Le nuove analisi pubblicate su Nature Communications mostrano che le persone con una lunga esperienza creativa avrebbero un cervello più giovane della loro età anagrafica, con una differenza che può arrivare anche a sette anni. Lo studio, basato su brain clocks e su un ampio dataset internazionale, suggerisce che chi pratica in modo stabile attività artistiche potrebbe mantenere una connettività cerebrale più efficiente, anche se il rapporto resta una correlazione e non una prova di causa.

Come la creatività sembra incidere sull’età cerebrale e cosa mostrano davvero i brain clocks

Lo studio si basa su un campione ampio, 1.472 adulti provenienti da tredici Paesi, scelti proprio per comprendere come le attività creative possano riflettersi sulla struttura e sull’efficienza del cervello. I ricercatori hanno combinato le scansioni cerebrali di 1.240 partecipanti per addestrare modelli di machine learning capaci di stimare l’età cerebrale, un indice sempre più utilizzato per comprendere il ritmo dell’invecchiamento neurologico. La domanda iniziale era semplice: esiste un legame misurabile tra creatività e salute del cervello? E se sì, quanto può incidere sul processo di invecchiamento?

Per rispondere, gli autori hanno valutato due gruppi distinti. Il primo comprendeva persone con anni di esperienza in danza, musica, arti visive e videogiochi, considerati creativi sia amatoriali che professionisti. Il secondo gruppo era formato da partecipanti che non avevano una lunga storia di attività artistiche ma che avevano seguito un training intensivo di trenta ore per imparare a giocare a StarCraft II, videogioco noto per la sua componente strategica e la richiesta di abilità cognitive complesse.

Il risultato mostra che chi appartiene al primo gruppo presenta una discrepanza significativa tra età reale ed età stimata dal modello: una differenza che va dai cinque ai sette anni, indicata come un segnale di invecchiamento cerebrale rallentato. Questa distanza non appare, invece, nel gruppo che ha seguito solo il breve training sul videogioco, suggerendo che la creatività sembra favorire il cervello nel lungo periodo, più che attraverso un apprendimento rapido.

Uno dei dati più interessanti riguarda la maggiore efficienza neuronale osservata nei creativi esperti: le scansioni mostrano infatti una comunicazione più coordinata tra le diverse regioni cerebrali, elemento che potrebbe essere legato alla complessità delle attività artistiche, capaci di coinvolgere memoria, motricità, linguaggio, emozioni e decisioni rapide. La danza, ad esempio, richiede un controllo motorio costante e una lettura continua dello spazio; la musica impone coordinazione, ascolto e anticipazione; le arti visive sollecitano processi di immaginazione e pianificazione; i videogiochi creativi attivano strategie, visione periferica e reattività.

Questi elementi, presi insieme, sembrano offrire un quadro coerente: praticare arte per anni potrebbe essere associato a un cervello che “invecchia” più lentamente, ma gli scienziati chiariscono che si tratta solo di una correlazione. Non è possibile stabilire se sia la creatività a ringiovanire il cervello o se, al contrario, chi ha un cervello naturalmente più efficiente sia più incline a coltivare attività creative per tutta la vita.

Perché il legame è affascinante ma non dimostra un effetto diretto: i fattori che potrebbero influenzare l’età del cervello

Gli stessi autori dello studio sottolineano che la creatività non può essere considerata una causa diretta del ringiovanimento cerebrale. I dati mostrano una correlazione, non una relazione di causa ed effetto, e questo punto è fondamentale per comprendere il valore reale dei risultati. L’età cerebrale è infatti influenzata da molte variabili: stile di vita, livello di istruzione, attività fisica, alimentazione, stato emotivo, condizioni socioeconomiche e perfino il contesto culturale in cui una persona vive. Tutti questi aspetti possono agire simultaneamente, generando effetti che è difficile isolare in uno studio unico, anche se molto strutturato come quello pubblicato su Nature Communications.

Uno dei limiti riconosciuti è, ad esempio, la distribuzione per età dei partecipanti. Le persone più giovani tendono a dedicarsi spontaneamente ad attività creative e hanno, fisiologicamente, un cervello più giovane e più plastico. Questo può influire sulle stime dei modelli, rendendo il legame apparente più forte di quanto non sia realmente. Allo stesso modo, il fatto che i partecipanti creativi avessero anni di esperienza potrebbe riflettere anche un livello di istruzione più alto o una maggiore esposizione a stimoli culturali, due fattori già noti per sostenere la salute cognitiva a lungo termine.

Un altro punto riguarda l’efficienza neuronale. Il dato emerge con chiarezza: i creativi mostrano una connettività più coordinata tra le aree cerebrali, ma il motivo non è ancora chiaro. Potrebbe essere un effetto dell’allenamento artistico, ma potrebbe anche trattarsi di una predisposizione naturale che porta queste persone a eccellere nelle attività creative. Il confine tra causa e conseguenza è ancora difficile da definire.

Per approfondire, i ricercatori suggeriscono di allargare i futuri studi ad altri ambiti come scrittura, recitazione, artigianato, e forse anche attività creative digitali emergenti. L’obiettivo è costruire un quadro più completo che permetta di capire se esiste una relazione più diretta tra creatività e salute cerebrale o se i dati rispecchiano semplicemente uno stile di vita più ricco di stimoli. In ogni caso, il risultato apre una finestra interessante su come arte, musica, danza e videogiochi possano intercettare il benessere cognitivo, anche se non abbiamo ancora una risposta definitiva sul perché accada.