di
Monica Guerzoni
Mattarella aveva apprezzato la telefonata di Meloni e i 20 minuti di cordiale faccia a faccia erano andati «benissimo». Poi il gelo per i toni della nota di Chigi, diversi dall’incontro, e il chiarimento: «Questione chiusa»
C’è voluta la doppia firma dei due capigruppo meloniani per riscaldare almeno un poco il vento ghiacciato che aveva preso a soffiare tra il Quirinale e Palazzo Chigi. Quando il duo Galeazzo Bignami-Lucio Malan ha rinnovato la stima del partito a Sergio Mattarella e fatto sapere che FdI «ritiene la questione chiusa», al Quirinale hanno deciso che lo scontro istituzionale può dirsi archiviato. «Lo hanno aperto loro e devono chiuderlo loro», era l’aria che si respirava prima della tregua. Lo stato del rapporto personale con Giorgia Meloni si vedrà nel tempo, ma certo la botta dal punto di vista umano (e politico) è stata forte e le cicatrici rischiano di restare visibili a lungo.
Il momento più critico si registra alle sei della sera, quando ormai la nota diffusa da Palazzo Chigi alla fine dell’incontro con il capo dello Stato rimbalza da ore sui siti dei principali quotidiani. Il tam tam che rotola giù dal Colle, fin dentro le redazioni dei giornali, dice che «il caso non è chiuso». Le considerazioni battagliere con cui la leader della destra ha rinnovato il «rammarico» per le uscite «inopportune» di Garofani hanno rimesso tutto in discussione. Affermare che il presidente ci è rimasto male è un eufemismo. Eppure, Mattarella aveva apprezzato la telefonata con cui Meloni gli aveva chiesto un incontro chiarificatore e i 20 minuti di cordiale faccia a faccia erano andati «benissimo».
«Garofani poteva chiarire o smentire subito le sue affermazioni contro di me, avrebbe evitato un caso», esordisce la premier. Si mostra dispiaciuta per la bufera, persino si scusa con Mattarella per la forza con cui il capogruppo Bignami aveva tirato per la giacca il presidente, chiedendo a Garofani di smentire il presunto «piano del Quirinale per fermare la Meloni». Al capo dello Stato, la premier promette che non era intenzione del partito attaccarlo: «Non bisognava arrivare a tanto… Bignami chiedeva solo che Garofani smentisse quei giudizi poco istituzionali».
Poi però è arrivata quella nota, con cui la donna di Palazzo Chigi ha voluto mostrare agli italiani di non essere andata a Canossa col capo cosparso di cenere. A quel punto, il sollievo di Mattarella è mutato in delusione, irritazione, preoccupazione. Perché tutta quella distanza tra l’esito del colloquio e la comunicazione pubblica? Perché la premier ha chiuso lo scontro al Colle e lo ha riaperto a valle? La nota informale di Chigi è stata vissuta come uno sgarbo.
La premier non ha chiesto a Mattarella il passo indietro di Garofani. E però a sentire i suoi si aspettava «un segnale»: almeno qualche parola di critica rispetto all’opportunità, per un consigliere del Quirinale, di esprimere considerazioni politiche ritenute dai meloniani «di parte». Ma il presidente ha blindato al suo posto il segretario del Consiglio supremo di Difesa. Lo ha fatto sapere lui stesso nel colloquio con il Corriere: «Mattarella mi ha detto “stai sereno, non te la prendere”». E ancora ieri, a tutti quelli che lo hanno chiamato per invitarlo a resistere, Garofani ha risposto «l’unica cosa che conta per me è la fiducia e la stima del presidente». Per Mattarella, le dimissioni non sono dunque «mai state in discussione».
La vicenda può dirsi archiviata, eppure restano i dubbi, i veleni, i misteri. Al Quirinale si sono chiesti il perché di un simile attacco, letto da molti come il tentativo di graffiare l’immagine di un presidente super partes assai amato dagli italiani. E ovviamente non sono sfuggite ai collaboratori del capo dello Stato le «cose strane» di questa storia.
Il caso ha acceso con largo anticipo i riflettori sul 2029, anno in cui scadrà il settennato di Mattarella. Tra le tante tesi di cui ieri qualche deputato parlava sottovoce alla Camera, ce n’è una suggestiva. La proposta del ministro della Difesa, di un’Arma Cyber di 5.000 unità contro la guerra ibrida russa, avrebbe ingelosito Palazzo Chigi e allarmato il sottosegretario Mantovano, Autorità delegata con delega alla cybersicurezza. Forse è solo fantapolitica, ma alcune voci parlamentari accreditano che dietro lo scontro su Garofani possa esserci il «duello» tra Meloni e Crosetto. Entrambi hanno chance di approdare al Quirinale. La prima ci arriverebbe sull’onda dei voti di un centrodestra vittorioso alle politiche del 2027, mentre il secondo potrebbe salire al Colle grazie ai suffragi di un fronte bipartisan.
Vai a tutte le notizie di Roma
Iscriviti alla newsletter di Corriere Roma
20 novembre 2025 ( modifica il 20 novembre 2025 | 07:02)
© RIPRODUZIONE RISERVATA