up comedians, ascoltatori («abbiamo fatto di tutto tranne che suonare l’album», è l’ammissione), il nuovo disco di quello che pareva destinato a diventare un nuovo fenomeno pop per Cimini pare del resto quello della definitiva consapevolezza da cantautore.

Intreccia ritornelli e citazioni, chitarre e synth in atmosfere prima intime, poi rabbiose e appassionate, alterna momenti crepuscolari a esplosioni emotive. Un mix di amore e impegno, disincanto e speranza «tutto mio e quasi liberatorio» – ne dice l’autore – che trasforma esperienze personali di quattro anni di scrittura in un racconto collettivo, fatto di immagini della vita quotidiana, bilanci di vita e spaccati di società contemporanea.

La canzone simbolo, a riprova definitiva della “truffa” di Cimini, uno «sempre passato per indie pop, ma in realtà ho sempre privilegiato i contenuti ai contenitori, raccontato storie, voluto far pensare» – è la rivendicazione – è Ave Maria, sintesi appassionata di «tutto il casino di mondo degli ultimi quattro anni». Guerre, crisi ambientali, ansie collettive: da Cristo a Putin, da Greta Thunberg a Georges Méliès.

«Nessun tentativo di consolare, però – è la precisazione – piuttosto un canto moderno per accompagnare chi cerca verità e profondità anche dentro una playlist». Una stoccata tra tanti potenziali singoli manifesto ( “Il Mago”, “Strappami il cuore”, “L’Urlo”, “Lindacolei”), capace di raccontare il nuovo (o vero?) Cimini. E in parte, a suo modo, nei giorni di ritorni più o meno inaspettati (I Cani e non solo) pure i cambiamenti del mondo della musica italiana.

Della sua carriera, il cantautore calabrese dice averla «appena ricominciata, in qualche modo». Nonostante il successo del concerto con l’Orchestra Leggera, le tante date del “Tragico Tour” e il seguito delle ultime uscite (compresa quella di Roma, saltata al Largo Venue e improvvisata in versione solista a causa di un guasto al furgone che ha bloccato la band a Torino), «ho scelto di andare a riprendermi il pubblico disperso in una scena musicale che è un mare troppo pieno di pesci, un mercato saturo, per certi versi malato, dove è difficile far restare qualcosa», sostiene Cimini. A raccontarlo, in qualche modo, la sua stessa evoluzione.

«Per alcuni sono indie, per altri cantautore, – dice in uno dei suoi monologhi social – per mia mamma dovrei tagliarmi i capelli, per il mio parrucchiere dovrei andare a Sanremo. Per la mia psico dovrei pensare meno, per il mio manager dovrei fare un disco più commerciale. Per le mie piante dovrei bere meno, per il mio divano dovrei scrivere di più. Per alcuni giornalisti non esisto, per altri sono una speranza. Per le mie ex sono uno stronzo, per le mie future ex forse pure». Quello che conta, così, «è che adesso ho voglia di cantare le mie canzoni».

«La legge di Murphy è stato un grande successo indie, sembrava l’emblema della leggerezza, ma in realtà parlava di amore e sociale, ha un contenuto preciso, in qualche modo tra tante canzoni superficiali è stata un po’ una truffa: – spiega Cimini – da lì in poi ho capito il trucco e insieme trovato la soluzione, e sono riuscito a mettere insieme leggerezza e tratto impegnato, interessato. Non è stato facile, ma non ho mai scelto strade facili, e spero che le persone lo capiscano». Una parabola che in fondo hanno avuto solo alcuni colleghi “di genere”, negli anni, e rimanda alla riflessione sulla musica che ha quasi monopolizzato un mercato a metà dello scorso decennio.

«L’indie è morto, per fortuna – riflette Cimini – Ne rimangono un po’ di nostalgia, la Siae di alcuni artisti, la poesia di Calcutta, qualche ritorno, tante canzoni brutte, alcune molto belle. Ma si è reso involontariamente così accessibile a tutti, sembrava bastasse citare due nomi di città o scrivere mezza provocazione per fare il boom commerciale, che il mercato è imploso. Peccato perché ha regalato canzoni anche molto dense di passione e contenuti, e ha dimostrato può mettere insieme spensieratezza e impegno. Ora per paradosso chi fa ancora musica del genere fa quasi resistenza, fa controcultura, una sorta di controcapitalismo».

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di Patrizio Ruviglioni

13 Novembre 2025

La verità, dice così Cimini, è del resto che in una scena «dominata dalle logiche sanremesi», dal meccanismo del sold out «come base del successo artistico», di «un release party alla settimana», «di musica gentrificata, industrializzata, milanesizzata», – è il ritratto impietoso di un settore – «per fare musica ci vuole tanto coraggio». Il cantautore ritrovato dalla legge di Murphy l’ha riscoperto nel sentirsi fragile e ripartire, e l’ha messo tutto nel suo mondo tragico e magico insieme.