di
Francesco Battistini

Gli ucraini nella capitale vedono i generali Usa per discutere il documento in 28 punti: «Proposta assurda». Putin irride: «Stanno seduti su un water d’oro e ignorano il loro popolo»

DAL NOSTRO INVIATO
KIEV – «Pronti a collaborare». È un piccolo sì che nasconde già un grande no. Volodymyr Zelensky rientra a mani mezze vuote dalla Turchia, dove sperava almeno d’incontrare il mediatore americano Steve Witkoff di ritorno da Mosca, e fa sapere che va bene, parlerà «nei prossimi giorni» con Donald Trump per discutere i 28 punti del piano Usa per la pace. 

La bozza arriva a Kiev assieme al presidente ucraino, che abbozza: questo documento potrà «ridare slancio alla diplomazia», chiaro, e «ci lavoreremo in modo costruttivo», come no, per «garantire una fine dignitosa della guerra». Ma dignità è la parola chiave. E la pace non è in vendita, dicono da Palazzo Mariinskij, nemmeno in affitto: una simile proposta è «assurda e inaccettabile», è la prima reazione, quando ricevono il segretario americano per l’Esercito, Dan Driscoll, arrivato a Kiev coi suoi generali. «Una provocazione per disorientare gli alleati» europei. Una resa bell’e buona, che significherebbe la fine dell’Ucraina.



















































Giovedì nerissimo. L’unica buona notizia è che, dieci mesi dopo l’insediamento di Trump, si rivede a Kiev un americano che conta qualcosa. Ma le cattive notizie sono tutte le altre: quest’imprenditore che Trump chiama «l’uomo dei droni», in pratica un viceministro della Difesa che ha come principale compito quello di produrne almeno un milione nei prossimi tre anni, a sera si siede nello studio presidenziale di Zelensky e cala le carte che il capo gli ha dato. Quel che a Mosca hanno già distribuito altri due affaristi, lo stesso Witkoff e il russo Kirill Dmitriev. 

Un piano che non può piacere agli ucraini: ci sono dentro la rinuncia a un Donbass smilitarizzato, un esercito dimezzato, l’addio ai sogni Nato, un colpo di spugna su tutti i crimini di guerra, il russo introdotto come lingua ufficiale, la restituzione delle proprietà alla Chiesa ortodossa moscovita, la riammissione del Cremlino nei salotti buoni della finanza mondiale… Il no di Zelensky è scontato, anche se in agenda non si cancellano quell’imminente telefonata con la Casa Bianca e le decisioni da prendere sullo scandalo corruzione: qualche testa zelenskiana potrebbe cadere nei prossimi giorni, per non dare troppo ossigeno a chi in Europa vorrebbe soffocare gli aiuti militari, ma ci s’affretta a garantire che il potente e chiacchierato consigliere Andriy Yermak resterà per ora dov’è. «Queste persone sedute su water d’oro — irride il presidente russo Vladimir Putin, citando il caso della lussuosa toilette d’un imprenditore amico di Zelensky e accusato di ruberie —, penso sia chiaro a tutti che difficilmente pensino al destino del loro Paese».

Il punto è il piano. Che resta comunque irricevibile. Ciò che più indigna, spiegano dallo staff del presidente, è quella surreale proposta di leasing dei territori invasi. Una clausola secondo cui Mosca otterrebbe quanto conquistato (e anche qualcosa di più) in cambio del pagamento d’un «canone d’affitto», lasciando a Kiev la sola proprietà legale di quelle terre piene di minerali. 

Una vera locazione, in perfetta linea con la nuova diplomazia immobiliare americana — vedi il progetto di Gaza Riviera o la caserma nel centro di Belgrado, che gli Usa bombardarono nel ’99 e ora trasformeranno in un hotel di lusso — e che nell’idea trumpiana aggirerebbe la Costituzione ucraina, dov’è stabilito che ogni cessione di territorio richiede un referendum popolare.

Niente da fare. L’incontro coi generali americani va avanti fino a tardi ed è chiaro che l’uomo dei droni non porta doni. Pure nei colloqui con la premier Yulia Svyrydenko e col ministro della Difesa, Denys Shmyhal, la missione di Driscoll appare subito evidente. L’unica concessione di Mosca sarebbe nelle regioni parzialmente occupate di Zaporizhzhia e di Kherson.

«Somiglia molto alle cessioni imposte alla Cecoslovacchia nel 1938, in cambio di garanzie di sicurezza illusorie», commenta il parlamentare Yaroslav Yurchyshyn. «Questo piano è totalmente senza senso e serve ai russi solo per guadagnare tempo, prima che entrino in vigore le sanzioni di Trump», attacca Oleksandr Merezhko, presidente della commissione Esteri: «Non è insensato solo per noi, lo è anche per Putin. Perché dovrebbe accettarlo, quando ha già inserito i nostri territori nella sua Costituzione?». 

Dice Olena Hubanova, direttrice di un’ong ucraina che s’occupa di profughi: «È una proposta che ignora totalmente chi vive nel Donbass, specie i vecchi. Molti sono rimasti a vivere lì, nonostante la guerra, perché non riescono a immaginare una vita altrove. Che cosa dovremmo fare, deportarli?».

20 novembre 2025 ( modifica il 20 novembre 2025 | 23:54)