di
Silvia M.C. Senette

L’attrice a Bolzano porta in scena Il gabbiano di Checov: «Penso sempre a ritirarmi ma poi dovrei passare la vita a spiegare perché non faccio più l’attrice»

La fatica del recitare, gli attacchi di panico, il terrore della vecchiaia, il perfezionismo, il non essere mai soddisfatta di sé. Sfide quotidiane, una vita in salita, spesso estenuante. Giuliana De Sio arriva a Bolzano per la stagione del Teatro Stabile di Bolzano e si racconta prima di portare in scena Il gabbiano di Anton Cechov, regia di Filippo Dini, questa sera alle 20.30, domani e sabato alle 19 e domenica alle 16 al Teatro Comunale. L’attrice, 50 anni di carriera, sarà Irina Nikolaevna Arkadina, il personaggio principale, madre di Kostja, che ha un rapporto difficile con il figlio e vive una vita intensa e piena di passioni.

De Sio, che donna interpreta?
«Una delle grandi cattive. Arkadina è una donna anaffettiva, che non riesce ad amare il proprio figlio e gli dice cose che non uscirebbero mai dalla bocca di una madre normale. È una donna che vive fingendo felicità, immortalità e un talento che non sappiamo se possiede. È il personaggio chiave in cui si esprime il conflitto artistico e affettivo della commedia: disprezza le aspirazioni del figlio che, a sua volta, non accetta di non essere stimato».



















































Che visione di Cechov emerge?
«Apocalittica, agghiacciante. Tutti amano qualcuno che a sua volta ama qualcun altro. I personaggi sono nevroticamente chiusi in una specie di gabbia, come in attesa che un enorme meteorite si abbatta su di loro. Per fortuna Dini riesce a tirare fuori qualche nota comica, alleggerendo molto uno spettacolo che richiede un’energia incredibile».

Perché ha accettato di confrontarsi con un testo così ingombrante?
«Senza falsa umiltà, di sfide difficilissime ne ho colte davvero tante, non so cosa potrei fare di più difficile. Però Dini e Binasco sono registi che fanno la differenza. Solo che io sono esigentissima nei confronti di me stessa e quando lavoro con registi altrettanto esigenti le mie aspettative diventano impossibili da esaudire. Vivo nella delusione di me stessa pur sentendomi dire “brava” dagli altri».

I suoi personaggi sono sempre molto amati. Qual è il segreto?
«Fare la stronza è divertentissimo e ho una dote particolare: un certo senso dell’umorismo e tempi comici, riesco a essere portatrice sana di fragilità e dolcezza che trapelano attraverso la corazza, impedendomi di fare macchiette. Non credo esista un personaggio veramente disumano, ma trovo sempre la misura».

È cambiato il suo rapporto con il corpo in scena?
«Il corpo mi sta abbandonando per lo stress che deve affrontare tutte le sere. Vivo il confronto con me stessa come una malattia della vecchiaia: sono terrorizzata dall’invecchiamento del mio corpo e del mio cervello. Avevo una memoria di ferro, ma adesso lotto, annaspo, non ho più quella sicurezza granitica. È un’ansia anticipatoria, la paura di avere un vuoto di memoria vero».

Ha pensato di ritirarsi dalle scene?
«Ci penso continuamente. Fisicamente e psicologicamente, recitare è diventato devastante. L’ansia cresce con gli anni e mi rende sempre più fragile, è un continuo rischio di attacchi di panico. Non so se sarò più coraggiosa a lasciare o a restare, ma sono troppo riconoscibile: se volessi cambiare mestiere, dovrei passare la vita a spiegare perché non faccio più l’attrice».

La fatica è dovuta ai ruoli complessi che interpreta?
«Ho sempre fatto cose difficili: a 24 anni ero Hedda Gabler, un personaggio per attrici adulte. Negli ultimi anni i ruoli sono diventati pesanti per l’aspettativa che ci metto io. Tutti mi riconoscono la naturalezza, ma l’ho raggiunta con grande fatica. Rompere la barriera tra me e il pubblico, essere nuda all’interno di un personaggio, consuma e rende fragili».

Ha avuto bisogno di aiuto?
«Ho fatto 40 anni di psicanalisi: con i primi soldi, a 19 anni, ho cercato un terapeuta. Ma alla fine, come dice Woody Allen, non ho capito niente. Non so come sarei stata senza: forse uguale, forse solo più ricca. Non mi sono mai chiesta “chi sono io”, non sono una feticista della mia biografia, non l’ho mai voluta scrivere anche se tutti me l’hanno chiesto. Ma non ho un messaggio importante da comunicare all’umanità, sono noiosa, d’estate studio ossessivamente i copioni e chiedo ai bagnini di sentirmi la parte».

Si racconta volentieri: anche a «Belve» da Francesca Fagnani.
«Fagnani ha fatto della domanda sul “circoletto della De Sio”, una cosa detta forse 15 anni fa, una liturgia. Vado al bar e mi chiedono del circoletto. Un appello alla Fagnani: basta con questa frase, trovatene un’altra».

20 novembre 2025 ( modifica il 20 novembre 2025 | 14:55)